Pio Istituto Sordi: un’esperienza

di Paola Piovesana*

Il Pio Istituto Sordi e la sua storia

Il Pio Istituto Sordi nasce nella seconda metà dell’800 grazie alla generosità del Conte Paolo Taverna per realizzare una realtà che potesse occuparsi dei bisogni delle persone sorde, specialmente le più povere. La denominazione esatta infatti era “Pio Istituto Sordomuti Poveri di Campagna” perché destinato proprio ad accogliere i ‘sordomuti’ – come venivano chiamati al tempo – meno abbienti della provincia. Esisteva infatti a Milano un Regio Istituto, il cui accesso era possibile però solo per le famiglie agiate. L’Istituto fu affidato alla guida di don Giulio Tarra, che negli anni diventerà uno dei più noti referenti a livello internazionale in merito all’educazione dei sordi. Don Tarra si dedicò da subito alla predisposizione di nuovi metodi di studio per i giovani sordi sviluppando sempre più il cosiddetto “metodo orale” con il quale sostituì il “metodo mimico” tradizionale; l’Istituto diventò un esempio ed un riferimento per gli analoghi istituti sorti nelle città lombarde. Nel 1853 arrivarono i primi ‘sordomuti’ poveri e il nuovo istituto fu costituito formalmente nel febbraio 1854. Continua a leggere

Una boccata di aria fresca

di Barbara Fantoni*

Ogni volta che uscivo dalla casa di riposo pensavo che non ce l’avrei mai fatta…era come camminare in una bolla e sentirmi da una parte orgogliosa di essere riuscita anche stavolta a creare quel labile legame tra me e lui e dall’altra essere schiacciata da un macigno pesante.

Già, in ogni visita sempre prepotente e presente la contraddizione: la certezza di essere sulla buona strada e di fare il suo e il nostro bene e poi il senso di colpa per averlo lasciato pressoché inerme in mani altrui, il dubbio che forse, con un po’ più di coraggio e un po’ più di sacrificio avremmo potuto tenerlo a casa con noi. Continua a leggere

Lavoro educativo e qualità, anche nei tempi del Covid-19

di Giovanni Garena*

Nella variegata gamma di interventi e servizi sociali messi in campo nelle diverse realtà del nostro Paese si è consolidata, a partire da prime sperimentazioni fin dagli anni ‘80 del secolo scorso, l’azione denominata educativa territoriale (E.T.). I servizi di E.T. si esprimono oggi come parte connettiva di prossimità, di lavoro con-per le reti di comunità, nell’accompagnamento e sostegno a minori, disabili, nuclei familiari in difficoltà. I luoghi di questa azione appartengono all’informale, alle dimensioni di vita nelle quali educatrici ed educatori entrano – in punta di piedi – proponendosi come mediatori e facilitatori di percorsi di aggregazione, di integrazione. Percorsi in cui si cammina in territori fisici e mentali nei quali l’atto educativo assume una geomorfologia sempre nuova e affronta sfide a volte anche molto complesse e impreviste. Continua a leggere

Ariaferma, eppure un poco mossa

Considerazioni sul film “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo, 2021

di Cristina Sironi*

Che cosa mi aspettavo da un film che si svolge in un carcere in dismissione, in stato di abbandono? Non mi ero fatta un’idea precisa, ma speravo in qualcosa di buono, anche solo per andare oltre le denunce che da anni regolarmente riempiono le pagine dei giornali, senza che mai nulla di significativo accada veramente per migliorare la situazione disastrosa e incivile delle nostre carceri. Bene, invece ne sono uscita entusiasta: il film è bellissimo, ricco, intenso, con molti spunti su cui riflettere e ragionare, tanto che vorrei tornare a vederlo ancora. Continua a leggere

Diventare madre in un paese straniero

di Giorgio Zoccatelli* e Priscilla Zemella**

 

La nascita di un bambino è un evento socioculturale oltre che biologico: infatti da una parte è fortemente regolamentato dal gruppo sociale e dalla cultura di appartenenza, dall’altra è rivelatore delle credenze e della simbologia su cui esso si fonda. La vita di ogni individuo è scandita da un susseguirsi di tappe che segnano diversi status e ruoli all’interno della società di appartenenza. In particolare, in relazione alla donna, Van Gennep individua nella gravidanza e nel parto due riti considerati momenti di transizione allo status di madre, passaggio fondamentale non solo a livello individuale, ma anche comunitario (1).

Questo articolo ha il fine di prendere in considerazione il tema della maternità in altre culture diverse dalla nostra, in particolare il diventare madre da parte di donne immigrate che in Italia hanno scarsa o assente rete sociale o familiare di supporto: quelle donne che hanno scommesso tutto sul progetto migratorio, ma che trovano difficoltà di integrazione nella nostra realtà per solitudine, barriere linguistiche o culturali, procedure amministrative farraginose, ma anche per una non adeguata preparazione da parte di Servizi e professionisti del sociosanitario. È un tema che richiama anche questioni etiche e deontologiche, nonché interroga le policy e le Istituzioni coinvolte su come migliorare prassi e Servizi in situazioni di complessità. Continua a leggere