La Scrittura Terapeutica

di Sonia Scarpante*

Ho imparato in questi anni, attraverso la scrittura, ad affrontare me stessa. La scrittura mi ha salvata, come uso dire durante i Convegni in cui sono invitata ad intervenire come testimone e docente di corsi di scrittura terapeutica.

Perché parlo di Scrittura terapeutica? Quali motivazioni mi spingono a farlo?

Parlo di scrittura terapeutica perché il mio inizio di vita nuova parte proprio dalla mia autobiografia, scritta venti anni fa,  Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso, attraverso cui ho imparato molte cose della vita. Che cosa mi ha insegnato quel viaggio autobiografico? Che la scrittura è veramente un mezzo potente, un aiuto fondamentale per chi è alla ricerca di un miglior equilibrio interiore.

La chiamo terapeutica perché attraverso il lavorio continuo di una scrittura salvifica, si evince quanto essa ci possa aiutare nell’elaborare anche la sofferenza più acuta, a superare traumi di cui molti di noi portano sul proprio corpo stigmate evidenti, a sciogliere nodi, a risolvere fragilità affettive. A vincere vecchi sensi di colpa.

Grazie alla scrittura ho imparato a confrontarmi con la faccia poliedrica di ciò che ognuno di noi chiama il suo “me stesso”; ho imparato a recuperare un mio senso; ho imparato a vedere nelle mie emozioni dando loro parola. Senza temere.

La scrittura terapeutica, intesa come ricerca individuale e pratica, incrementa le forze legate all’interiorità e in tal senso migliora la qualità della nostra vita.

Da allora sono nati quindici libri e uno di questi fa riferimento alla metodologia registrata ”Metodo Scarpante” e che porto avanti nei gruppi di scrittura. Il testo che utilizzo anche nella formazione per operatori ha per titolo Parole evolute. Esperienze e Tecniche di scrittura terapeutica.

La mia autobiografia diviene il primo strumento per entrare in contatto con il gruppo e organizzare subito dopo il lavoro sull’interiorità. Mettendo a nudo una parte di me, attraverso riflessioni scritte personali e spesso sofferte, induco chi mi ascolta a produrre una narrazione simile, a scavare nella propria interiorità, al fine di giungere a un tema condiviso, per quanto soggettivamente elaborato. Il risultato è quasi sempre la produzione di scritti caratterizzati da un forte potere rigenerativo. Lo sforzo mio iniziale, quello di apertura, diviene, così, in tutti gli incontri di gruppo, primo gradino vivo verso una più consapevole ridefinizione e riformulazione di una o più tappe cruciali della nostra esistenza.

Constatiamo, durante questo percorso comune, che stando insieme è più facile elaborare disagi e traumi vissuti ma non espressi compiutamente. Impariamo a costruirci una diversa immagine interiore di noi, in modo meno frettoloso e più autentico, individuando e tirando fuori ciò che del nostro passato cerca un conforto nell’ascolto reciproco di oggi. Impariamo a rivivere e a staccarci da esso gradatamente, accettando le nostre incongruenze di ieri e i limiti di chi abbiamo avuto accanto.

Il foglio di carta ci serve per illuminare la nostra vita. Scrivere aiuta a dare interpretazioni nuove che non  conoscevamo prima, ad alleggerire il peso di sofferenze, anche acute. Tramite la scrittura nel gruppo ci si aiuta l’un l’altro in un percorso indirizzato alla fiducia e all’apertura verso il futuro. Senza sentirsi giudicati e senza giudicare. Senza pregiudizi. Arriviamo a maturare, grazie al lavoro condiviso, una consapevolezza personale e collettiva maggiore. Ci rendiamo conto che non siamo abituati ad entrare in profondità nelle relazioni e, in molti casi, che non ci siamo aperti emotivamente, come desiderato, né agli affetti né ai sentimenti.

Spesso ci rendiamo conto, confrontandoci e specchiandoci l’uno nell’altro, che per paura non abbiamo espresso ciò che veramente ci si muoveva dentro, la nostra autenticità, i nostri più vivi desideri. Diventiamo più consapevoli della nostra personalità accorgendoci che abbiamo aderito a gran parte della nostra vita difendendo ciecamente un ruolo o una nostra immagine costruita inconsapevolmente. Che per anni abbiamo agito nella difesa di certe costruzioni mentali, reprimendo in noi l’apertura, la disponibilità verso gli altri che poi si rivela, spesso, una grande ricchezza per costruire opportunità nuove. Queste spinte al cambiamento interiore e mentale vanno ascoltate e raccolte come un balsamo dagli immensi effetti benefici, un valore aggiunto alla cura medica della parte malata. Prendersi cura del nostro corpo, in questo senso, significa allargare gli orizzonti della nostra visione mentale, predisporsi all’armonia tra spirito, psiche e corpo, intesi come unicità dell’essere, ribadendo concetti di compenetrazione e di reciprocità corpo-mente elaborati dalle modernissime Neuroscienze. La scrittura permette, se noi la accogliamo senza riserve, di accedere più facilmente a questo cambiamento. La scrittura di chi partecipa al lavoro di gruppo, da ruvida, come traspare all’inizio del percorso, diviene sempre più fluida e precisa, via via che aumenta la consapevolezza del dolore attraversato e analizzato. Facile accorgersi, durante gli incontri, quanto la sofferenza diventi più consistente ed ostile quando la chiudiamo nella nostra mente, impedendo alla parola di raggiungerla per lenirla.

Nei lavori di gruppo si impara, incontro dopo incontro, a liberarci da qualcosa per poter vedere la parte migliore di noi. Dal suo essere pensata al suo venir letta, la parola scritta, ci aiuta a intravedere strade nuove di conoscenza, a metterci in gioco senza temere il giudizio di chi ci è vicino e ci ascolta. Attraverso lo scritto autobiografico, e la seguente condivisione, ci sentiamo via via più sinceri, aperti, impegnati in qualcosa che riusciamo a gestire, sia emotivamente che razionalmente.

Svelarsi non fa più paura; indagare e rivelare una parte di sé, nel procedere del viaggio conoscitivo, raggiunge momenti di apertura imprevedibili: dallo scioglimento di alcuni nodi si liberano energie mentali ed entusiasmi che, a volte, lasciano attoniti. Molti acquistano la consapevolezza che le paure sommerse, in realtà, sono solo ansie da esternare, timori infondati utilizzati come paravento per non cambiare, alibi di cartapesta per celare solo una immotivata e a lungo coltivata scarsa stima di sé; che i disagi, le sofferenze e il senso di inadeguatezza  sono spesso frutto di un meccanismo mentale che ci porta a sopravvalutare gli altri, e che il parlare del proprio malessere, delimitarlo e chiamarlo col suo nome, imparare ad analizzarlo da solo o con gli altri, rappresenta di per sé un primo e fondamentale passo verso la “guarigione”, verso l’uscita dalla malattia che ci paralizza interiormente.

La solidarietà di chi ci ascolta, a sua volta alle prese con qualcosa di simile al nostro immotivato pessimismo o alla nostra “antica” passività, permette di scoprirci molto più simili, a dispetto di tutte le differenze fisiche, culturali e sociali che ogni gruppo manifesta: l’essere riuniti, lo stare insieme per una finalità alla portata di tutti, scrivere di sé, rompe subito gli argini troppo alti della riservatezza, concedendo alla simpatia e alla familiarità di enfatizzare la riflessione e l’emotività delle riflessioni-e che proprio per questo ci stupiscono per la loro immediatezza e pronta risonanza.

Nell’aula, seduti gli uni di fronte agli altri, i fogli da leggere rappresentano una sfida condivisa: la voglia di aprirsi fiduciosamente, di carpire dal racconto altrui tutti gli elementi utili alla nostra verità, le attinenze con la nostra esperienza, gli insegnamenti di cui far tesoro. Ascoltiamo il resoconto/racconto degli altri per meglio capire come organizzare il nostro, affinché si possa dare un ordine logico, e per noi stessi credibile, al groviglio di sogni e fragilità che, coscienti o no, ci siamo coltivati dentro così a lungo da identificarli, oggi, con la nostra stessa personalità. La scrittura, in tal modo, mentre per alcuni rappresenta una strada da seguire per una diversa e più corretta considerazione di sé, per altri è una porta da varcare per dare maggior consapevolezza e spazio vitale al proprio spirito creativo: aiuta loro ad ampliare il terreno su cui esercitare la propria vena artistica. Ma sia per coloro che ne beneficiano a fini personali sia per chi ne trae un vantaggio soggettivo e più creativo insieme, la parola scritta – forse ancor più di quella orale che ha a sua disposizione un ricco codice di comunicazione non verbale, tutto il linguaggio del corpo – non può prescindere, per essere interiormente proficua e correttamente letta, dalla sincerità, dalla nostra professione di profonda onestà con noi stessi.

 

* Scrittrice, docente di scrittura terapeutica, counselor, Presidente Associazione “ La cura di sé” www.lacuradise.itwww.soniascarpante.itwww.scritturaterapeutica.eu Sonia.scarpante@fastwebnet.it

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