DSM V e il collezionismo di patologie (1)

di Edoardo Re*

Attendevo da anni che la mia passione collezionistica fosse adeguatamente diagnosticata e stigmatizzata per potermene finalmente giustificare con consorte ed amici. Ebbene questo momento è arrivato grazie al nuovo DSM V , appena pubblicato. Finalmente una dignità nosologica per noi collezionisti, un disturbo che è solo nostro, isolato dalla massa degli altri. Finalmente il “disturbo da accumulo patologico” ci differenzia da tutti gli altri ossessivi, e solo noi ossessivi sappiamo quanto ci sia necessario distinguere i nostri prodotti escrementizi da quelli altrui (ricordate la famosa cacca blu freudiana che il paziente sognava di riuscire a riconoscere dovunque andasse a finire?).
Come noi molti altri avranno tra poco la fortuna di trovarsi entomologicamente spillati nell’elenco di oltre 370 malattie mentali, un numero che aumenta ad ogni nuova edizione del famoso manuale (nella prima edizione degli anni cinquanta erano solo 70). Fortuna che ne sono usciti gli omosessuali (gli “egosintonici” nel 1974 e gli “egodistonici” solo nel 1990!) e le persone tristi, pardon, affette da “tristezza”, ma solo l’anno scorso e ancora una volta grazie ad una insurrezione bonomiana tipo “depressi di tutto il mondo unitevi” contro gli estensori della nuova edizione.

Ci aspettiamo con il DSM V le proteste, o il sollievo degli anziani del gratta e vinci di fronte al fatto che la loro non è più (solo) una patologia, ma un vero e proprio “disturbo di personalità dipendente”. Per non parlare della gioia maligna delle mamme di fronte ai loro bambini iperattivi e capricciosi finalmente riconosciuti come portatori di un “disturbo bipolare dell’infanzia” introdotto ora (nel DSM IV bipolari “potevano” essere solo gli adulti).
Grazie a questo trend classificatorio quei bimbi non sono più soli, ma in buona compagnia di migliaia di loro coetanei, il disturbo è infatti cresciuto (leggi diagnosticato) negli States di quattro volte negli ultimi dieci anni.
Ma tant’è, si pensa, come fa uno psichiatra senza il suo manuale, come farebbe a scegliere il farmaco vincente o la psicoterapia giusta, e come farebbe a raccontarsi i casi con colleghi di altri paesi? In queste settimane di tam tam preeditoriale il DSM viene richiamato dai media come “la bibbia degli psichiatri”.
Se bibbia è c’è di buono che al di fuori delle università e dei ricercatori ben pochi se la studiano e ristretta è la cerchia degli osservanti, e nel nostro paese siamo abbastanza anarchici e artigianali, almeno come professionisti se non come elettori, da evitare l’adulazione di verità apparentemente forti. Si spera che anche i colleghi d’oltralpe non cadano troppo in queste trappole, certo è che per ora la vaghezza ludens dei colleghi APA (American Psychiatric Association) ben si sposa con il loro sistema sanitario e con le pressioni di amministratori e assicuratori a stelle e strisce.

Come si fa a pensare al direttore generale di una clinica newyorkese (e non solo newyorkese!) che non pretenda il dettaglio di quanto si spende per curare che cosa? Come si fa a non pensare alle esigenze di un’assicurazione di fronte al rischio di una morte per suicidio in chi è abitualmente giù di morale? Come e quanto questi “è giù”, e quanto “abitualmente”, e che depresso era, pardon che tipo di depressione aveva, e quanti di quei certi depressi si uccidono? Occorre sapere tutto ciò con la massima precisione! Mi auguro che il nostro sistema economico e politico regga abbastanza per evitarmi di veder rifiutare il lavoro ai certi individui geneticamente esposti o di veder ricorsi per la mancata comunicazione al paziente della sua diagnosi.

Molto simpatica era al proposito la novella fantapsichiatrica circolata qualche anno orsono sulla paziente con disturbo di personalità acritico-dipendente che era uscita a cena con un borderline aggressivo-seriale, facendosi sedurre e quasi uccidere. Qui nasceva il problema, ovvero non era morta e aveva potuto denunciare il suo psichiatra per non averla avvertita di non esporsi a certi rischi relazionali.
E questi sono gli americani e gli assicuratori, ma pensiamo anche a tutto il nostro impegno nazionale nei conteggi e statistiche di morbilità o nel calcolo dei costi/benefici dei trattamenti. Rilevazioni indispensabili forse, inevitabili certo, e che certo necessitano di riferimenti descrittivi precisi delle diverse patologie, ma non illudiamoci ulteriormente che queste indagini possano essere utili nella scelta di cosa fare quando abbiamo davanti una persona che ci chiede di star meglio, e questo vale sia per i terapeuti individuali sia per le equipes dei servizi.

Diverso forse sarà quando verrà individuato il marker ematico che ci indica il farmaco giusto o scannerizzeremo ambulatorialmente il cervello dei nostri pazienti per scegliere quale psicoterapia “applicare” con la miglior “predittività” di “guarigione”. Qui non si tratta di opporre bio a psico, ma di opporre il buon senso alla furia classificatoria che sembra non essersi arrestata, malgrado e forse anche a causa, dello sforzo di integrare contribuiti e approcci anche molto distanti in un unico registro condiviso e il più possibile scientifico. (continua in un prossimo post)

*Psichiatra, Segretario Nazionale WAPR Italia, redattore del mensile Prospettive Sociali e Sanitarie

4 pensieri su “DSM V e il collezionismo di patologie (1)

  1. francescoflower

    Articolo ben scritto, per quanto veritiero, pur toccando tematiche molto serie, mi faceva ridere… un pò amaramente…

    Rispondi
  2. Vittorio Cipolla

    Salve Dott. Re,

    (non manca una o, si tratta di convenevoli). Articolo scritto brillantemente; che il sottoscritto ha trovato per caso, visto che di queste cose è da anni che non ne vuole, volutamente leggere. E forse a ragione , considerata quella che Lei definisce “furia classificatoria”, la quale, aldilà della materia, è da sempre prerogativa del sogno americano, da aggiungere alla Loro smania di record per cui “la più grande catastrofe” o “il più violento uragano” è sempre l’ultimo e mai il precedente.

    Dottore, da profano, Loro, non erano quelli che con un breve questionario somministravano Ritalin a bambini “iperattivi”?
    Non erano quelli che “preparavano il mercato” e poi prescrivevano farmaci contro la “sindrome delle gambe stanche”?

    Distinti Saluti
    Vittorio.

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *