Responsabilità sociale dell’impresa e responsabilità sociale dell’individuo

di Eleonora Maglia*

Un’impresa socialmente responsabile struttura la propria strategia e la gestione aziendale in modo tale da tenere autonomamente in considerazione interessi terzi, diversi dal mero profitto ed ascrivibili alla sfera sociale e ambientale. Secondo la Commissione Europea (2001, par. 21) infatti “essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate. L’esperienza acquisita con gli investimenti in tecnologie e prassi commerciali  ecologicamente responsabili suggeriscono che, andando oltre gli obblighi previsti dalla legislazione, le imprese potevano aumentare la propria competitività”. Ciò perché i comportamenti socialmente responsabili contribuiscono significativamente a legittimare l’azienda, grazie ad una maggiore partecipazione interna e a migliori relazioni di lungo termine con gli stakeholder (Balluchi e Furlotti, 2017).

Le motivazioni a comportamenti etici non sono tuttavia del tutto opportunistiche. Secondo Ekington (1994), nel momento in cui si prende una decisione di tipo aziendale, è impossibile distinguere perfettamente gli effetti economici dalle conseguenze sociali ed ambientali. Infatti, per Porter e Kramer (2011), il mercato stesso è definito tanto dai bisogni economici quanto dai bisogni sociali. L’interconnessione è quindi stretta, dato che, da un lato, l’azienda ha bisogno di una comunità in buona salute, non solo per creare domanda per i suoi prodotti, ma anche per avere un ambiente favorevole. D’altro lato, la comunità ha bisogno di imprese di successo per mettere a disposizione dei suoi membri posti di lavoro ed opportunità di creazione di ricchezza. L’obiettivo comune diviene dunque creare valore condiviso, posto che i danni sociali ed ambientali comportano costi e danni generalizzati. Così, una decisione è etica se soddisfa contemporaneamente le tre variabili persone, pianeta e profitti (note come 3P) postulate da Hall (2011). Le pratiche di lavoro utilizzate quindi devono essere corrette (monitorando che ciò avvenga lungo tutta la catena del valore) e l’impresa è tenuta a contribuire per migliorare il benessere della comunità anche sostenendo in prima persona interventi di welfare, in linea con i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (anche noti come SDGs, Sustainable Development Goals) approvati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030.

RSI in pratica

Operativamente realizzare piani d’azione etici in azienda è molto difficile, si tratta di una vera alchimia, un equilibrio fragile che comporta continui aggiustamenti, soprattutto nelle organizzazioni di piccole dimensioni o familiari, in cui spesso è la buona volontà a supplire a mancanza di strumenti, di conoscenze e di formazione puntuale su un tema vasto. In un recente volume di ricerca, edito da Guerini Next, Storie di ordinaria economia di Massimo Folador, l’autore riconosce appunto l’impegno dei diretti protagonisti a costruire business etici, riportando per voce degli stessi 24 esperienze  (tra cui Banca Etica, Nau e Yamamay). Il pregio dell’opera è dato dall’inclusione nel panel di casi di studio, non solo di realtà aziendali, ma anche di ospedali ed orchestre sinfoniche. Tutto ciò, dà modo di apprezzare l’impegno profuso per un futuro migliore anche a livelli diversi dalle grandi imprese, cui più usualmente ci si riferisce per illustrare programmi di responsabilità sociale.

Anche le società sportive possono attivarsi in senso etico e comunitario. Nella società Rugby Parabiago, ad esempio, attraverso team building si sperimentano in allenamento i concetti di collaborazione, supporto e comunicazione efficace, aspetti che attengono tanto il mondo del lavoro quanto il mondo sportivo. Qui, l’idea di spirito di squadra trascende anche i limiti del campo da gioco, con importanti ricadute territoriali. I progetti d’impatto sociale sono molti, tra essi TOTS (che coinvolge 300 bambini di 2/5 anni assicurando loro attività psicomotorie e socializzazioni quando il contesto sociale non lo permette) e la collaborazione con la Cooperativa sociale la ruota (orientata a migliorare le capacità fisiche e relazionali di 30 giovani con ritardi psichici). Ma a Rugby Parabiago si va oltre anche i limiti nazionali e, con L’Associazione Golfini Rossi, in Tanzania, sono stati ingaggiati 2.000 bambini cui si cerca di trasmettere i principi etici dello sport.

Il rugby non è lo sport nazionale (anche se la partecipazione dell’Italia nel Torneo Sei Nazioni ha corroborato la notorietà e la diffusione della disciplina), i rugbisti non sono atleti professionisti e le risorse a disposizione delle società rugbistiche sono considerevolmente contenute. Tuttavia, si tratta di un contesto altamente leale ed inclusivo (con il terzo tempo, un momento comune post-partita di convivialità tra le squadre avversarie in campo). Qui i praticanti, i familiari e i simpatizzanti prestano volontariamente tempo ed energie anche per progetti davvero pregevoli, come nel caso di Rugby Parabiago. Questo felice esempio virtuoso mette in luce un aspetto cruciale in tema di responsabilità sociale d’impresa, ovvero l’identità. L’esperienza descritta dimostra infatti che costruire un progetto partendo dai propri valori di riferimento produce una differenza in termini di impegno profuso e di risultati raggiunti, in conformità con la teoria dell’aspettativa postulata da Vroom (1964), secondo cui è il livello di convinzione della rilevanza del risultato perseguito a determinare il livello di sforzo e di prestazione agiti.

Considerazioni conclusive

In questo articolo si è posta come incipit la definizione comunitaria di responsabilità sociale d’impresa (perché sul tema vi sono obblighi di legge storici e recenti cui i datori di lavoro sono chiamati a dare esecuzione), ma si è anche cercato di porre l’attenzione sull’orientamento alla giustizia che le persone dimostrano diffusamente ed autonomamente negli scambi sociali e nelle relazioni (Adams, 1963) e si è indicato un percorso di lettura e un caso che sottolineano la possibilità di adoperarsi per la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale a diversi livelli. L’obiettivo che ci si è così proposti è promuovere un ragionamento sull’opportunità di perseguire la responsabilità sociale anche in senso individuale, posto che, come leva verso comportamenti virtuosi, rispetto a costrizioni e controlli stringenti, risulta più promettente il tentativo di promuovere un cambiamento culturale. L’auspicio è che contribuendo all’informazione e alla sensibilizzazione sul tema si contribuisca anche alla diffusione a cascata di atteggiamenti corretti e al controllo positivo delle proprie azioni, in modo che diventino automatismi nella routine quotidiana, lavorativa e non.

 

Riferimenti bibliografici

  • Adams J.S., 1963, Toward an Understanding of Inequity, Journal of Social Psycology, nov.
  • Balluchi F. e Furlotti K., 2017, La responsabilità sociale delle imprese. Un percorso verso lo sviluppo sostenibile, Torino
  • Commissione Europea, 2001, Libro Verde. Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles
  • Elkington J., 1994, Toward the sustainable corporation: win-win-win business strategies for sustainable development, California Management Review, 36, 2
  • Folador M., 2017, Storie di ordinaria economia. L’organizzazione (quasi) perfetta nel racconto dei protagonisti, Guerini Next, Milano
  • Hall T. J., 2011, The triple bottom line: what is it and how does it work?, Indiana Business Review, 86, 1
  • Porter M.E. e Kramer M.R., 2011, Creating shared value, Harvard Business Review, 89, 1
  • Vroom V.H., 1964, Work and Motivation, New York

 

*Dottore di ricerca in Economia della produzione e dello sviluppo

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