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Informazioni, strumenti, soluzioni

di Eleonora Maglia*

Il DSM-5 definisce le allucinazioni verbali come esperienze sensoriali uditive percepite in assenza di un reale stimolo esterno (AVU). Nonostante il legame tradizionalmente sancito con quadri psicotici e disturbi dissociativi, studi recenti registrano, anche nella popolazione sana, episodi simili e chiariscono che le AVU non consentono di certificare con sicurezza un disturbo psichiatrico (Woods e colleghi, 2015).

Partendo da ciò, questo articolo è dedicato a corroborare, anche indicando un utile volume sul tema, un’interpretazione non stigmatizzante dei sintomi uditivi verbali, posto che l’etichettatura, da un lato, causa e rinforza lo stato di malattia e, d’altro lato, mette a repentaglio la reputazione e le relazioni socio-ambientali e conduce ad un ulteriore distacco e isolamento (Carozza, 2006).

Secondo l’orientamento costruttivista e interazionista, le percezioni senza oggetto sono associate all’utilizzo di attività e di disposizioni mentali presenti allo stato latente e accentuate in alcuni individui dal tentativo di riorganizzare un equilibrio auto-regolativo incrinato da particolari accidenti psico-biografici (Napolitano, 2013). Udire rumori o voci di tipo AVU è infatti un fenomeno ascritto a valutazioni negative delle proprie capacità, delle proprie risorse e delle proprie possibilità di sperimentare successo e soddisfazione nella vita (Salvatore e colleghi, 2017). Ciò porta a sentirsi dominati da una potenza esterna, sperimentando un vissuto di possesso e controllo (Cavalieri e colleghi, 2004). Condurre una quotidianità con AVU comporta paura, panico, impotenza e afflizione (Pacifico e colleghi, 2015). Si tratta di una situazione che può essere aggravata da molti fattori, tra cui lo stress per lunghi periodo di lavoro cognitivo intenso (Sacks, 2013) dato che il numero di eventi stressanti risulta correlato all’aumento di sintomi (Pallanti, 2015). Così le AVU costituirebbero un messaggio relativo alla storia personale che segnala un accadimento traumatico e dunque un problema (socio-emotivo) irrisolto (Napolitano, op. cit.). Inoltre, ragionando in ottica più vasta, gli episodi AVU scoperchierebbero anche delle problematiche ampie e ascrivibili alla società intera.

Analizzando il tema, Bollas (2016) ad esempio vi identifica dei tentativi di risposta ad un mondo altamente imprevedibile (come è quello attuale e anche prospetticamente futuro) che costantemente richiede uno sforzo mentale per affrontare e sciogliere molti nodi esistenziali difficili. Uno stato di continua incertezza (si pensi alla società liquida di Bauman) infatti di per sé ha un alto prezzo in termini di depauperamento delle risorse cognitive per farvi fronte ed espone anche ad un accresciuto rischio di insorgenza delle AVU, per l’effetto cumulativo di quotidiani micro-traumi (qui nel senso soggettivo del termine, per cui la valenza e gli effetti di un evento dipendono dai modi di reagire personali, dalla qualità delle reazioni precoci e dalle predisposizioni biologiche).

Passando invece alle possibili risposte in caso di AVU, tra i trattamenti sembra particolarmente efficace la terapia cognitivo-comportamentale (TCC), focalizzata al riconoscimento, al distanziamento critico e al padroneggiamento da parte del paziente, anche con formulazione di interpretazioni alternative e di modifiche delle convinzioni disfunzionali. Una rassegna della letteratura scientifica (Pacifico e colleghi, op. cit.) annovera -tra le metodiche di coping in presenza di AVU- modifiche comportamentali (svolgere un’attività), sensoriali (rilassarsi o dormire) e cognitive (spostare l’attenzione), anche con tecniche attive (vocalizzare). Comune a queste strategie è il concetto di efficacia personale: grazie alla constatazione di riuscire a dominare gli accadimenti, aumenta il desiderio di nuove esperienze e si è motivati a mantenere il funzionamento raggiunto (Carozza, op.cit.).

Le Voci Dentro

Un’interessante e recente lettura sul tema è il volume Le Voci dentro di Charles Fernyhough (2018) edito da Raffaello Cortina Editore, che consente di avere un quadro di indagine rigoroso ma fruibile anche dai non esperti (è adatta quindi anche ai soggetti coinvolti o ai loro familiari o altri soggetti di una rete di cura o sociale). Nel testo sono presentati la storia e la scienza del dialogo interiore e viene particolarmente argomentato l’aspetto costruttivo del self-talking, che viene identificato dall’autore come una leva molto utile alla creatività (tra gli antecedenti documentati in campo artistico sono citate le esperienze di Van Gogh e di Woolf). Secondo Fernyhough, infatti il pensiero dialogico origina dall’esposizione e dall’interiorizzazione di un dialogo con altri e quindi una voce mentale rappresenta uno specifico punto di vista, ammantato di valori ed emozioni specifiche che ha il vantaggio di promuovere uno scambio tra diverse prospettive e un ragionamento tra se stessi strumentale a definire piani e scegliere tra alternative.

Come si è detto le AVU, al pari di tutte le sintomatologie disabilitanti, comportano comunemente la sperimentazione di carichi economici, interpersonali, sociali, emotivi, fisici ed esistenziali, che colpiscono sia a livello soggettivo che oggettivo (Carozza, op. cit.). Una corretta informazione sulle cause e sul funzionamento del dialogo interno tuttavia può essere molto utile, da un lato, a rimuovere lo stigma sociale e, d’altro lato, ad attivare un coping adattivo-comportamentale, incentrato sul problema, per gestire in modo diretto la situazione con l’obiettivo di inserimento nella normale vita sociale e lavorativa (Ciompi e colleghi, 1987). Il volume Le Voci dentro offre appunto molti elementi in questa direzione.

Nell’incipit dell’articolo si è ricordato come il ragionare in termini di etichettatura non produca risultati positivi e si riveli di fatto bloccante; invece il riflettere in modo risolutorio (reperendo informazioni e strumenti e apprendendo così nuove abilità) consente di assumere il controllo di una situazione. Allo scopo allora si può tenere presente che le evidenze sperimentali mostrano come il porsi domande su ciò che si sta per fare porti ad essere più determinati e produttivi. Inoltre, vi sono campi (come il settore scientifico) in cui è richiesta e molto apprezzata appunto l’abilità di sapersi muovere da ciò che è noto verso l’innovazione, ovvero il saper perseguire e contribuire al percorso indeterminato, autoregolato e illimitatamente creativo che viene attivato dalla comunità scientifica in una modalità di dialogo e dibattito.

Anche così la capacità di produrre e dirigere proficuamente un discorso interno di tipo AVU in forme di domande e risposte potrebbe essere opportunamente utilizzata, si spera all’interno di un contesto prossimo in cui la coscienza di tutti aborrisca additamenti negativamente connotati.

 

Riferimenti bibliografici

  • Bollas C., 2016, Se il sole esplode, Raffaello Cortina Editore, Milano
  • Carozza P., 2006, Principi di riabilitazione per un sistema di servizi orientato alla guarigione, FrancoAngeli, Milano
  • Cavalieri e colleghi, 2004, Sentire e parlare, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)
  • Fernyhough C., 2018, Le voci dentro. Storia e scienza del dialogo interiore, Raffaello Cortina Editore, Milano
  • Napolitano A., 2013, Psicopatologie delle allucinazioni uditive e degli uditori di voci
  • Pacifico et al, 2015, Psicopatologia della AVU, J Psicopathol
  • Pallanti S., 2015, I progressi delle neuroscienze per superare i preconcetti e la malattia, Edra, Milano
  • Sacks O., 2013, Allucinazioni, Adelphi, Milano
  • G. Salvatore et al, 2017, Terapia meta cognitiva interpersonale, FrancoAngeli, Milano
  • Woods e colleghi, 2015, Experiences of hearing voices: analysis of a novel phenomenological survey, Lancet Phychiatry

*Dottore di ricerca in Economia della produzione e dello sviluppo

Oltre il ’68

Due educatori in viaggio nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione all’integrazione sociale.

di Gianfranco Marocchi*

Ecco Villa Azzurra, ma che ci sarà di azzurro qui dentro? Il cielo è grigio come le mura scrostate e sporche, come i pavimenti sudici. Cancelli e chiavi, chiavi e cancelli, facce stanche e distratte. … «Siamo venuti a prendere Valeria». «Valeria chi?». Flavia legge il cognome e solo allora ci indicano due cameroni più avanti. Il camerone è tetro, sbarre alle finestre, una quindicina di ragazzi e ragazze vocianti e mugolanti, chi sdraiato a terra, chi impegnato in dondolii compulsivi, chi gira vorticosamente in tondo. Hanno tutti addosso un brutto camicione abbottonato dietro. Ci interpella un assistente, «Siamo venuti a prendere Valeria». «Sì un momento che te la slego!» e va verso un termosifone al quale era trattenuta per un polso con una benda, la nostra nuova amica Valeria. Appena svincolata, Valeria si mette a correre e cerca immediatamente di uscire dallo stanzone. È magra come un chiodo ha i denti completamente rovinati, conseguenza dell’elettroshock … Valeria non parla, sembra un animaletto impaurito, le stiamo accanto sul sedile posteriore, cerchiamo di tranquillizzarla … Abbraccio Valeria, vorrei abbracciarla fortissimo e con lei i suoi undici anni infelici, lei tenta di svincolarsi, ansima, sento il suo alito cattivo, è sporca, da quando non vede il bagno o una doccia?

Questa è una delle storie che aprono Oltre il ’68, un libro di Giovanni Garena e Luciano Tosco edito da Libreriauniversitaria.it Edizioni. È questo il contesto in cui i due autori, allora giovani educatori alle prime esperienze lavorative, si trovano ad operare all’inizio degli anni Settanta. Il lavoro sociale è per entrambi, ciascuno a suo modo figlio del ’68 e delle sue istanze di cambiamento, un modo per trasformare un sistema tanto profondamente ingiusto, quanto ritenuto naturale, “normale” e immutabile.

Gianni e Luciano, con due carriere parallele che più volte si incontrano, vivono con impegno e passione anni di complessa e gravosa sperimentazione. Prendono progressivamente consapevolezza di tutte le fatiche e le difficoltà del contribuire a costruire un sistema diverso, dovendo tra l’altro, ad ogni passaggio, fare fronte a resistenze culturali e istituzionali.

Ma se la storia degli anni successivi sembra statica, spesso costellata di incertezze e retromarce, di timidi passi avanti e di difficoltà che paiono insormontabili, la visione prospettica restituisce un quadro dinamico diverso.

Per effetto di quel procedere a volte lento e insoddisfacente, si arriva, un passo dopo l’altro, ad un profondo cambiamento dell’assetto dei servizi e della cultura sottostante. In un decennio si passa dalle prime dirompenti passeggiate, in giro per la città, con i “loro” ragazzi subnormali, tra lo stupore e spesso l’irritazione di passanti e commercianti, al sistema dei servizi torinese che – a metà degli anni Ottanta – rappresenta un’avanguardia nel panorama nazionale. Si sperimentano e si implementano le comunità alloggio, l’educativa territoriale e di strada, la peer education, i servizi di assistenza domiciliare, i centri diurni aggregativi, i laboratori di quartiere, il lavoro di rete; si ottengono concreti risultati di integrazione in special modo tra servizi zonali sociali-sanitari-scolastici con il fattivo coinvolgimento del tessuto sociale nella presa in carico dei bisogni del territorio.

Questo viaggio di due educatori “nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione all’integrazione sociale” è quindi un racconto che, senza tacere le fatiche, le contraddizioni, gli insuccessi, racconta di un sistema dei servizi che prende forma coerentemente con una visione sociale orientata alla prevenzione, all’inclusione e all’integrazione, profondamente diversa da quella precedente basata su istituzioni totali funzionali ad un paradigma teso a separare ogni anomalia dal resto del contesto sociale.

È una storia di entusiasmo e passione, dove si intrecciano crescita professionale, visione politica e tensione valoriale, utile a ricordare che i servizi, così come oggi li conosciamo, sono frutto di un percorso mai concluso. Percorso che oggi rischia di essere messo in discussione; in questo senso, nell’ultimo capitolo, si analizzano le inquietanti derive di ritorno, a volte subdolamente mascherato, all’assistenzialismo, alla categorizzazione burocratica dei bisogni, alle logiche istituzionali emarginanti, alla erosione di diritti e di dignità. Rispetto a queste derive gli autori provano ad analizzare come si posizionano oggi gli operatori, quale spazio professionale esercitano e potranno, sapranno e vorranno in futuro esercitare rigenerando la “cultura e la pratica del possibile”, dell’inventare e immaginare ciò che non c’è o non c’è ancora, dell’empowerement, dell’advocacy, di servizi effettivamente capaci di futuro, di “servire” in quanto stare veramente al servizio delle persone e delle comunità. Occorrono energie potenti per implementare tecniche di progettazione partecipativa-incrementale, di inclusività, di sconfinamento, di analisi e cambiamento sistemico delle organizzazioni: come in quegli anni “oltre il ‘68”, tutto ciò richiede professionisti che non si limitino a stare nell’esistente, ma continuino ad interrogarsi sulla valenza trasformativa del proprio lavoro. In questo senso, alcune direzioni iniziano a profilarsi, prima tra tutte il lavoro con le comunità.

 

*esperto Terzo settore

“Display your abilities” – Cambio di ruolo: un approccio innovativo alla disabilità

di Marco Fiorito* e Chiara Bechis**

Il progetto “Display your abilities” è stata un’esperienza internazionale, in cui si è creato un metodo di lavoro che ha utilizzato come strumento il teatro ma che può essere applicato anche ad altri contesti. La metodologia sperimentata e convalidata riguarda il cambio di ruolo per i giovani disabili in un contesto formativo/lavorativo e di vita.

Il cambio di ruolo inteso come visione dell’altro nelle sue capacità, competenze ed abilità che vengono messe a disposizione e trasmesse come portatore di un sapere.

Dis-play your abilities mira a costruire una metodologia che consenta ai giovani con disabilità mentale di essere formati come co-leader di laboratori per altri giovani sul tema della diversità, partendo dalle competenze reali che ognuno di loro possiede. Continua a leggere

La rete dei servizi residenziali psichiatrici: modelli e culture a confronto

di Daniela Teagno*

L’articolo che qui presentiamo deriva da un’indagine condotta sul territorio piemontese, alzando lo sguardo anche a livello nazionale ed europeo, sulla filiera dei servizi residenziali psichiatrici. La ricerca è stata fortemente voluta e finanziata dalla Fondazione Casa dell’Ospitalità Onlus di Ivrea (TO). I risultati sono contenuti in un report (consultabile sul sito internet  www.casaospitalitaivrea.it, aprendo nel menu la voce “La salute mentale oggi e domani”), che presenta un quadro necessariamente  incompleto ma che offre più angolazioni e diversi punti di vista sul mondo della salute mentale, sulle tendenze in atto, sui bisogni vecchi e nuovi, sulle risposte date o non date. Un articolo più approfondito, firmato dalla stessa autrice del post, verrà pubblicato in uno dei prossimi numeri di Prospettive Sociali e Sanitarie. Continua a leggere

Progetto Citt-Abitiamo, storia di un incontro

di Marco Mancini*

È nell’incontro che si dipanano le storie. Una narrazione che si fa svelamento dell’altro ma ancor prima di noi stessi poiché nello sguardo di chi si sofferma dinnanzi a noi troviamo la conferma della nostra identità. Quando ciò accade nello sfaccettato mondo delle fragilità appare ancora più prezioso poiché qui le relazioni sono delicate come cristalli di brina. “Il malessere spinge verso il pozzo dell’isolamento, quel pozzo che guarda con angoscia all’enigma del cielo”, come scriveva Pessoa. Continua a leggere