Un pomeriggio di insolita vicinanza

di Valentina Ghetti*

1385837_416478685120375_549389693_nMetti un pomeriggio con famiglie affidatarie e con bambini e bambine in affido. Metti con loro anche i papà e le mamme naturali, metti infine insieme a tutte queste persone anche gli operatori, assistenti sociali, psicologi ed educatori, che accompagnano quotidianamente le loro storie di separazione, accoglienza e di sostegno. Metti che tutti loro siano spettatori di un’insolita scena . Quattro attori e un narratore che rappresentano, in diretta, attraverso sculture fluide, vignette e cori, racconti e frammenti di storie che provengono dal quel pubblico…chi vuole racconta, e loro rappresentano.
Si fa strada la storia di l., il suo profondo disagio di stare a Milano, da donna del sud, la mancanza della famiglia, lo spaesamento. La paura di lasciare i figli e la diffidenza verso gli operatori, la possibilità di un incontro e di una piccola altra famiglia che nasce. Persone con cui prendere il caffè, a cui poter telefonare nei momenti di sconforto, da cui potersi far abbracciare.
E poi quella di C. ex martinitt, con un passato di inciampi e deviazioni, che con rabbia ha visto i suoi figli andare, ma che ora con tranquillità racconta la consapevolezza di un aiuto, per i suoi figli e anche per sé.
E poi ancora quella di A., le sue notti in comunità, la mancanza dei suoi fratelli, le coccole delle amiche.
La storia di M., che nel racconto del suo percorso professionale “svela” con naturalezza la scelta della sua professione: “la ricerca di un lavoro che nell’aiutare gli altri, consentisse di aiutare anche me stessa”…
Un pomeriggio di insolita vicinanza, di parole che vanno oltre il gergo professionale e che consentono comprensioni, che nella distanza dei ruoli non sono sempre facili.
Un canale, quello espressivo, che permette di vedere rappresentati, attraverso voci e corpi “estranei”, le storie di chi sta ad ascoltare, che tornano indietro potenti, senza filtri, spiazzanti, e paiono capaci di andare, anche più delle parole competenti e specialistiche, dritte alle questioni più profonde che toccano il tema dell’affido. Un pomeriggio che regala agli operatori la possibilità di farsi nuovamente vicini, di ritrovare quell’empatia che è parte fondante della relazione di aiuto.
Ieri pomeriggio ho preso parte a questo, ad una sessione di play back theatre promossa dal Consorzio Desio-Brianza e realizzata dall’associazione Metodi Attivi e dalla compagnia Impronte con i servizi affido degli ambiti di Desio e Seregno, gli operatori dei servizi tutela dei comuni, i bambini e le famiglie, affidatarie e naturali. Ed è stata un’esperienza che davvero, se qualcuno me lo chiedesse, consiglierei vivamente.

Il Consorzio www.consorziodesiobrianza.it

Metodi Attivi http://www.metodiattivi.it/

impronte https://it-it.facebook.com/Improntepbt

* Ricercatrice Irs, redattrice di Prospettive Sociali e Sanitarie e Vice Direttore di Lombardia Sociale.it

Un pensiero su “Un pomeriggio di insolita vicinanza

  1. Catina Balotta

    Nel mondo dell’affido e dell’adozione c’è davvero una grande eterogeneità di esperienze e di storie che qualcuno vuole raccontare. Dato un contesto adatto (una relazione paritaria in un ambiente accogliente) e data una conoscenza che permette il dialogo (una relazione conoscitiva magari minimale ma consapevole della condivisione esperienziale che l’ha veicolata), si ascoltano storie di grande umanità e di grande altruismo.
    A me è capitato di finire in preda allo stupore quando “per lavoro” ho incontrato una persona che ha adottato quattro bambini. Due sud-americani e due africani. Così mi ha raccontato: “Avevo molti soldi e mi sono chiesta quale fosse il modo migliore per spenderli. Ci ho pensato a lungo e poi ho deciso che aiutare bambini in situazioni difficili potesse essere un buon modo per impiegarli. Non mi piace molto il lusso commerciale e detesto le ostentazioni. Così ho deciso: ne ho adottati prima due sud-americani che adesso sono grandi, lavorano, hanno una loro casa e una loro vita. Dopo un po’ di anni, altri due, Africani. Adesso, gli “ex piccoli” vanno alle scuole superiori. E’ stata dura a volte, entusiasmante altre. Sono contenta di averlo fatto e lo rifarei”. Credo che in questa storia raccontatami in maniera molto semplice e tranquilla, come si parlasse dell’editoriale del mattino, alberghi l’eccezionalità. Una eccezionalità che si esprime nella capacità descrittiva, ma anche comportamentale, ma anche ideologica di vivere questa scelta e le sue implicazioni come se fossero la normalità. Ma quale normalità? Ancora oggi quando rivedo F. non posso non stupirmi di lei, di quello che ha fatto, di come lo ha fatto e infine di un’altra normalità che lei ha conquistato: parlare di questa esperienza con tranquillità.

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