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Diventare madre in un paese straniero

di Giorgio Zoccatelli* e Priscilla Zemella**

 

La nascita di un bambino è un evento socioculturale oltre che biologico: infatti da una parte è fortemente regolamentato dal gruppo sociale e dalla cultura di appartenenza, dall’altra è rivelatore delle credenze e della simbologia su cui esso si fonda. La vita di ogni individuo è scandita da un susseguirsi di tappe che segnano diversi status e ruoli all’interno della società di appartenenza. In particolare, in relazione alla donna, Van Gennep individua nella gravidanza e nel parto due riti considerati momenti di transizione allo status di madre, passaggio fondamentale non solo a livello individuale, ma anche comunitario (1).

Questo articolo ha il fine di prendere in considerazione il tema della maternità in altre culture diverse dalla nostra, in particolare il diventare madre da parte di donne immigrate che in Italia hanno scarsa o assente rete sociale o familiare di supporto: quelle donne che hanno scommesso tutto sul progetto migratorio, ma che trovano difficoltà di integrazione nella nostra realtà per solitudine, barriere linguistiche o culturali, procedure amministrative farraginose, ma anche per una non adeguata preparazione da parte di Servizi e professionisti del sociosanitario. È un tema che richiama anche questioni etiche e deontologiche, nonché interroga le policy e le Istituzioni coinvolte su come migliorare prassi e Servizi in situazioni di complessità. Continua a leggere

Immigrazione, “disumanizzazione” e professioni sociali e sanitarie

di Alessandro Bono

Immigrazione e sentire comune

Sembra oramai un fatto accettato che la maggioranza dei nostri connazionali abbia acquisito schemi mentali per cui gli immigrati che sbarcano in Europa siano “invasori”, in genere nullafacenti, pericolosi, atti a delinquere e giungano nel nostro Paese per sottrarre diritti agli italiani. Basta entrare in un bar, salire su di un autobus o anche purtroppo confrontarsi con conoscenti amici e colleghi per recepire come in sostanza vengano considerati esseri “non umani” (si consenta l’estremizzazione) e privi di diritti (compresi i bambini che fino a pochi anni fa venivano comunque “salvati” da questi discorsi giudicanti).

Si chiede che le persone immigrate rimangano a casa loro e non vengano ad “invadere” le nostre terre, trascurando il fatto che noi “a casa loro” (Africa e non solo) ci andiamo eccome da secoli per importare forza lavoro gratuita (gli schiavi), per l’oro, il petrolio, i diamanti, il cobalto, le nuove colture alimentari imposte e per vendere armi e così via. Continua a leggere