Due educatori in viaggio nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione all’integrazione sociale.
di Gianfranco Marocchi*
“Ecco Villa Azzurra, ma che ci sarà di azzurro qui dentro? Il cielo è grigio come le mura scrostate e sporche, come i pavimenti sudici. Cancelli e chiavi, chiavi e cancelli, facce stanche e distratte. … «Siamo venuti a prendere Valeria». «Valeria chi?». Flavia legge il cognome e solo allora ci indicano due cameroni più avanti. Il camerone è tetro, sbarre alle finestre, una quindicina di ragazzi e ragazze vocianti e mugolanti, chi sdraiato a terra, chi impegnato in dondolii compulsivi, chi gira vorticosamente in tondo. Hanno tutti addosso un brutto camicione abbottonato dietro. Ci interpella un assistente, «Siamo venuti a prendere Valeria». «Sì un momento che te la slego!» e va verso un termosifone al quale era trattenuta per un polso con una benda, la nostra nuova amica Valeria. Appena svincolata, Valeria si mette a correre e cerca immediatamente di uscire dallo stanzone. È magra come un chiodo ha i denti completamente rovinati, conseguenza dell’elettroshock … Valeria non parla, sembra un animaletto impaurito, le stiamo accanto sul sedile posteriore, cerchiamo di tranquillizzarla … Abbraccio Valeria, vorrei abbracciarla fortissimo e con lei i suoi undici anni infelici, lei tenta di svincolarsi, ansima, sento il suo alito cattivo, è sporca, da quando non vede il bagno o una doccia?”
Questa è una delle storie che aprono Oltre il ’68, un libro di Giovanni Garena e Luciano Tosco edito da Libreriauniversitaria.it Edizioni. È questo il contesto in cui i due autori, allora giovani educatori alle prime esperienze lavorative, si trovano ad operare all’inizio degli anni Settanta. Il lavoro sociale è per entrambi, ciascuno a suo modo figlio del ’68 e delle sue istanze di cambiamento, un modo per trasformare un sistema tanto profondamente ingiusto, quanto ritenuto naturale, “normale” e immutabile.
Gianni e Luciano, con due carriere parallele che più volte si incontrano, vivono con impegno e passione anni di complessa e gravosa sperimentazione. Prendono progressivamente consapevolezza di tutte le fatiche e le difficoltà del contribuire a costruire un sistema diverso, dovendo tra l’altro, ad ogni passaggio, fare fronte a resistenze culturali e istituzionali.
Ma se la storia degli anni successivi sembra statica, spesso costellata di incertezze e retromarce, di timidi passi avanti e di difficoltà che paiono insormontabili, la visione prospettica restituisce un quadro dinamico diverso.
Per effetto di quel procedere a volte lento e insoddisfacente, si arriva, un passo dopo l’altro, ad un profondo cambiamento dell’assetto dei servizi e della cultura sottostante. In un decennio si passa dalle prime dirompenti passeggiate, in giro per la città, con i “loro” ragazzi subnormali, tra lo stupore e spesso l’irritazione di passanti e commercianti, al sistema dei servizi torinese che – a metà degli anni Ottanta – rappresenta un’avanguardia nel panorama nazionale. Si sperimentano e si implementano le comunità alloggio, l’educativa territoriale e di strada, la peer education, i servizi di assistenza domiciliare, i centri diurni aggregativi, i laboratori di quartiere, il lavoro di rete; si ottengono concreti risultati di integrazione in special modo tra servizi zonali sociali-sanitari-scolastici con il fattivo coinvolgimento del tessuto sociale nella presa in carico dei bisogni del territorio.
Questo viaggio di due educatori “nella provvisoria reale utopia, dalla segregazione all’integrazione sociale” è quindi un racconto che, senza tacere le fatiche, le contraddizioni, gli insuccessi, racconta di un sistema dei servizi che prende forma coerentemente con una visione sociale orientata alla prevenzione, all’inclusione e all’integrazione, profondamente diversa da quella precedente basata su istituzioni totali funzionali ad un paradigma teso a separare ogni anomalia dal resto del contesto sociale.
È una storia di entusiasmo e passione, dove si intrecciano crescita professionale, visione politica e tensione valoriale, utile a ricordare che i servizi, così come oggi li conosciamo, sono frutto di un percorso mai concluso. Percorso che oggi rischia di essere messo in discussione; in questo senso, nell’ultimo capitolo, si analizzano le inquietanti derive di ritorno, a volte subdolamente mascherato, all’assistenzialismo, alla categorizzazione burocratica dei bisogni, alle logiche istituzionali emarginanti, alla erosione di diritti e di dignità. Rispetto a queste derive gli autori provano ad analizzare come si posizionano oggi gli operatori, quale spazio professionale esercitano e potranno, sapranno e vorranno in futuro esercitare rigenerando la “cultura e la pratica del possibile”, dell’inventare e immaginare ciò che non c’è o non c’è ancora, dell’empowerement, dell’advocacy, di servizi effettivamente capaci di futuro, di “servire” in quanto stare veramente al servizio delle persone e delle comunità. Occorrono energie potenti per implementare tecniche di progettazione partecipativa-incrementale, di inclusività, di sconfinamento, di analisi e cambiamento sistemico delle organizzazioni: come in quegli anni “oltre il ‘68”, tutto ciò richiede professionisti che non si limitino a stare nell’esistente, ma continuino ad interrogarsi sulla valenza trasformativa del proprio lavoro. In questo senso, alcune direzioni iniziano a profilarsi, prima tra tutte il lavoro con le comunità.
*esperto Terzo settore
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