Partecipazione tra sociale ed ecosostenibile. Orizzonti corti e orizzonti c-orti.

di Andrea Pancaldi*

babeleSmart cities, orti urbani, beni comuni, social street, sharing economy, riuso, riciclo, baratto, cittadinanza attiva, e-democracy, secondo welfare, wiki government…circular economy.

Che sia proprio vero che ne uccide più la lingua che la spada?

Negli anni ’90 post muro di Berlino, la crisi di rappresentanza di partiti e sindacati portò all’esplosione del fenomeno del volontariato, prima, e del terzo settore poi, con relativo corollario di un nuovo vocabolario (non profit, finanza etica, impresa sociale, a riprova di una via italiana sostanzialmente economica al terzo settore), dentro ad una idea di società civile come collante che permetteva alla società di resistere e ri-esistere. Ora, nell’era del compimento della dissoluzione delle rappresentanze, in particolar modo il venir meno della rappresentanza data dal lavoro e dalla appartenenza politica e dei relativi luoghi, un nuovo vocabolario si affaccia all’orizzonte, intrecciandosi, sovrapponendosi, sostituendosi, confrontandosi, scontrandosi con quello/i precedenti.

Un vocabolario che tenta di ri-definire le logiche, i contorni, i confini delle rappresentanze nell’eterno incontro/scontro tra lo spazio pubblico e lo spazio privato, tra società e politica, tra comunità e istituzione, tra istituito e spontaneo. Terminologia che qualcuno chiama della social innovation e che ha provato anche a mettere nero su bianco con un vero e proprio vocabolario. Sarebbe opportuno conservare memoria di ciò a cui i vocabolari danno voce e trarre, dai corsi e ricorsi storici, opportune indicazioni, come mi capitò di scrivere molti anni fa sulle pagine della rivista Accaparlante.

Per i non addetti ai lavori è oggettivamente difficile tenere conto di tutti i cambiamenti che avvengono dentro i meccanismi di partecipazione e scambio tra cittadini, singoli o associati, e amministrazioni locali. Dalla partecipazione anni ’70, quella cantata da Giorgio Gaber (“libertà è partecipazione”) si è passati ai temi del volontariato e del terzo settore negli anni ’90 dentro la retorica della società civile, per approdare più recentemente, nell’era della crisi, ai concetti di cittadinanza attiva e di beni comuni e alla centralità della comunità e delle pratiche di coesione sociale.

Parole chiave come partecipazione, cittadinanza, sussidiarietà, società civile, bene comune si sono dovute confrontare negli anni con le fatiche tra politica e cittadini, con il dilagare della comunicazione e delle sue nuove forme tecnologiche esse stesse fattesi partecipazione (vedi le cosiddette Social street, di cui si è trattato anche in questo blog (ndr), nelle quali, ad esempio, gli aderenti non sentono alcuna necessità di costituirsi in associazione in quanto è il mezzo stesso a fungere da collante associativo) e anche agire politico (la democrazia digitale, i grillini, le elezioni tra comizi e twitter). Dentro tutto ciò la crisi mette in dubbio vecchi modelli, di welfare soprattutto, e sollecita ancor più all’integrazione tra i diversi attori e le diverse politiche, prendendo la comunità, il territorio, i cittadini residenti come unità di misura di molti dei processi.

“Le associazioni perdono attivisti. E le ideologie aggregano sempre meno” scrive il Censis nel suo studio Il vuoto della rappresentanza degli interessi“.  Solo il 15,2% degli italiani condivide ancora una qualche forma di appartenenza di classe. Ancora più debole è la forza delle ideologie: solo il 5,2% degli italiani si sente vicino a persone che hanno le stesse idee politiche (2,8%). I fattori che invece innescano meccanismi di appartenenza oggi riguardano la dimensione individuale delle persone: al primo posto (26,6%) c’è la condivisione dello stesso stile di vita. Interessi culturali, vacanze, sport riescono a sviluppare maggiore senso di appartenenza.

Di social street, alimentare, tweet e una società ancora nel guado

Se è vero quello che dice il Censis allora si capisce perchè cambino anche gli “spazi” in cui le appartenenze si manifestano, diventando in un certo senso più corti, perchè il pensiero tiene dentro prospettive più corte, per ora almeno, in quanto la lunghezza era garantita invece dalle ideologie, vedi terzomondismo, movimenti antiglobalizzazione, appartenenze partitiche nazionali, che ora non sono più date.

Non forse a caso Aldo Bonomi scriveva nel 1996, venti anni fa, nel suo saggio Il trionfo delle moltitudine. Forme e conflitti della società che viene, dedicato ai cambiamenti della società in cui siamo ancora immersi, società civile, terzo settore, partecipazione, rappresentanza compresi: “occorre osservare nel mutamento socio economico (…) alcune fenomenologie, come il riposizionarsi di quel luogo intermedio ove prendevano corpo le rappresentanze – la società di mezzo – con il passaggio da logiche di interessi a dinamiche spaziali”.

Da questo il protagonismo delle città (la smart city), delle strade, dei cortili, delle piazze, degli orti, dei giardini, perfino delle aiuole (che evocano ricordi di infanzia legati alle vocali, aeiou) in cui sorgono minuscoli orti condivisi, che sono il corto possibile per tenere insieme una idea praticabile di appartenenza sociale ed ambientale in cui ri-conoscersi. Il corto, anzi, meglio e scherzosamente, il c-orto, come sconfitta, che la crisi della partecipazione, della rappresentanza, ci riconsegna, almeno in parte, e rilancio insieme? (la foto al cui link rimandiamo, scherzosamente ci parla di questo).

Parrebbe proprio di si, dentro ad una dinamica in cui molto è necessario navigare a vista, in cui molto è necessario osservare con cura le parole e i significati che esprimono, in cui nascono nuovi protagonismi, nuove dinamiche acquisitive, alcune evidenti, altre che si rendono sotterranee, in cui alcuni aspetti e zone di confine sono di evidente interesse per la politica e per l’economia.

Per la politica ci riferiamo ad esempio al tema delle social street che sono di interesse dentro le riflessioni sulla democrazia digitale e dentro il diffondersi della rinnovata attenzione al tema della comunità e dell’ottica di comunità nel servizio sociale.

Per l’economico, oltre al tema della diminuzione della spesa pubblica, la connessione è evidente per il pezzo “alimentare” che, nella crisi, vede un rilancio di interesse all’interno dell’economia italiana, sia come industria che come tradizioni, ha un grande potenziale. La parentela è visibile tra “orti” e altri progetti di più chiaro stampo economico e commerciale (l’Expo sull’alimentazione a Milano, F.I.CO a Bologna, la fiera Cibus a Parma, e ancora Farinetti con Eataly, Slow food) e quanto tutto questo confina con le politiche dell’antispreco alimentare.

Il progettuale migra: dallo psico-socio-educativo al bio-smart-eco-sostenibil-civic2.0

Dentro tutto questo, quali parentele con il sociale, e il dibattito, organizzativo e di contenuti, che è in corso, e con le forme classiche che questo mondo esprime nel terreno dello scambio e del confronto con la società e le sue forme organizzate (terzo settore, volontariato, associazioni). E’ forse dentro a questo scenario, o almeno in parte di esso, che bollono molte questioni, alcune di carattere nazionale, altre più legate, o quantomeno fortemente connotate, dalla storia delle nostre città o regioni, tutte necessariamente intrecciate e tutte ancora molto fluide.

Proviamo ad enucleare alcuni punti e a farne un elenco minimamente ragionato, tenendo conto che forse si possono porre tre ordini di questioni: le questioni di scenario, le questioni organizzative, le questioni di linguaggio e/o in una qualche misura generazionali, con i relativi contenitori progettuali in cui, poco o molto, queste questioni bollono con tempi…di cottura diversi.

E qui, come già lo furono all’epoca del fiorire del volontariato e del terzo settore circa vent’anni fa, ci giungono utili le parole di Giampaolo Prandstraller e del suo volume Forze sociali emergenti: quali e perchè” (Angeli, 1995): “…ciò che accade sotto i nostri occhi spesso è oscuro. Questo paradosso vale in modo particolare per i fenomeni sociali. In certi momenti della storia, la società si presenta come un magma dove molte “forze” fanno la loro apparizione, fioriscono, s’intersecano, si trasformano. Alcune danno segni eloquenti delle loro intenzioni acquisitive, altre, animate dallo stesso scopo, sembrano scegliere la via della simulazione e del nascondimento. Processi formativi di breve durata, effimere fiamme di vitalità, appaiono mescolati a tragitti di lungo periodo, ad ascese che hanno bisogno di maturazione e di silenzio per riuscire”.

Procediamo per punti, sinteticamente e, perdonerete, anche a volte grossolanamente. Solo per aprire spunti dentro ad un dibattito molto fluido e che ha bisogno di competenze ben più esperte di quelle del sottoscritto. Consapevole anche che alcuni accenni e punti di vista inevitabilmente intrecciano l’esperienza locale da cui provengo che è quella bolognese, con tutti i pro e i contro rispetto ad un discorso che cerca di essere di taglio generale. A Bologna la partecipazione ha avuto stagioni molto dense, l’alimentare è di casa, le social street sono nate qui come il Last minut market, il terzo settore non ha realizzato certamente qui le sue esperienze più significative, quantomeno negli ultimi 15/20 anni….

Le questioni di scenario

Potremmo indicarne sostanzialmente quattro:

  • il mancato ragionamento su come le diverse stagioni della partecipazione ricordate all’inizio si innervano l’una nell’altra tra continuità e discontinuità, al di la del lessico;
  • il tema della riforma del terzo settore e l’accentuarsi per molti versi dell’approccio economicistico; l’accorciarsi dello spazio/confine tra la cittadinanza attiva e il lavoro; il tramonto o l’evoluzione del collateralismo con la politica che abbiamo conosciuto e l’emergere di nuovi modelli (ad esempio strutture di secondo livello del volontariato presiedute direttamente da politici);
  • il dibattito sulle smart cities (la competizione dei territori, anche per i fondi; interventi sempre più micro), la loro centralità nelle politiche di innovazione (sancita anche in sede UE) e il rapporto con le politiche/azioni di coesione sociale e i loro limiti (vedi i molti contributi di Enrico Gargiulo in materia); la percezione che abbiamo delle politiche sociali (regionali, nazionali, europee) e come questa si confronta con il tema della “città” e del significato dell’aggettivo “urbano”;
  • il tema della crisi dei cosiddetti corpi intermedi (funzionale alle politiche recessive, da un lato, e frutto di incapacità/difficoltà a ridefinirsi, dall’altro) e della rappresentanza sociale in genere e del venir meno dello spazio (e delle relazioni) da questi/o delineati/o.

I problemi organizzativi

Tra cui possiamo annoverare:

  • il proliferare dei tavoli (consulte, coordinamenti, tavoli dei piani di zona, forum…), il loro intrecciarsi e sovrapporsi, di cui potremmo dire gli stessi accenni di cui al primo dei punti sopra
  • lo spalmarsi tra diversi assessorati nelle esperienze territoriali di temi che invece sono legati da un filo comune che farebbero proprio di questo il loro punto di forza se ci fossero politiche integrate spesso, invece, complicate da realizzare: ad un assessorato l’agenda digitale, ad un altro le smart cities, ad un altro i beni comuni, ad un altro il volontariato….)

Problemi di linguaggio e generazionali

Possiamo segnalare alcuni esempi:

  • la social innovation e relativo vocabolario già ricordati;
  • il migrare del progettuale sociale, nell’era della crisi, dal classico psico-socio-pedagogico al bio-smart-eco-sostenibil-civic2.0. L’acquisizione del nuovo linguaggio progettuale da parte dei soggetti di terzo settore tra opportunismo, necessità, convinte e documentate adesioni. In materia basta vedere il programma del recente Workshop sull’impresa sociale con ben 4/5 sessioni di lavoro su 18 dedicate a queste tematiche. La recente stagione di fortissimo interesse per l’“alimentare” (Expo e antispreco in primis) ha visto una esplosione di progettualità attorno agli orti e al rapporto tra fasce marginali e agricoltura/cucina/ristorazione senza alcuna riflessione del perchè mai, alle persone disabili, ad esempio, dovrebbe interessare piantare zucchine invece che imparare ad usare un pc…tipico esempio del trionfo dei mezzi sui fini che caratterizza questi decenni;
  • gli aspetti generazionali: i nati negli anni ’50 hanno attraversato tutte e tre le fasi della partecipazione prima citate, altri solo qualcuna; gli aspetti legati alla comprensione delle rivoluzioni informativa e digitale e dei nuovi paradigmi della condizione lavorativa (nativi digitali; posto fisso/flessibilità);
  • il tema dei dati, lo sviluppo dell’open data, la loro gestione, il rischio che i dati invece che corredare le analisi le sostituiscano tout court.

Note

Per chi desidera approfondire, oltre ai materiali già citati, si segnala: la corposa bibliografia presente nel sito della assemblea legislativa regionale dell’Emilia Romagna

* Responsabile della redazione sociale del Dipartimento benessere di comunità del Comune di Bologna.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *