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Quando salvare vite è un dovere

L’esperienza di ResQ – People saving people (1)

A pochi giorni dalla partenza per la terza missione di salvataggio nel Mediterraneo, abbiamo intervistato Gherardo Colombo, presidente onorario di ResQ – People saving people, e Cecilia Guidetti, membro del Consiglio direttivo dell’associazione, che ringraziamo per il loro tempo e le interessanti informazioni fornite.  

Due parole su ResQ: cos’è, quando nasce e con quali obiettivi?

ResQ – people saving people è una Onlus nata nel dicembre 2019 per iniziativa di un gruppo di amici, professionisti di varia natura, e cresciuta in due anni fino a raggiungere oltre 60 figure professionali volontarie, 800 soci e oltre 5.500 donatori nel solo 2021. Il nostro obiettivo è soccorrere chi si trova a rischiare la vita nel Mediterraneo, fuggendo da situazioni di conflitto, persecuzioni e povertà estrema. L’associazione è nata per dare una risposta concreta alla situazione drammatica a cui assistiamo ogni giorno nel nostro mare, dove negli ultimi 10 anni sono morte oltre 20.000 persone nel tentativo di raggiungere l’Europa. Per questo abbiamo deciso di aggiungere alla flotta civile umanitaria attualmente presente nel Mediterraneo un’altra nave di ricerca e soccorso, che abbiamo chiamato ResQ People.

Il nostro secondo obiettivo, non meno importante del primo, è stato fin da subito quello di portare il tema delle morti nel Mediterraneo al centro del dibattito pubblico, raccontando quel che accade appena al di là delle nostre coste attraverso azioni di sensibilizzazione e comunicazione, e di coinvolgere in questo progetto tutte le persone che fino ad oggi si sono sentite impotenti e impossibilitate ad agire in prima persona, ma che sentono come noi la necessità e il desiderio di non restare indifferenti.

Per questo il nome dell’associazione è “People saving people”, persone che salvano persone: abbiamo creduto fortemente all’idea, che all’inizio poteva sembrare folle, che tante persone potessero mettersi insieme, con tante piccole donazioni, con l’obiettivo comune di salvare le persone che rischiano la vita in mare.

Come mai la scelta di impegnarsi pubblicamente in un progetto su un tema così complesso e difficile da affrontare?

Innanzitutto crediamo che non si possa permettere che le persone continuino ad annegare in mare. La vita è un diritto e soccorrere chi rischia di annegare è un obbligo, non solo etico ma anche giuridico. L’articolo 10 della nostra Costituzione, al comma 3, sottolinea come tutti gli stranieri, ai quali sia impedito nel proprio Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite in Italia, abbiano il diritto di essere accolti. Se è loro diritto essere accolti, allora è nostro obbligo e dovere accogliere. E per poter accogliere è necessario che queste persone arrivino vive nel nostro Paese.

Ma al di là di quanto la legge stabilisce in termini di riconoscimento del diritto di asilo, si tratta prevalentemente di una questione di riconoscimento dell’altra persona in quanto tale.  Pensiamo si tratti di una questione su cui non si può negoziare: la prima cosa da fare è salvare le persone che stanno annegando.

Diversi anni fa, a seguito del grande naufragio avvenuto al largo di Lampedusa il 13 ottobre del 2013, dove persero la vita 368 uomini, donne e bambini, le istituzioni italiane avevano avviato nel Mediterraneo l’operazione Mare Nostrum, che era dedicata esattamente a questo: garantire la ricerca e il soccorso delle imbarcazioni che tentavano di attraversare il Mediterraneo centrale spesso in condizioni del tutto inadeguate, o eccessivamente sovraccariche. Poco dopo l’operazione Mare Nostrum è stata però sostituita dalle operazioni dell’Agenzia Frontex, a guida UE, che hanno come obiettivo primario non la ricerca e il soccorso delle imbarcazioni a rischio di naufragio, bensì il controllo delle frontiere.

Dunque oggi, di fatto, nel Mediterraneo centrale la ricerca e il soccorso delle persone in difficoltà nella navigazione è svolta solo dalla flotta civile, cioè da navi messe in mare da associazioni e ONG che tentano di rispondere alle tante richieste di soccorso, alternandosi nelle missioni in mare. Purtroppo, per quanto importante, questa flotta è ancora del tutto insufficiente, se consideriamo che naufragi e morti in mare continuano ad avvenire senza che si riesca ad intervenire in tempo.

Per questo è importante impegnarsi in questa attività, per quanto difficoltosa sia, per sopperire a una mancanza di interventi da parte delle istituzioni e, allo stesso tempo, per richiamare le istituzioni stesse al loro dovere.

Quali sono le attività realizzate e i risultati finora ottenuti?

Svolgiamo essenzialmente attività in mare, realizzando missioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. A bordo della ResQ People opera un equipaggio internazionale di 20 persone, tra professionisti marittimi e volontari specializzati, tra cui medici e infermieri, soccorritori, mediatori culturali, logista e cuoco di bordo. La nave è attrezzata con due RHIB, ossia due gommoni veloci a chiglia rigida che servono per avvicinarsi alle imbarcazioni in difficoltà e procedere al soccorso, a bordo è presente anche un ambulatorio medico per prestare la prima assistenza ai naufraghi dopo il salvataggio e durante la navigazione fino all’arrivo in un porto sicuro.

Finora la nostra nave è salpata per due missioni: la prima, nell’agosto 2021, ha portato in salvo 166 persone e la seconda, nell’ottobre 2021, ha soccorso 58 persone. La ResQ People ha quindi fino ad oggi aiutato e sbarcato nei porti sicuri indicati dalle autorità marittime 224 tra uomini, donne e bambini attraverso cinque diverse operazioni di salvataggio.

Accanto alle attività di mare svolgiamo poi anche attività in terra, di sensibilizzazione ed advocacy.

Perché è importante portare avanti le attività di terra oltre che quelle in mare?

Senza le attività di terra quelle in mare non potrebbero esistere né proseguire. Fin dall’inizio, abbiamo pensato che questo progetto avrebbe potuto funzionare solo se fossimo riusciti a renderlo il progetto di quante più persone possibile, e a costruirgli una rete di supporto capace di farlo conoscere e di farlo arrivare vicino alle persone.

Per questo, fin dai primi mesi di attività, abbiamo costruito una rete di associazioni, organizzazioni, enti privati e gruppi che si ritrovano negli obiettivi e nei principi di ResQ e che realizzano insieme a noi attività di sensibilizzazione e raccolta fondi. Oggi la rete degli Amici di ResQ conta quasi 100 associazioni in tutta Italia, e in tutti i periodi in cui abbiamo potuto organizzare eventi, è stata fondamentale per portare ResQ alle feste di paese, alle manifestazioni culturali, ai festival cinematografici, e ha permesso così di far arrivare il progetto in tutta l’Italia. Nei soli mesi estivi del 2021 questa rete ci ha permesso di realizzare oltre 70 eventi di sensibilizzazione. Da qualche mese abbiamo dato vita anche gli equipaggi di terra sul territorio nazionale, ossia l’organizzazione di gruppi di volontari che si impegnano a diffondere e sostenere le attività di ResQ nella propria città o nel proprio territorio. Svolgiamo essenzialmente azioni di sensibilizzazione, realizziamo conferenze, incontri di presentazione e promozione della nave e delle nostre attività, e mettiamo in campo azioni di fundraising per il soccorso in mare, ad esempio invitando a donare l’equivalente per l’acquisto di un giubbotto di salvataggio o dei farmaci necessari per assicurare l’assistenza medica durante una missione.

È per noi molto importante raccogliere risorse, ma riteniamo sia ancor più importante difendere e diffondere la cultura della solidarietà e dei diritti. Organizziamo quindi anche attività di advocacy sulla crisi umanitaria in corso nel Mediterraneo, e progetti di educazione e sensibilizzazione sui temi delle migrazioni, del soccorso in mare e dei diritti umani rivolti alle scuole e ai giovanissimi.

Quali sono le principali difficoltà incontrate?

Le maggiori difficoltà riguardano le risorse: per prima cosa abbiamo dovuto comprare la nave e poi mantenerla. Mantenere attiva una nave costa davvero molto, sono circa 2 milioni di euro all’anno. Anche per questo è importante mettere in campo campagne di sensibilizzazione mirate a raccogliere quelle risorse che ci permettono di continuare a restare in mare. Non abbiamo grandi donatori, la cifra più alta che siamo riusciti a raccogliere in un colpo solo è stata di 100 mila euro, mentre per il resto le donazioni arrivano per lo più dai nostri soci e da liberi cittadini sensibili al tema. È soprattutto grazie all’impegno, anche continuativo nel tempo, di migliaia di piccoli donatori che siamo riusciti ad arrivare fino a qui e dunque continuiamo a lavorare su entrambi i fronti: il coinvolgimento di piccoli donatori e la ricerca di medi e grandi donatori, che possano dare maggiore respiro alle attività del progetto.

Alle difficoltà finanziarie si aggiungono poi alcune problematiche più operative, legate alla complessità dell’organizzazione e della gestione delle missioni di ricerca e soccorso, per le quali è necessario personale che, seppur volontario, deve essere sempre selezionato accuratamente, formato e preparato ad ogni evenienza. Le operazioni di soccorso che abbiamo realizzato in mare si sono svolte tutte in condizioni differenti, alcune anche di notte, e hanno portato in salvo sulla nave persone che spesso erano in mare da diversi giorni e che portavano addosso segni di grande sofferenza, della prigionia e delle torture a cui erano state sottoposte in Libia. Bisogna poi considerare che quando le persone si trovano in salvo sulla nave, la missione non è ancora conclusa, perché termina solo quando possono sbarcare in un porto sicuro (POS, Place Of Safety) dove non sono più esposte a un rischio per la loro vita e possono accedere a beni e servizi primari.  Purtroppo, come vediamo anche in questi giorni sui giornali, non sempre si riescono ad avere indicazioni immediate rispetto ai porti sicuri in cui poter attraccare e mettere in salvo le persone soccorse.

In generale, tante difficoltà sono legate al fatto che queste operazioni di solidarietà e di tutela del diritto al soccorso, che realizza ResQ insieme a tante altre organizzazioni, ancora oggi spesso non sono riconosciute come tali, a causa di campagne di criminalizzazione a cui abbiamo assistito in passato. Ci troviamo quindi spesso a difendere la nostra mission e a contrastare l’idea diffusa che si tratti di un tema “divisivo”, in cui non tutti possono riconoscersi, mentre noi pensiamo che ognuno di noi, se rischiasse di annegare, vorrebbe trovare una mano che lo aiuti a salvarsi, e così proviamo a fare proprio questo: tendere una mano a chi sta annegando.

La situazione di oggi, che in seguito alla guerra ha portato all’accoglienza di moltissime persone in fuga dall’Ucraina, sta favorendo o ostacolando il vostro lavoro?

È difficile dirlo in questo momento perché la situazione è ancora emergenziale. Sicuramente la guerra ha creato difficoltà consistenti all’interno del sistema di accoglienza dei migranti. Nell’opinione comune è inoltre considerato più “naturale” occuparsi di chi scappa dall’Ucraina perché si tratta di una situazione a noi più vicina. Non deve però essere penalizzata e limitata l’accoglienza di tutti gli altri. Ci auguriamo che questa situazione finisca il prima possibile, ma più si andrà avanti più è plausibile immaginare che ci saranno restrizioni rispetto alle possibilità di accoglienza dei migranti. È probabile, ad esempio, che si saranno sempre meno porti sicuri o che la loro individuazione risulterà ancor più dilatata nel tempo.

Quali sono i progetti in cantiere e le aspettative per il futuro?

I dati ufficiali dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni dicono che dall’inizio del 2022 sono 156 le persone morte e 565 quelle disperse nel tentativo di raggiungere le nostre coste, mentre sono oltre 9.000 quelle intercettate e ricondotte in Libia. Gli stessi dati, per il 2021 ci parlano di quasi 700 morti e 900 dispersi e di oltre 30.000 persone riportate in Libia. Quella del Mediterraneo continua quindi ad essere la frontiera più letale del pianeta.

Per questo siamo in procinto di tornare in mare e partire con una nuova missione, che inizierà a breve. Parallelamente continueremo a portare avanti le attività in terra.

Le nostre aspettative per il futuro sono di riuscire a raccogliere sufficienti risorse per continuare nella nostra attività di salvataggio delle persone, ma il nostro più grande desiderio e auspicio sarebbe quello di constatare che, finalmente, del problema delle morti in mare si inizino ad occupare anche le istituzioni, nel rispetto di quanto previsto dalla nostra Costituzione.

È possibile contribuire al progetto con una donazione

* Ricercatrice IRS e Assistente Redazione Welforum.it

Questo articolo è stato pubblicato su Welforum.it il 5 luglio 2022

Via Baltea – Laboratori di Barriera

di Lisa Parola*

A Torino, nel quartiere di Barriera di Milano, c’è uno spazio meticcio, un luogo che accoglie tante e differenti attività.

Un po’ giardino pubblico, un po’ luogo di lavoro, un po’ spazio dove mangiare vegetariano e un po’ un cortile dove passare per caso e magari fermarsi tutto il pomeriggio: Via Baltea Laboratori di Barriera è un luogo così. Uno spazio al plurale dove trovare ‘situazioni’ per produrre cose, cultura e cittadinanza. Un community hub aperto nel 2014 in un’ex tipografia di 900 mq con una corte interna di 200 mq – riqualificato su iniziativa della Cooperativa Sumisura.

Uno strano agglomerato di laboratori, attività e progetti dedicati all’educazione informale. Un piccolo mondo alla rovescia che ospita anche musica, informazione, cibo e arte. Un luogo nel quale ci si può confondere, se non si è abituati a condividere, ma divertire se invece si è in cerca di un meticciato quotidiano. In via Baltea c’è chi fa il pane, chi mette musica alla radio, chi serve da mangiare, chi suona jazz, chi lavora il legno, chi insegna a fare cesti. E può capitare di incontrarsi nel cortile per un caffè o una birra. Continua a leggere

Valutare con consapevolezza e senza pregiudizi

A proposito di credibilità dei racconti dei bambini abusati sessualmente

a cura di Cristiana Pessina*

L’abuso sessuale dei bambini è un tema molto delicato, complesso, difficile da gestire emotivamente e operativamente. Il fatto che l’abuso avvenga frequentemente tra le mura domestiche, o comunque a opera di persone di cui il bambino si fida, sempre nel segreto, spesso a carico di bambini piccoli, non sono che alcuni degli elementi che ne costituiscono la complessità, così come il fatto che gli abusanti quasi sempre neghino e che gli incroci con il sistema giudiziario molto spesso siano complicati.

Tutti gli studi retrospettivi ne riportano frequenze inquietanti: per restare in ambito nazionale in uno dei più recenti (Prino et al., 2018 (1)) si dice che il 18% di giovani adulti italiani abbia sperimentato qualche forma di abuso sessuale nell’infanzia e nell’adolescenza, con maggiore presenza tra le femmine rispetto ai maschi.

Eppure, sia in ambito clinico sia in ambito giudiziario, permangono molte difficoltà nel riconoscere questi casi. Alle difficoltà sopra elencate si aggiunge la complessa e controversa questione della credibilità dei racconti dei bambini abusati. In questo articolo si vuole affrontare proprio un aspetto particolare delle rivelazioni, cioè la presenza in esse di elementi così insoliti o raccapriccianti da poterne minare la credibilità. Continua a leggere

Quando la medicina pensa

di Augusta Foni*

 

Incertezza in medicina… probabilità… errore, ma anche possibilità per i medici di  gestire in modo responsabile questi aspetti dell’attività clinica. Scritto da un medico d’urgenza su tanti nodi della propria attività professionale, il libro di Daniele Coen, L’arte della probabilità. Certezze e incertezze della medicina (1), mi è sembrato subito un’importante occasione per esplorare una volta tanto quello che succede “dall’altra parte”, l’altra faccia della luna, quella dei medici.

E per di più seguendo il racconto di uno di loro, che dopo un’intensa esperienza ospedaliera definisce la medicina come “artigianato di alto livello che si basa su di un buon numero di conoscenze scientifiche, su di un approccio probabilistico alle scelte e sull’attenzione empatica ai bisogni del singolo individuo (pag. 14). L’intento esplicitato dall’autore, poi, ha fatto da detonatore, visto che si presenta come offerta ai lettori di qualche strumento per avvicinarsi al mondo della medicina e interagire con i medici in modo più consapevole. La paziente che è in me si è precipitata a leggere il libro. Continua a leggere

Cercasi babysitter… per mamma e papà

di Zita Salmastri*

Non avendo figli, posso solo immaginare quanto sia delicato il momento in cui i genitori sono costretti, per motivi di lavoro o di altra natura, ad affidarli a una babysitter.

Di sicuro si procederà a una selezione il più rigorosa possibile, allo scopo di individuare la persona migliore per il proprio bambino. È probabile che si commettano degli errori, o che per qualche ragione non ci si senta soddisfatti della scelta effettuata. Oppure potrebbe semplicemente capitare che, a un certo punto, la preziosa giovane donna alla quale si è delegato il compito di cambiare i pannolini, preparare la pappa e inventare storie e giochi sempre nuovi per intrattenere l’adorato pupo nelle lunghe ore di lontananza forzata, molli quest’ultimo al suo destino magari perché ha deciso di fare il giro del mondo.

Eventi del genere, ne sono sicura, scatenano il panico in famiglia: è complicato e faticoso per motivi pratici e psicologici mettersi in cerca di una persona nuova, anche questa, come la precedente, da scegliere con il massimo scrupolo prima di essere certi ancora una volta di poterle affidare il proprio pargolo.

Eppure, vi garantisco, c’è di peggio. A farmi trarre una simile conclusione, è stato l’istruttivo approfondimento che il numero 3 – Estate 2021 di Prospettive Sociali e Sanitarie, ha dedicato al pianeta “badanti”, le babysitter dei nostri anziani, le mamme e i papà di molte e molti cinquantenni alla ricerca costante della formula magica che permetta loro di tenere insieme figli, lavoro, mantenimento di una decente forma fisica e altre aspirazioni più e meno appropriate all’età anagrafica raggiunta. Continua a leggere