Il nonno si è perso, lo prendo per mano

Storie di nonni, nonne e nipoti negli albi illustrati per i piccoli

di Cristina Sironi*

Se, come dice una nota canzone, per fare un albero ci vuole un seme, bisogna imparare a spargere semi in abbondanza per far crescere un mondo inclusivo e accogliente che abbia rispetto per le diversità. Leggere e raccontare belle storie ai nostri bambini significa investire su un futuro migliore, preparare le loro menti ad accogliere e a far germogliare le realtà anche più scomode e dolorose con libertà e meraviglia.

Faccio riferimento a tutti quei bambini che sempre più sovente hanno la possibilità di conoscere i nonni e magari anche i bisnonni, di vivere e crescere con loro, giocare e farsi coccolare fino ad accorgersi, a un certo punto, di loro strani cambiamenti, curiose dimenticanze o inquietanti comportamenti. E allora nascono le domande: perché la nonna mette le chiavi nel freezer? Come mai il nonno mi ripete sempre la stessa domanda anche se gli ho appena risposto? Ma cosa fa la nonna, si toglie il vestito per uscire? E il nonno si picchia la gamba perché non riesce a trovare una parola…? Cosa sta succedendo?

La demenza è una malattia che spariglia le carte, trasfigura e trasforma le persone malate che adottano comportamenti spesso incomprensibili, che lasciano interdetti e confusi coloro che stanno loro vicino. È una malattia che scompiglia le famiglie e le mette a dura prova perché impone cambiamenti organizzativi in tutti gli aspetti della quotidianità. Ha costi emotivi rilevanti: fa paura non essere riconosciuti dalle persone amate!

I bambini sono acuti e sensibili osservatori e spesso sono i primi ad accorgersi delle stranezze dei loro cari e cominciano a interrogarsi e a interrogare i genitori. Cosa fare? spesso risulta difficile parlare di questa condizione e talvolta la tentazione è quella di tacerne o di sviare il discorso o minimizzare e cercare di tenere lontani i piccoli dai nonni, per ‘proteggerli’, per timore di destabilizzarli. Ma come ci indica la psicologa Alba Marcoli: “qui può entrare in gioco un vecchio stereotipo culturale della nostra società, in cui tutti noi siamo stati allevati ed educati: la convinzione che i bambini siano troppo piccoli per capire e che vadano protetti dalle verità dolorose (…), nella loro “beata innocenza”. Peccato che questa “beata innocenza” esista in genere solo nella testa e nelle illusioni degli adulti.” (Marcoli, 2014).

Dobbiamo allora ammettere che questa ‘congiura del silenzio’ non funziona: anzichè aiutare i piccoli a capire, può far aumentare in loro la preoccupazione e il dolore per l’allontanamento dai nonni, può farli sentire abbandonati dagli adulti (e perdere così dei punti di riferimento, (1)  o incompresi e soli. Finiranno comunque per darsi delle risposte, spesso le più catastrofiche e minacciose, o per attribuirsi la responsabilità dei cambiamenti che avvertono in famiglia.

Invece è importante non fingere, dare spiegazioni rassicuranti con parole giuste, semplici, quotidiane che spieghino che è la malattia a cambiare i nonni e che è normale aver paura e provare emozioni contrastanti, ma che non c’è pericolo perché non si tratta di una malattia contagiosa. E soprattutto ricordare loro che la relazione affettiva resta immutata e i nonni continuano ad amarli.

In questa delicata comunicazione quale strumento può essere d’aiuto, se non l’uso di storie? L’uomo da sempre ha affrontato i misteri dell’esistenza elaborando delle narrazioni che mettessero ordine negli eventi per renderli più tollerabili, che dessero un nome e una forma a ciò che era sconosciuto e faceva paura, per poterlo considerare più famigliare e riconoscibile. Attraverso le storie le difficoltà della vita sono risultate più accettabili e affrontabili nella nostra esperienza. Così accade per i bambini, anche per i più piccoli. E non c’è supporto migliore per loro degli albi illustrati perché, con le loro particolari caratteristiche, sono degli straordinari mezzi di relazione, “capaci di raccontare i sentimenti che escono dai perimetri dell’ovvio, del prevedibile, per dare voce all’incontro. Libri che dichiarano la diversità come preziosa risorsa capace di riconoscere le peculiarità della persona.” (Fierli et al, 2015, pag. 21)

E di questo c’è bisogno per educare i bambini ad avere uno sguardo che sappia mettersi nei panni di un altro, sospendere il giudizio e immaginare nuove possibilità per sé e per gli altri. Tuttavia, una buona storia, se aiuta i bambini a sentirsi meno soli e a trovare delle spiegazioni a situazioni difficili, aiuta anche i genitori a mettersi in ascolto, a svelare le proprie paure, a trovare insieme spunti di riflessione e a stare in una relazione positiva, in cui si cresce insieme in un dialogo più intimo (2).

Infatti è importante che la lettura sia fatta insieme, ad alta voce, attraverso una vicinanza, un contatto fisico e simbolico, uno scambio di emozioni che rafforzi il legame affettivo con l’ascolto, l’intimità e la complicità. Il leggere insieme apre alla dimensione della cura: è un’iniezione di fiducia, è condivisione, attenzione, affettività reciproca.

Proprio gli albi illustrati soddisfano queste esigenze perché sono dei ‘libri progetto’ (Fierli et al, 2015, pag. 25) pensati con cura in ogni loro dettaglio: la carta, il formato, i caratteri, i colori… Qui immagini e parole sono complementari, si valorizzano e completano a vicenda. Hanno poi una qualità editoriale particolare e innovativa: sono delle piccole opere d’arte che educano alla bellezza, anche nel trattare contenuti difficili e ostici. Si rivolgono prevalentemente a una fascia d’età dai 3 ai 6 anni, ma alcuni sono dei classici per ogni età.

Nel panorama dell’editoria italiana non sono tanti gli albi che raccontano di anziani con demenza e dei loro nipoti, ma soprattutto sono poco conosciuti e diffusi. Ho fatto una ricerca (tra quelli del Sistema Bibliotecario Milanese) per proporre ai genitori uno strumento che sensibilizzasse i bambini alle problematiche di questa malattia e che favorisse una cultura inclusiva per questo problema che rischia spesso lo stigma, l’emarginazione, soprattutto nelle piccole comunità. Ho selezionato una dozzina di testi che mi paiono significativi. Innanzitutto è interessante notare che negli ultimi dieci anni la produzione si è intensificata, a significare che il problema è sentito e che merita attenzione. Alcuni sono più didascalici e forniscono anche indicazioni sulla malattia, altri sono più giocati sull’immaginazione.

Tra i primi, con qualche suggerimento pratico, troviamo “Nonno ricordo & Nonna memoria” (Marelli, 2021) un racconto in rima, dove i protagonisti sono una coppia di anziani: lei perde progressivamente la memoria e lui la aiuta, la incoraggia, la stimola con il supporto della famiglia intera. Un esempio positivo di come accompagnare, sostenere e continuare a coltivare la relazione con chi è in difficoltà per la malattia, senza colpevolizzazioni.  Anche in “Nonna dimentica” (Russel, 2019) è tutta la famiglia che si fa carico di sostenere con pazienza e affetto la nonna e sono anche qui presenti schede informative su come affrontare il tema con i bambini. Esiste poi un testo prodotto dalla Associazione Italiana Malattia di Alzheimer “Mia nonna è diversa dalle altre” (Aranega, 2000), in cui il protagonista è Gianni, il bambino che racconta con amorevolezza e con il supporto famigliare, perché la sua nonna è diversa. Ogni immagine rimanda -alla fine- a delle note esplicative sui comportamenti della nonna e sugli atteggiamenti da tenere, come ad esempio: “al momento di pagare, la nonna tira fuori tutti i soldi dal portamonete. Non si ricorda quali banconote deve dare e per questo Gianni la aiuta a ricordare.” In questi testi emerge il ruolo inclusivo e solidale della famiglia, che condivide la fragilità e il dolore e lo affronta facendo rete, tenendosi per mano, sperimentando la solidarietà intergenerazionale che diventa protezione reciproca e insegnamento di vita: un valore educativo importante.

In altri albi sono soprattutto i bambini a entrare direttamente in relazione con i nonni, alle volte con la mediazione di un genitore, ma più frequentemente da soli. Si tratta di bambini attenti, curiosi, sensibili, a volte impauriti e spaventati che si interrogano e cercano risposte. Spesso sanno cogliere l’occasione di un proprio disagio per trasformare questa esperienza attraverso l’intuito e l’immaginazione, come accade in “Nonno” (Altes, 2012) dove il nipotino, di fronte alle stranezze del nonno, al suo invecchiare, lo abbraccia con semplicità, e gli propone quelle attenzioni di cura che il nonno aveva avuto per lui come il leggere insieme, l’osservare gli alberi, consapevole che l’affetto non si perde ed è ciò che risolve le situazioni. Qui come altrove, senza nominare la malattia, spesso i mutamenti sono attribuiti anche al passare del tempo, fornendo una chiave di lettura importante per il bambino. Le immagini si sviluppano in un bicromatismo di beige e rosso che rende l’atmosfera intima e delicata. Con la stessa dolcezza in “Una canzone” (Vincenzi, 2021) una nipotina chiede alla nonna di riportare alla memoria tutti i bei momenti che sono stati accompagnati dalla musica, per rievocare sensazioni perdute attraverso le canzoni: quella che le cantava quando era piccola, quella che ascoltavano sul giradischi rosso … e quando la nonna non riesce più a ricordare è la nipotina che l’accompagna nel ricordo sonoro ed evocativo di oggetti e affetti, senza perdere il contatto. Anche qui le immagini delicatissime raccontano più di quanto si dice e sanno ricreare melodie e le emozioni che suscitano. Un registro più scanzonato è invece quello di “Un nonna tutta nuova” (Steinkellner, 2015), dove Chicca confronta la nonna come era prima: viaggiatrice, criticona, ottima cuoca, con quella di ora che ha fatto le valigie per l’ultima volta quando è andata a stare da loro ed è diventata pasticciona e buffa ma molto più simpatica e divertente ed è proprio per questo che le vuole bene! Ritorna la scansione del tempo in un prima e un dopo che apre comunque alla fiducia nel futuro.

Ne “La marea” (Welsh, 2019) invece si racconta di una giornata al mare. Protagonisti una bambina, la mamma e il nonno che comincia a fare varie stranezze come mettere i panini nella sabbia. La bambina si sente smarrita, innervosita da queste bizzarrie e chiede aiuto alla mamma. Le viene spiegato che come la marea, anche la memoria si porta via i ricordi e allora la bimba accetta che il nonno non si ricordi più di quella volta che insieme l’hanno osservata salire e si concentra sul bene che si vogliono. Quello sì che resta! Il testo ci mostra un adulto mediatore che sa spiegare con semplicità, attraverso l’uso di una metafora, una difficile malattia, riportando quella serenità così importante in queste situazioni famigliari. Un’altra metafora interessante è quella della ‘maglia della memoria’ che il nonno Ignazio dimentica ogni tanto di indossare ne “La maglia del nonno” (Genisi, 2012), “per questo ci sono giorni in cui non ricorda bene tutto quanto”. Ma il nipote lo accetta: “tra me e il nonno, adesso, sono io il più grande” e non perde la voglia di giocare con lui e divertirsi insieme. Ma c’è una cosa che proprio non gli piace: “se nonno è a casa con noi, non ho il permesso di invitare i miei amici. Non capisco perché.” E qui si incontrano le paure dei genitori che fanno scelte incomprensibili al bambino che ha accettato forse meglio di loro la nuova condizione del nonno e sa arrivare a questa considerazione: “il nonno a volte c’è, a volte non c’è, ma so che non si dimenticherà mai davvero di me”.

Anche Paolino in “Facciamo che eravamo” (Roncaglia, 2006) ha bisogno di una indicazione di un adulto per capire che il dimenticarsi del suo compleanno da parte del nonno, è dovuto alla malattia e non a poca attenzione o affetto. Così Paolo, cresciuto, recupera un antico gioco di fantasia che facevano insieme e lo riporta nella relazione, anche se il nonno non lo riconosce più e non ricorda il suo nome: “Facciamo che eravamo nonno e nipote. Io mi chiamavo Paolino e tu nonno Aldo, va bene? Tante volte il nonno ha fatto questo gioco per me, adesso lo faccio per lui.” In questo modo il nonno riesce a ritrovare la strada di casa e ritornare al paese natio.

È invece Leo, il fratello maggiore, a venire in aiuto del fratellino in “Nonna perde le parole” (Davie, Saillard, 2021)  che urla a squarciagola la sua paura perchè la nonna ogni tanto smette di parlare. E teme il peggio: perderà anche i pezzi del corpo, oltre alle parole. Insieme i fratelli si mettono a cercare le parole per annotarle e in questo modo il dolore sarà più sopportabile.

Nell’albo “Le parole scappate” (Papini, 2011) a fare da mediatore per l’incontro tra due realtà complesse e dolorose, quelle di un bambino dislessico e di una nonna con Alzheimer, non è tanto il gioco, né la scrittura quanto il disegno che permette a entrambi di trovare un modo di comunicare, di stabilire un contatto armonioso ed empatico senza ricorrere alle parole che mettono entrambi in difficoltà.

Particolarmente originale ho trovato “Mio nonno sta svanendo” (Baum, 2021), dove il nipotino va a trovare in casa di riposo il nonno centenario che lo scambia per suo fratello… Che fare? Come in una moneta, due le alternative: ascoltarlo e assecondarlo o chiamare gli adulti? La scelta è di seguire il nonno in giardino e dai suoi gesti ricreare scenari western che consentono loro di vivere insieme avventure di Sioux e cowboy. Si dedicano tempo, attenzione. L’originalità è anche visiva: si alternano pagine in cui la scritta del titolo svanisce e contemporaneamente si ricompone con brevi tratti il volto del nonno, come se il processo di ricostruzione dell’identità del nonno fatta dal nipotino procedesse in parallelo allo svanire della memoria del nonno. Anche i colori caldi utilizzati del rosso, bruno e verde suggeriscono bene l’intensità della relazione.

Uno sguardo diverso è quello di “Mi ricordo di te” (Badino, 2021) dove è il nonno che racconta alla nipotina della sua venuta al mondo e del loro rapporto, un rapporto intenso fatto di scoperte, di conoscenze, di condivisioni fino a confidarle di non sentirsi bene, di non ricordarsi alcune cose. Successivamente si incontra la nipote grandicella che porta con sé il nonno a raccogliere i pomodori e gli ricorda le cose… Questa cura affettuosa rassicura il vecchio che saprà che la fanciulla si ricorderà sempre di lui. In filigrana si introduce con delicatezza e sensibilità il tema della morte come qualcosa di accettabile, se si è lasciata una traccia del proprio passaggio nel cuore di qualcuno. Un tema che ritroviamo anche in “La nonna addormentata” (Parmeggiani, 2015) dove il nipote racconta la fatica ad accettare la sua relazione con la nonna, ora che dorme sempre. Ricorda le cose che facevano insieme e le ultime sue stranezze come chiedergli di andare con lei sulla luna… Poi la rassegnazione all’evidenza: sarà stato un principe azzurro, come lo ha rassicurato la mamma, che le ha dato un bacio e l’ha portata via con sé… Restano la nostalgia, il mistero, la piacevolezza del ricordo e dell’immaginarsi una nuova bella vita per lei: “Ora non sogna più. Vola alto con gli aquiloni. Nuota nel profondo del mare. Beve un sacco di limonata. E prepara tonnellate di pane.” È la magia della vita, dove il presente si mescola al passato per sognare il futuro. I disegni sottilmente ironici, con colori caldi e scuri e grandi campiture rendono meno dura l’assenza e alleggeriscono la tristezza.

In questi albi i nonni, sia al femminile che al maschile, sono rappresentati in genere come fonte di sapienza ed esperienza, di nutrimento affettivo, indipendentemente dai ruoli che hanno avuto nella loro vita e dalla contingenza della malattia, sono circondati come da un’aura di affettività perché rappresentano le radici, la storia da cui si proviene, la relazione quasi primigenia con la Natura: sono mentori che accompagnano i nipoti alla scoperta del mondo fisico ed emotivo, in modo diverso dai genitori, più ludico, spontaneo, con meno pretese. E queste peculiarità, anche nella realtà, sono quelle che restano nel cuore dei bambini, nonostante la malattia. Sono insegnamenti importanti di cui far tesoro anche nel momento in cui non ci saranno più. E i nipoti contraccambiano con doni di gratuita generosità e affetto spontaneo. Talvolta riescono a far rifiorire la vita dell’altro, riportando il nonno nell’emozione e nel ricordo di quando era lui a coccolare. I bambini sanno cogliere l’essenziale, perché vivono la fragilità, percepiscono con il corpo i sentimenti e l’affetto e utilizzano fantasia e immaginazione per costruire relazioni. Dobbiamo solo saperli ascoltare.

 

Note

  1. Rinvio alla scena di sgomento del film “La sala professori” (2023), in cui il ragazzino chiede insistentemente spiegazioni ai professori di un fatto grave accaduto alla mamma nella scuola dove lavora e che lui frequenta e nessuno glielo vuole raccontare.
  2. Sui benefici della lettura ad alta voce per i genitori, nello specifico i padri, rimando a un interessante articolo di M.E. Scotti, “Padri lettori”, in Liber, n.109, 2016, pp. 52-3.

Bibliografia

*Educatrice professionale e formatrice

Nel contesto della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, Cristina Sironi assieme a Cristina Cortesi propongono a Milano due incontri di sensibilizzazione presso la Biblioteca Gallaratese, in Via Quarenghi 21:
– Sabato 21 settembre, ore 11 – 12.30 – SALA POLIFUNZIONALE VICTORIA AMELINA
Incontro per GENITORI: indicazioni e strategie per affrontare il tema con i figli attraverso una selezione di testi.
– Sabato 28 settembre, ore 16 – 17.30 – SALA RAGAZZI
Incontro per FAMIGLIE: lettura recitata di storie adatte a bambine e bambini 3-6 anni.

Un progetto di Curopoli ETS in collaborazione con Quintassenza Teatro no profit. Ingresso libero.

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