di Silvia Braghini*
Succede di frequente che, nelle organizzazioni, i servizi sociali rivolti ai minori siano distinti da quelli per i maggiorenni: cambiano le leggi, le forme di tutela, di responsabilità, la prospettiva di un’autodeterminazione. Per questo, dunque, spesso l’assistente sociale che si occupa dei minori non è la stessa che si occupa degli adulti. Allora come gestire il passaggio di presa in carico quando il minore diventa maggiorenne? E come gestire la cartella sociale?
In questo breve articolo desidero proporre un’idea di metodo e di prassi da sperimentare a tal proposito.
Punto primo: terra di nessuno – Un minore seguito dal servizio Tutela Minori, rimane “sotto quell’ala” fino ai diciotto anni, massimo ai ventuno, ma superata questa età deve “uscire dalla stanza”.
Accompagnare in questo passaggio e momento di fragilità, è difficoltoso in quanto sul futuro c’è un punto di domanda e sul presente un puzzle di incastri faticosi. È lì, nella terra di nessuno, che serve mettere in atto quel processo per il quale gli esperti siamo noi, gli assistenti sociali: il lavoro di rete. Diventa indispensabile connettere, dialogare, coinvolgere e intersecare pluralità di attori: la persona, la famiglia, la scuola, i servizi specialistici.
Punto secondo: il consenso, la volontà e la trasparenza – Siamo sicuri di dover procedere con una presa in carico automatica, di passaggio dalla minore alla maggiore età? Forse no, forse si crea un’occasione nuova, un’opportunità di discussione, di confronto e di scelta. Possiamo chiedere ai neo-maggiorenni cosa vogliono e cosa si aspettano: la persona al centro, dicono nelle aule universitarie (codice deontologico, art. 8). Allora, magari, possiamo costruire prassi basate su metodi e deontologia, come modulistiche specifiche dove la persona possa autorizzare il passaggio della copia della sua cartella sociale dalla collega che ha seguito la situazione fino a prima. Non solo, possiamo anche prevedere che un/a ragazzo/a autorizzi, nel passaggio di presa in carico, l’accesso alla sola copia di alcuni documenti e non di tutti. Oppure di nulla, in modo da concordare un nuovo punto di partenza, iniziare un libro mai letto, dare l’occasione di ricominciare. Quale potere, dietro a così poco? (codice deontologico, art. 11)
Punto terzo: la rotta. Dove si va? – Se vogliamo accompagnare un, seppur giovanissimo, ma nuovo adulto verso un cambiamento e un’autonomia, dobbiamo darci degli obiettivi e questi sono a mio parere il tasto dolente. Perché lo sappiamo quanto sia faticoso, conosciamo la complessità di questa fase, laddove manca sempre il tempo e rischia di venire meno la qualità. Dove il brainstorming ha il suono di un alveare e, nel frattempo, le scadenze avanzano e i telefoni squillano. Ma noi, i professionisti dell’aiuto, questo tempo dobbiamo prendercelo e alla qualità non dobbiamo rinunciare. Se il contesto non ce lo permette, dobbiamo adoperarci per risolvere la criticità (codice deontologico, art. 19).
Gli obiettivi vanno chiariti ed esplicitati e questi giovanissimi, che siano neet, disabili, fragili o quant’altro, vanno condotti a esplicitare le aspettative e a dire <<ok, camminiamo insieme verso quella cosa lì>>, dove quella cosa lì è l’obiettivo di tutti e diviene la bussola nelle mani di ognuno.
Così, all’interno del costrutto della qualità della vita, i passaggi di presa in carico tra servizi possono divenire occasione di pratiche positive e opportunità di valorizzazione per quella persona al centro.
*Assistente sociale