Trame. Il teatro sociale e la formazione degli operatori sociosanitari

di Tiziana Tesauro*

 

Trame è un metodo ideato per la formazione professionale di chi svolge una professione di cura, ovvero medici, infermieri, assistenti sociali. Nato dall’incontro di Tiziana Tesauro, sociologa e ricercatrice del CNR, e Francesco Campanile, attore e regista teatrale, il metodo è stato utilizzato la prima volta nel 2016 per la formazione professionale di un gruppo di infermieri dell’Azienda Ospedaliera di Salerno, la seconda volta per la formazione professionale degli assistenti sociali del Comune di Napoli.

Questo metodo sposa un approccio alla formazione che oltrepassa le pratiche tradizionali di insegnamento trasmissivo e si centra sui soggetti e sulla loro capacità di apprendere dall’esperienza professionale, e si rivela in grado di sviluppare nei partecipanti la riflessività, ovvero “La tipica attitudine degli attori sociali volta a presidiare i processi d’azione e coglierne il senso in rapporto alle motivazioni che le hanno originate. La riflessività è legata alla capacità di modificare l’azione e quindi alla capacità di apprendere e di generare, per questa via, il cambiamento” (Lipari 2012, pag. 347).

Inserendosi in un vuoto formativo e immaginando un “approccio orizzontale”, dove lo spazio e il tempo per l’ascolto di sé rappresentano il motore dell’intero processo, Trame mette al centro del percorso formativo i professionisti della cura, nella consapevolezza che essi stessi dispongano di gradi di autonomia soggettiva e capacità di trovare soluzioni innovative nella pratica professionale che è infarcita non solo di un sapere tecnico, specifico, come il sapere istituzionale e scientifico, ma soprattutto di un sapere esperienziale legato a ciò che concretamente si fa quando si lavora. In altri termini il metodo guarda alla capacità di apprendere dall’esperienza professionale, offrendo un percorso di elaborazione e trasformazione attraverso le tecniche teatrali.

Il laboratorio teatrale di Trame

La cura è di fatto un’attività professionale particolarmente complessa perché chiama direttamente in causa il soggetto che cura: chi svolge un’attività di cura è costretto, in qualche modo, a guardarsi più da vicino, interrogando le proprie possibilità esistenziali. Nel “curare” infatti si entra in contatto non solo con l’altro, ma più profondamente con se stessi e con il proprio progetto esistenziale. È molto probabile però che se, nel lungo periodo, manca la possibilità di lavorare sulle proprie possibilità esistenziali e sul significato della propria attività di cura, mancheranno prima o poi le risorse cognitive, emotive ed affettive per lavorare sulle possibilità esistenziali dell’altro; è probabile perciò che si sia esposti al rischio di “naufragio esistenziale” (Spinsanti 2016).

In considerazione di ciò Trame offre un percorso di formazione che conduce i partecipanti a recuperare il significato della propria azione di cura partendo dalla riflessione e elaborazione della propria esperienza professionale.

Il setting didattico di Trame è un laboratorio teatrale a orientamento formativo (Massa, in Antonacci, Cappa 2001, Cappa 2016, 2017) che funziona secondo i vincoli di un qualsivoglia dispositivo clinico. La Clinica della Formazione è un particolare approccio pedagogico che, nato tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, designa sia la progettazione e la conduzione d’interventi nell’ambito della formazione, sia la consulenza e la supervisione formativa di operatori nelle professioni educative e formative (Massa 1992, Franza 2002). In entrambe le specificazioni, la Clinica della Formazione opera con modalità conoscitive e d’esplorazione proprie del metodo clinico, ovvero insistendo su un conoscere ed apprendere dall’esperienza e attraverso l’esperienza (Benini 2018, Franza 2018).

Nella pratica quindi il laboratorio teatrale di Trame attiva processi di apprendimento di tipo clinico perché funziona secondo i vincoli propri di tutti i dispositivi clinici: “l’intransitività”, in base alla quale non si tratta di far transitare un sapere, ma di riflettere su un’esperienza; l’oggettivazione per cui il focus è sull’esperienza vissuta dai partecipanti e sul tentativo di renderla pensabile e comunicabile e, quindi, oggettivabile; “l’impudicizia” che, in riferimento alla riflessione sulla propria esperienza invita, per quanto possibile, a sospendere la censura interna nell’analisi e dell’interpretazione di essa; “l’avalutatività” che chiarisce la necessità che non venga dato alcun giudizio di valore su quanto viene raccontato dai partecipanti; la referenzialità che ribadisce la cornice teorica entro cui il percorso formativo si colloca.

Nel laboratorio teatrale i partecipanti si mettono al lavoro utilizzando le tecniche normalmente usate per la formazione degli attori, ovvero il training fisico, le tecniche di rilassamento, la consapevolezza del corpo, la consapevolezza della voce, la conoscenza di sé e dell’altro, la dinamica di gruppo, il lavoro sensoriale. Svolgono quindi tutta una serie di esercizi fisici e perciò la loro esperienza, prima che su un apprendimento di tipo cognitivo, si basa su un apprendimento che vede il “corpo in azione”. Ma in questa situazione cosa imparano esattamente? Imparano prima di tutto a prendere coscienza del loro corpo e a comprendere che il corpo è il primo strumento di lavoro.

Il punto è che il “gioco teatrale” che disocculta il corpo, disocculta anche il sé. Messo al centro del percorso didattico il “corpo in azione” si scopre capace di portare a galla, e trasformare in azione, frammenti di memoria dimenticati, rimossi o censurati: frammenti di memoria che in modo non ordinato si intrecciano disegnando una nuova trama, personale e collettiva, composta da ricordi sparsi e frammenti autobiografici. Di qui appunto Trame, nome scelto non a caso per esplicitare l’intreccio dei nodi esistenziali che caratterizzano le biografie individuali e che vengono portati a galla nell’ambito del lavoro laboratoriale.

Di fatto accade che dentro la particolare atmosfera del laboratorio teatrale i corpi dei partecipanti non sono più agiti dall’imbarazzo e dal disagio, non hanno più paura di lasciarsi avvicinare, e si lanciano coinvolgere dal ritmo dell’azione. E da quest’azione, da nuove partiture di movimento e piccole performance, si origina poi un flusso narrativo. Narrando di sé mentre sono al lavoro nel laboratorio, attraversati da impulsi emozionali ed affettivi e sollecitati da stimoli esterni, i professionisti della cura imparano a riflettere e raccontare di se stessi mentre sono in azione, scoprono il piacere di parlare di sé maneggiando materiali autobiografici e assaporando la libertà di scavare in qualcosa che è intimo e personale e che emerge nell’accadere formativo.

La figura seguente schematizza il processo che si è verificato nel laboratorio di Trame e che ha riguardato tutti i partecipanti, sia nella prima che nella seconda sperimentazione.

 

Dall’immersione infatti nella pratica teatrale e nel processo performativo i partecipanti riemergono poi come “soggettività narrative” (Bruner 1986), come soggettività capaci di raccontare di sé con l’ausilio della scrittura riflessiva che mette “impudicamente” in parole ciò che di se stessi si è scoperto durante l’immersione, spesso qualcosa di ancora sconosciuto, oppure dimenticato, rimosso, addirittura censurato. Nel percorso proposto, quindi, l’utilizzo delle tecniche normalmente utilizzate per la formazione degli attori sono finalizzate all’emersione narrativa (Demetrio 1995, 2008). In definitiva il metodo induce una produzione di narrazioni che scompongono e ricompongono le trame dei vissuti umani e professionali. Per questo, nonostante la sua specificità, Trame è assimilabile alle proposte delle cosiddette “medical humanities”, ovvero ai quei percorsi formativi che si rifanno al paradigma narrativo e che usano, a livello metodologico, strumenti ti tipo narrativo (Zannini 2001, 2008).

Conclusioni

 Attraverso l’allestimento di un laboratorio teatrale Trame insegna a percorrere nella formazione una via che lavora prima di tutto sui blocchi psico-fisici del corpo. Nel percorso laboratoriale gli operatori socio-sanitari allenano il proprio corpo a liberare e dispiegare le potenzialità espressive del gesto: è il corpo, concepito come luogo privilegiato di formazione e trasformazione, il fulcro di questa esperienza formativa. In particolare Trame utilizza l’azione improvvisata (Alsina 2015), un’azione che insegna a mettersi in scena senza un copione, senza un testo di riferimento e un personaggio da interpretare, senza uno schema di azioni preventivamente stabilito, lasciando che l’azione emerga come effetto estemporaneo ed imprevisto. Le azioni improvvisate, particolarmente adatte ad allenare e rafforzare l’agire improvvisato e quindi a far emergere in modo istintivo e pre-riflessivo un sapere non pensato, funziona nel percorso alla stregua di un tappo di una bottiglia che salta: arrivano in superficie, attraverso l’azione improvvisata del corpo, ricordi dimenticati, traumi infantili, pezzi della storia personale rimossi o addirittura censurati e nascosti al pensiero consapevole. Da qui il successivo fluire, oltre le barriere della censura consapevole, di altre narrazioni fatte di parole dette e scritte, che danno voce alle soggettività e sviluppano nuove consapevolezze.

A differenza però di quanto solitamente avviene all’interno di un qualsiasi laboratorio teatrale, in cui l’obiettivo è la messa in scena, intesa come la co-costruzione di uno spettacolo a opera degli allievi sotto la guida del regista formatore, in Trame non c’è il personaggio ma solo la persona. E quindi la narrazione emersa è la vera drammaturgia di cui essere protagonisti. In altri termini la scrittura, utilizzata come strumento di valutazione e auto-valutazione del percorso svolto, si è rivelata emersione pulsante e vitale, utile spazio di riflessività.

Alla luce di tutta la strada percorsa potrebbe essere interessante chiedersi cosa sarebbe accaduto se quelle narrazioni avessero assunto la forma di vere e proprie storie per il teatro, riorganizzate in drammaturgie chiamate ad interrogare un pubblico con cui confrontarsi. Non siamo in grado di sciogliere tale quesito, ma possiamo a ragione concludere che il laboratorio di Trame dimostra come molteplici possono essere le modalità d’intervento volte a creare spazi formativi in cui i soggetti, qualsiasi sia la loro routine di lavoro quotidiano, possono essere resi potenti da un nuovo contatto riflessivo con il loro corpo.

 

Bibliografia

  • Alsina C.M., (2015), Il metodo delle azioni fisiche. Teoria e pratica di un approccio alla recitazione che parte dall’ultimo Stanislavskij, Dino Audino Editore, Roma.
  • Antonacci F., Cappa F., a cura di (2001), Riccardo Massa. Lezioni su La peste, il teatro, l’educazione, Franco Angeli, Milano.
  • Baliani M. (2017), Ogni volta che si racconta una storia, Gius. Laterza  & Figli, Bari-Roma.
  • Benini S. (2018), Partire da sé per arrivare agli altri. La Clinica della formazione per lo sviluppo di una nuova cultura infermieristica, Franza A. M., Teoria della pratica formativa. Apprendimento dell’esperienza e Clinica della formazione, Franco Angeli, Milano, pp. 325-339.
  • Bruner J. (1986), Actual Minds, Possible Worlds, Cambridge, MA, Harvard University Press; trad. it. La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza, 1988.
  • Cappa F. (2016), Formazione come teatro, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Cappa F. (2017), Metafora teatrale e laboratorio pedagogico, in Ricerche di Pedagogia e Didattica – Journal of Theories and Research in Education 12,3, pp. 83-95.
  • Demetrio D. (1995), Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Demetrio D. (2008), La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziale, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Franza A. M. (2018), Teoria della pratica formativa. Apprendimento dell’esperienza e Clinica della formazione, Franco Angeli, Milano.
  • Lipari D., (2012), Metodi della formazione oltre l’aula, Franco Angeli, Milano.
  • Spinsanti S., (2016), La medicina vestita di narrazione, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.
  • Zannini L. (2001), Salute, malattia e cura. Teoria e percorsi di clinica della formazione per gli operatori sociosanitari, Franco Angeli, Milano.
  • Zannini L. (2008), Medical Humanities e medicina narrativa, Raffaello Cortina Editore, Milano.

 

*Tiziana Tesauro è ricercatrice presso l’Istituto di Ricerche della Popolazione e le Politiche Sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Salerno.

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