Dalla comunicazione alla convivenza: un cambiamento di prospettiva nella cura delle persone con demenza

di Pietro Vigorelli*

 

I disturbi del linguaggio, insieme a quelli di memoria, di riconoscimento e di orientamento sono alla base delle difficoltà di comunicazione tra le persone che vivono con demenza, i familiari e gli operatori. Quando il paziente parla e non viene capito, quando ascolta e non capisce quello che viene detto nasce un problema di comunicazione che interferisce in modo negativo sulla sua qualità di vita. Lo stesso succede quando l’operatore parla senza essere capito e quando ascolta le parole malate del paziente e non riesce a capirle. Il disturbo di comunicazione genera sofferenza e da più parti vengono fatti tentativi per migliorare la comunicazione e ridurre la sofferenza.

L’Approccio capacitante affronta il problema da un altro punto di vista: invece che focalizzare l’attenzione sulle difficoltà di comunicazione (con il linguaggio verbale) per ridurre la sofferenza, punta direttamente a creare le condizioni per una Convivenza sufficientemente felice tra i parlanti, nel qui e ora dello scambio verbale. Il primo obiettivo è di fare in modo che la persona con demenza che tende a ridurre l’uso della parola possa invece continuare a parlare.

Paradossalmente si osserva poi che anche la comunicazione migliora, sia quella mediata dal linguaggio non verbale che da quella mediata dalla parola.

Approccio capacitante e comunicazione

L’Approccio capacitante non si occupa primariamente di comunicazione.

  • Il primo obiettivo dell’Approccio capacitante è di favorire l’emergere della parola, in tutti gli stadi di malattia anche quando le parole perdono la loro funzione comunicativa. Per l’Approccio capacitante le parole hanno valore in sé, indipendentemente dall’essere idonee a trasmettere e condividere significati. Una persona che parla può vivere meglio nel suo contesto, anche se presenta gravi disturbi di linguaggio. L’anziano che tace più facilmente si isola, interrompe le relazioni, si chiude nel suo mondo, è infelice.
  • Il secondo obiettivo consiste nel favorire una Convivenza sufficientemente felice tra i parlanti, nel qui ed ora della conversazione. L’obiettivo quindi non riguarda la riabilitazione, il recupero di funzioni deficitarie, ma la qualità di vita.

Da quanto detto si può capire che i principali valori di riferimento dell’Approccio capacitante sono le parole e la convivenza, non la comunicazione. D’altra parte, quando noi favoriamo il parlare delle persone con demenza, spesso osserviamo un risultato che va oltre le aspettative: noi riusciamo anche a comunicare.

Partiamo sempre dall’idea che le parole e i comportamenti della persona con demenza hanno un senso, almeno dal punto di vista della persona con demenza. Se non riusciamo a capire il senso, siamo noi a essere in difetto. Ci rendiamo conto che dobbiamo riflettere e lavorare di più per riuscire a capire. Questo aspetto comunicativo della conversazione è importante ma per noi è un aspetto accessorio. E’ un effetto favorevole aggiuntivo rispetto agli obiettivi primari: che si possa parlare e vivere bene insieme.

Questo riposizionamento degli obiettivi dell’Approccio capacitante è importante soprattutto nella formazione degli OSS. In questo caso noi li invitiamo a dare la parola a chi rischia di perderla, ad ascoltare di più e a parlare di meno, a trovare gratificazione nel vedere che persone prima mutaciche riescono a parlare.

Dal punto di vista dell’Approccio capacitante, parlare vuol dire produrre parole o, nei casi di deterioramento più grave, suoni. Anche le parole incomprensibili, ripetute, tronche, il turpiloquio, gli insulti, le bestemmie, le urla e i lamenti costituiscono il parlare.

L’esperto di Pragmatica della comunicazione direbbe che le produzioni verbali summenzionate sono comunque messaggi comunicativi. E’ ovvio, ma noi ci occupiamo per lo più di formazione di operatori della RSA e ci interessa in modo prioritario valorizzare le parole (sane o malate), così come vengono dette dal paziente. La ricerca del senso, la ricerca del messaggio comunicativo, vengono dopo, sono una seconda tappa che non sarebbe possibile se non è preceduta dalla prima: favorire l’emergere delle parole. L’operatore capacitante per prima cosa deve imparare ad ascoltare, non in senso psicologico, ma nel senso di prendere atto delle parole che vengono dette così come sono e che hanno un valore. Cercare di capirle è importante ma viene solo dopo, non tutti sono in grado di farlo, è più una competenza dello psicologo. Noi lavoriamo di più sul primo passo (ascoltare le parole). Solo dopo, se possibile, ci occupiamo di cercare il loro senso comunicativo.

Approccio capacitante e stimolazione

L’operatore capacitante non si pone l’obiettivo di stimolare, come avviene ad esempio nelle sessioni di stimolazione neurocognitiva o nelle attività di animazione; non conduce la conversazione in modo direttivo, facendo domande e cercando di portare l’interlocutore in una direzione prestabilita.

L’Approccio capacitante non si occupa in senso proprio di stimolazione e neppure di riabilitazione o di riorientamento. L’operatore capacitante, invece che stimolare,  cerca di cogliere gli stimoli che arrivano dall’interlocutore. Ascolta le sue parole, cerca di evitare di fare domande e cerca di accompagnarlo nel suo mondo possibile, piuttosto che cercare di condurlo nel proprio (quello dell’operatore). Al centro dell’attenzione c’è prima l’ascolto, poi l’intervento (verbale).

L’operatore capacitante, invece che cercare di riabilitare, riconosce  le Competenze elementari  (competenza a parlare, a comunicare, emotiva, a contrattare, a decidere) dell’interlocutore nel momento in cui emergono, così come emergono.

La scelta delle parole

L’operatore capacitante impara a scegliere le parole che sono seguite da risultati favorevoli (l’interlocutore parla e lo fa volentieri)  e ad evitare le parole che sono seguite da risultati sfavorevoli (la conversazione s’interrompe, l’interlocutore reagisce con rabbia, aggressività, chiusura). Questa è la regola d’oro dell’Approccio capacitante.

L’Approccio capacitante aiuta l’operatore a diventare consapevole degli effetti prodotti dalle proprie parole. In base alla consapevolezza dei risultati ottenuti impara a scegliere le parole da dire. L’operatore capacitante, quando si trova in situazioni di disagio, di difficoltà, non reagisce in modo spontaneo (automatico), ma si ferma a riflettere qualche secondo per poi scegliere di dire le parole che più probabilmente saranno seguite da risultati favorevoli (in base all’esperienza precedente) utilizzando le tecniche capacitanti, per esempio: Non fare domande, Non correggere, Non Interrompere, Fare eco, Accompagnare nel suo mondo possibile.

Breve sintesi

L’Approccio capacitante è un approccio che tutti gli operatori che lavorano nelle RSA possono utilizzare con tutti gli anziani smemorati e disorientati, in tutti gli stadi di malattia, 24 ore al giorno. Le tecniche capacitanti sono strumenti utilizzabili da tutti gli operatori (non solo dagli psicologi) e non richiedono competenze psicologiche specialistiche.

In sintesi, gli obiettivi dell’Approccio capacitante sono:

  • che l’anziano con demenza possa parlare, così come può e che si senta ascoltato;
  • che si senta riconosciuto come persona, come interlocutore valido;
  • che si possa realizzare una Convivenza sufficientemente felice tra i parlanti nel qui e ora della conversazione.

Questi obiettivi in una prospettiva ideale possono sembrare riduzionisti, ma se facciamo riferimento alla realtà degli anziani con demenza che vivono nelle RSA, sono invece ambiziosi e di non facile raggiungimento. D’altra parte possono sembrare irrealistici se confrontati con i danni cerebrali irreversibili di cui sono portatori le persone con demenza di grado severo. Dal nostro punto di vista, invece, questi obiettivi sono quelli a cui bisogna tendere perché sono raggiungibili e rilevanti per la felicità possibile sia di chi cura che di chi è curato.

L’esperienza nostra e di centinaia di operatori ci ha portato a valorizzare l’evidenza delle parole. Ci siamo abituati a registrare le conversazioni, a trascriverle fedelmente e a studiare i testi. Sul sito  www.gruppoanchise.it sono riportati i testi di 360 conversazioni  con persone con demenza che dimostrano che parlare è possibile, in tutti gli stadi di malattia, e che è fonte di benessere sia per la persona malata che per l’operatore.

Per approfondire

Le competenze a parlare e a comunicare saranno al centro del Convegno “formativo”, con una forte impronta interattiva,  che si terrà a Milano il 27 ottobre: La persona con demenza è solo un malato?

Il tema sarà trattato restando aderenti all’esperienza di tutti gli operatori che si occupano di anziani fragili con deficit cognitivi: animatori, arteterapeuti, assistenti sociali, coordinatori, educatori, fisioterapisti, infermieri, logopedisti, medici, musicoterapeuti, operatori dell’assistenza (OSS e ASA), psicologi, psicomotricisti, receptionist, responsabili di struttura, responsabili di URP, terapisti occupazionali.

Al mattino ci saranno 4 importanti relazioni, al pomeriggio i partecipanti si divideranno in 5 piccoli gruppi per lavorare su una conversazione professionale con un anziano che vive con demenza.

*Medico psicoterapeuta, consulente di formazione per le RSA

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