Siamo in una fase delicata, in cui la percezione diffusa tra gli operatori dei servizi (sociali e sociosanitari, residenziali e domiciliari) e i primi dati disponibili (tra questi la diminuzione delle liste d’attesa per le case di riposo) indicano che la crisi ha delle ricadute sulle vite delle persone singole e su quella delle famiglie, anche in relazione alle scelte di caregiving nei confronti di anziani e anche di bambini. C’è un’evidente correlazione tra la chiusura di alcune imprese e aziende, la nuova posizione ‘esistenziale’ di donne over 50 anni, che faticano a ricollocarsi nel mondo del lavoro, e l’azzeramento delle liste d’attesa in casa di riposo o dei nidi. Sembrerebbe che queste nuove condizioni portino le donne in particolare a farsi carico di genitori anziani e nipoti, molto più che fino a qualche anno fa, in cui si registrava la tendenza opposta.
Ma se si guardano i numeri e se ci si proietta in un prossimo futuro, il fenomeno assistenti familiari, alias badanti, non è per nulla terminato. Anzi. Da un lato, la riduzione dell’intervento pubblico e l’aumento dei costi dei servizi residenziali spostano la ricerca di soluzioni sulla badante. Dall’altro, la crisi nei bilanci familiari e le difficoltà economiche portano le famiglie a rapportarsi ad esso in maniera differente rispetto al passato.
Sergio Pasquinelli, vicedirettore di Prospettive Sociali e Sanitarie, insieme a Giselda Rusmini ha curato il volume “Badare non basta”, Ediesse, e riprende questo tema nell’editoriale di PSS n.5/2013, in uscita a breve.
Badare non basta
La presenza delle assistenti familiari ci accompagnerà ancora per lunghi anni. Lo dice la demografia, una rete dei servizi ancora pesantemente carente, la propensione ancora alta verso questa soluzione. Nonostante la crisi e la perdita di potere d’acquisto delle famiglie, il lavoro privato di cura tiene.
Ma, lo sappiamo, badare non basta. Non basta in quanto ogni intervento puramente individuale finisce per rivelarsi incompleto, un solitario scontrarsi con infinite difficoltà. Non basta perché ci vuole competenza e cura nell’assistere un anziano non autosufficiente. Non basta perché la domanda d’aiuto riguarda anche famiglie e familiari caregiver. I limiti del lavoro privato di cura possono essere superati, occorre volerlo fare.
Occorre rilanciare un’attenzione un po’ sopita sul lavoro privato di cura, uscire dalla nicchia delle sperimentazioni e iniziare a costruire servizi con un minimo di continuità ed estensione territoriale.
Leggi l’editoriale del numero di maggio di Prospettive Sociali e Sanitarie, in anteprima sul sito
Nella mia ben limitata esperienza di funzionario comunale, confermo quanto riportato nell’articolo: calo delle richieste nelle case di riposo e nell’asilo nido (siamo in Veneto). Quest’ultimo in parte “si salva” ricovertendo parte dei posti a tempo pieno (altrimenti perduti) in posti part-time, solo mattina o solo pomeriggio. Mi chiedo anche quanto siano noti e praticati i provvedimenti – di recente attuazione – volti a favorire il rientro delle madri sul lavoro. Lavoro che, peraltro, sta drammaticamente venedo meno, ed è ormai il problema sociale centrale, che sopravvanza tutti gli altri. Sono reduce da un convegno di Cà Foscari “Rethinking Welfare Regimes” dove onestamente non si è declamata la conoscenza di soluzioni pronte all’uso. E’ stato accennato anche ai temi dell’articolo, e taluno pensa che le professioni sociali del futuro saranno – nei casi qui considerati – molto praticate, certo, ma … di basso contenuto professionale. Un’ultima cosa, in merito a questo constatato forte aumento delle badanti familiari a fronte del calo dell’occupazione e dei redditi: non l’ho letto, ma non mi stupirei se i contratti “in nero” fossero in altrettanto forte incremento.
Il “boom delle badanti”, di cui si è letto nei giorni scorsi a proposito della ricerca Censis-Ismu, va a mio parere ridimensionato. In primo luogo, il dato sul milione e 600mila badanti presenti in Italia fa in realtà riferimento alla totalità dei lavoratori domestici (colf, badanti, baby-sitter, ecc.), come precisato all’interno dello studio. In secondo luogo, la crescita si riferisce all’intero decennio, e non vi è dubbio che in tale periodo il ricorso all’assistenza domestica/familiare sia enormemente cresciuto. Alcuni segnali, tuttavia, indicano un recente ridimensionamento. I lavoratori domestici iscritti all’Inps sono calati di 80mila unità fra il 2009 e il 2011. Alcuni servizi, inoltre, registrano una riduzione delle richieste di personale da parte delle famiglie e un aumento delle donne straniere che faticano a trovare anche solo qualche ora di lavoro domestico da svolgere (interessante in proposito il contributo di Pedro Di Iorio “Migrazioni, crisi e lavoro di cura” in http://www.qualificare.info/home.php?id=657). Credo che in uno scenario come questo, l’ipotesi di un incremento del “lavoro nero” sia molto realistica…
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