Alla ricerca del treno delle opportunità: restare o andare?

di Elena Giudice*

FOTO 7Un mese fa una famiglia sud-americana – lui peruviano e lei ecuadoregna – con cui lavoro per difficoltà familiari, mi comunicano che hanno deciso di tornare in Sud America, o meglio di andare in Sud America. Perchè andare? Perchè entrambi sono venuti in Italia da piccoli però sentono che qui, nel paese che li ha accolti, non ci sono opportunità per loro, nè per la loro bambina. Pochi giorni dopo vengo a sapere che anche la madre di un ragazzo adolescente che frequenta il gruppo genitori che facilito ha deciso di tornare in Ecuador. E poi, un padre che tempo fa è venuto in Comune a chiedere un aiuto perchè ha perso il lavoro e non riesce a pagare mutuo e bollette sta pensando di emigrare in Sud America. Cosa sta accadendo? Leggo giornali e blog e penso che forse è l’idea di avere opportunità per il futuro che li porta a decidere per una nuova emigrazione. Sì perchè queste tre storie hanno in comune l’immigrazione – in Italia o ‘su al nord’.

Il nuovo Presidente del Consiglio parla di ‘italiani che vogliono investire’. Allora mi chiedo investire in cosa? Ma soprattutto con quali prospettive? Si, perchè non è importante ciò che si ha ora. Tutte le persone di cui ho scritto non hanno in mente che sarà tutto facile, che cambiare nazione, lasciare tutto, sia un passo semplice. Cose le spinge allora? La prospettiva. La prospettiva che si possa vivere meglio, la prospettiva di dare opportunità ai figli, la prospettiva di potersi costruire un percorso di vita. Insomma, quello che tutti noi desideriamo: avere la possibilità di scegliere, impegnarsi per costruire dentro ad un contenitore che dà opportunità di crescita. Lo stesso pensiero che hanno avuto i genitori di queste persone quando hanno deciso di emigrare verso l’Italia o il nebbioso nord, la terra delle opportunità, una volta.

Alba e Carlos, Adriano con la sua famiglia, Alina (nomi fittizi) hanno deciso di lasciare l’Italia. Molti miei amici e conoscenti se ne sono già andati e non hanno in mente di tornare. Chi in Germania, chi negli Stati Uniti. Tutti amici con lauree, dottorati di ricerca, determinazione e voglia di fare. Le storie dei miei amici e quelle delle persone che incontro per il mio lavoro sono molto diverse e, allo stesso tempo, sono accomunate dal desiderio di avere prospettive di felicità, di possibilità di impegnarsi in un progetto concreto sapendo che il loro merito avrà un peso.

E mi ritorna alla mente che fino all’anno scorso me ne volevo andare anch’io (e non solo l’anno scorso). Dopo 12 anni di impegno nella mia professione – nel sociale –  dopo impegno costante nella formazione continua, dopo aver studiato all’estero, aver conseguito un dottorato di ricerca mi sono ritrovata l’anno scorso ad inviare decine di curricula in Italia. Nessuno mi ha mai risposto, neanche una mail automatica del tipo ‘grazie, abbiamo ricevuto la sua richiesta’. Ho provato a chiamare per avere un feedback sul mio profilo. Le risposte sono state evasive, in un caso ‘ha troppo esperienza’ e in un altro ‘non siamo tenuti a dire nulla’. Al contrario: tre applications in Gran Bretagna; tre risposte di ricezione; tre feedback del mio profilo; un colloquio a Londra con tanto di complimenti per il curriculum e la preparazione professionale.

Io ho deciso di rimanere in Italia – per questioni affettive – ma continuo a chiedermi con quali prospettive. Ora non ho una risposta, e non so nemmeno se resterò in Italia nonostante mi stia attaccando ‘con le unghie e con i denti’ all’idea che tutti abbiamo un ruolo nel ri-costruire l’Italia che vogliamo. Anche Fabio, giovane assistente sociale creativo, che ho sentito di recente si è trasferito a Singapore dopo mesi di tentativi di trovare lavoro in Italia. E di Elena, Fabio ce ne sono molti. Mi chiedo che messaggio dà un Paese nel quale è accettato non rispondere all’invio di un curriculum, dove è scontato non dare risposte chiare a chi chiede una valutazione del proprio profilo, dove è ovvio che tutto sia già deciso in anticipo ‘tanto si sa, quel posto è già stato assegnato’. Il confronto permette la crescita, l’evoluzione personale, lo sviluppo di competenze e l’alimentazione dell’impegno, del desiderio di costruire. Come si fa a crescere in un contesto in cui chi cerca lavoro non vale nulla?

*Assistente sociale libera professionista con esperienza decennale nell’area minori e famiglia, soprattutto nel lavoro con gli adolescenti e le loro famiglie, nella progettazione dei servizi, nello sviluppo della sensibilità interculturale delle organizzazioni e delle persone e con un percorso di studi un po’ in Italia e un pò in America e in Inghilterra. Dal 2009 docente a contratto presso l’Università Bicocca.

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