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Il nonno si è perso, lo prendo per mano

Storie di nonni, nonne e nipoti negli albi illustrati per i piccoli

di Cristina Sironi*

Se, come dice una nota canzone, per fare un albero ci vuole un seme, bisogna imparare a spargere semi in abbondanza per far crescere un mondo inclusivo e accogliente che abbia rispetto per le diversità. Leggere e raccontare belle storie ai nostri bambini significa investire su un futuro migliore, preparare le loro menti ad accogliere e a far germogliare le realtà anche più scomode e dolorose con libertà e meraviglia. Continua a leggere

Un libro necessario

di Cristiana Pessina*

 

“Vecchi dubbi, nuove certezze” è l’eloquente sottotitolo del libro “Ricordi traumatici”, curato da Marinella Malacrea per FrancoAngeli (Milano, 2021) nella collana promossa dal CISMAI (Coordinamento Italiano contro il Maltrattamento e Abuso all’Infanzia), al quale sono devoluti i diritti d’autore.

Vecchi dubbi allude al dibattito sui falsi ricordi, dibattito datato, ormai scomparso dalla produzione scientifica e superato alla luce delle nuove certezze che provengono dagli studi delle neuroscienze. Continua a leggere

La polvere sotto al tappeto. Il dibattito pubblico sulle droghe tra evidenze scientifiche e ipocrisie

 di Anna Paola Lacatena*

A distanza di ormai tanti anni e di tante vane discussioni dettate da posizioni preconcette e, spesso, esclusivamente politiche sulle droghe nel nostro Paese, si fa urgente una deideologizzazione del fenomeno provando a smascherarne ambiguità e ipocrisie.

È quanto si propone di fare, sollecitando una ripresa del dibattito pubblico sul tema, il libro La polvere sotto il tappeto. Il dibattito pubblico sulle droghe tra evidenze scientifiche e ipocrisie, di Anna Paola Lacatena, con contributi di Filippo Ceccarelli, Francesca Comencini, Giancarlo De Cataldo, Kento, Antonio Nicaso, Nina Zilli (Carocci Editore, Roma, marzo 2021, pp.188) (1).

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Trame. Il teatro sociale e la formazione degli operatori sociosanitari

di Tiziana Tesauro*

 

Trame è un metodo ideato per la formazione professionale di chi svolge una professione di cura, ovvero medici, infermieri, assistenti sociali. Nato dall’incontro di Tiziana Tesauro, sociologa e ricercatrice del CNR, e Francesco Campanile, attore e regista teatrale, il metodo è stato utilizzato la prima volta nel 2016 per la formazione professionale di un gruppo di infermieri dell’Azienda Ospedaliera di Salerno, la seconda volta per la formazione professionale degli assistenti sociali del Comune di Napoli.

Questo metodo sposa un approccio alla formazione che oltrepassa le pratiche tradizionali di insegnamento trasmissivo e si centra sui soggetti e sulla loro capacità di apprendere dall’esperienza professionale, e si rivela in grado di sviluppare nei partecipanti la riflessività, ovvero “La tipica attitudine degli attori sociali volta a presidiare i processi d’azione e coglierne il senso in rapporto alle motivazioni che le hanno originate. La riflessività è legata alla capacità di modificare l’azione e quindi alla capacità di apprendere e di generare, per questa via, il cambiamento” (Lipari 2012, pag. 347).

Inserendosi in un vuoto formativo e immaginando un “approccio orizzontale”, dove lo spazio e il tempo per l’ascolto di sé rappresentano il motore dell’intero processo, Trame mette al centro del percorso formativo i professionisti della cura, nella consapevolezza che essi stessi dispongano di gradi di autonomia soggettiva e capacità di trovare soluzioni innovative nella pratica professionale che è infarcita non solo di un sapere tecnico, specifico, come il sapere istituzionale e scientifico, ma soprattutto di un sapere esperienziale legato a ciò che concretamente si fa quando si lavora. In altri termini il metodo guarda alla capacità di apprendere dall’esperienza professionale, offrendo un percorso di elaborazione e trasformazione attraverso le tecniche teatrali. Continua a leggere

Oltre il ’68

Due educatori in viaggio nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione all’integrazione sociale.

di Gianfranco Marocchi*

Ecco Villa Azzurra, ma che ci sarà di azzurro qui dentro? Il cielo è grigio come le mura scrostate e sporche, come i pavimenti sudici. Cancelli e chiavi, chiavi e cancelli, facce stanche e distratte. … «Siamo venuti a prendere Valeria». «Valeria chi?». Flavia legge il cognome e solo allora ci indicano due cameroni più avanti. Il camerone è tetro, sbarre alle finestre, una quindicina di ragazzi e ragazze vocianti e mugolanti, chi sdraiato a terra, chi impegnato in dondolii compulsivi, chi gira vorticosamente in tondo. Hanno tutti addosso un brutto camicione abbottonato dietro. Ci interpella un assistente, «Siamo venuti a prendere Valeria». «Sì un momento che te la slego!» e va verso un termosifone al quale era trattenuta per un polso con una benda, la nostra nuova amica Valeria. Appena svincolata, Valeria si mette a correre e cerca immediatamente di uscire dallo stanzone. È magra come un chiodo ha i denti completamente rovinati, conseguenza dell’elettroshock … Valeria non parla, sembra un animaletto impaurito, le stiamo accanto sul sedile posteriore, cerchiamo di tranquillizzarla … Abbraccio Valeria, vorrei abbracciarla fortissimo e con lei i suoi undici anni infelici, lei tenta di svincolarsi, ansima, sento il suo alito cattivo, è sporca, da quando non vede il bagno o una doccia?

Questa è una delle storie che aprono Oltre il ’68, un libro di Giovanni Garena e Luciano Tosco edito da Libreriauniversitaria.it Edizioni. È questo il contesto in cui i due autori, allora giovani educatori alle prime esperienze lavorative, si trovano ad operare all’inizio degli anni Settanta. Il lavoro sociale è per entrambi, ciascuno a suo modo figlio del ’68 e delle sue istanze di cambiamento, un modo per trasformare un sistema tanto profondamente ingiusto, quanto ritenuto naturale, “normale” e immutabile.

Gianni e Luciano, con due carriere parallele che più volte si incontrano, vivono con impegno e passione anni di complessa e gravosa sperimentazione. Prendono progressivamente consapevolezza di tutte le fatiche e le difficoltà del contribuire a costruire un sistema diverso, dovendo tra l’altro, ad ogni passaggio, fare fronte a resistenze culturali e istituzionali.

Ma se la storia degli anni successivi sembra statica, spesso costellata di incertezze e retromarce, di timidi passi avanti e di difficoltà che paiono insormontabili, la visione prospettica restituisce un quadro dinamico diverso.

Per effetto di quel procedere a volte lento e insoddisfacente, si arriva, un passo dopo l’altro, ad un profondo cambiamento dell’assetto dei servizi e della cultura sottostante. In un decennio si passa dalle prime dirompenti passeggiate, in giro per la città, con i “loro” ragazzi subnormali, tra lo stupore e spesso l’irritazione di passanti e commercianti, al sistema dei servizi torinese che – a metà degli anni Ottanta – rappresenta un’avanguardia nel panorama nazionale. Si sperimentano e si implementano le comunità alloggio, l’educativa territoriale e di strada, la peer education, i servizi di assistenza domiciliare, i centri diurni aggregativi, i laboratori di quartiere, il lavoro di rete; si ottengono concreti risultati di integrazione in special modo tra servizi zonali sociali-sanitari-scolastici con il fattivo coinvolgimento del tessuto sociale nella presa in carico dei bisogni del territorio.

Questo viaggio di due educatori “nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione all’integrazione sociale” è quindi un racconto che, senza tacere le fatiche, le contraddizioni, gli insuccessi, racconta di un sistema dei servizi che prende forma coerentemente con una visione sociale orientata alla prevenzione, all’inclusione e all’integrazione, profondamente diversa da quella precedente basata su istituzioni totali funzionali ad un paradigma teso a separare ogni anomalia dal resto del contesto sociale.

È una storia di entusiasmo e passione, dove si intrecciano crescita professionale, visione politica e tensione valoriale, utile a ricordare che i servizi, così come oggi li conosciamo, sono frutto di un percorso mai concluso. Percorso che oggi rischia di essere messo in discussione; in questo senso, nell’ultimo capitolo, si analizzano le inquietanti derive di ritorno, a volte subdolamente mascherato, all’assistenzialismo, alla categorizzazione burocratica dei bisogni, alle logiche istituzionali emarginanti, alla erosione di diritti e di dignità. Rispetto a queste derive gli autori provano ad analizzare come si posizionano oggi gli operatori, quale spazio professionale esercitano e potranno, sapranno e vorranno in futuro esercitare rigenerando la “cultura e la pratica del possibile”, dell’inventare e immaginare ciò che non c’è o non c’è ancora, dell’empowerement, dell’advocacy, di servizi effettivamente capaci di futuro, di “servire” in quanto stare veramente al servizio delle persone e delle comunità. Occorrono energie potenti per implementare tecniche di progettazione partecipativa-incrementale, di inclusività, di sconfinamento, di analisi e cambiamento sistemico delle organizzazioni: come in quegli anni “oltre il ‘68”, tutto ciò richiede professionisti che non si limitino a stare nell’esistente, ma continuino ad interrogarsi sulla valenza trasformativa del proprio lavoro. In questo senso, alcune direzioni iniziano a profilarsi, prima tra tutte il lavoro con le comunità.

 

*esperto Terzo settore