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Parziale fenomenologia dell’educatrice (femmina)

di Irene Gallina*

 

Introduzione

Da decenni, in gran parte del mondo, viene ridiscusso il ruolo della donna nella società: prima con la sola rivendicazione di diritti come il suffragio universale, il divorzio, l’aborto, poi con l’elaborazione di teorie che fondino e accompagnino la lotta. L’evoluzione del discorso intorno al ruolo della donna ha visto il passaggio dal femminismo di separazione, che si allontana dal rapporto con il genere maschile, al femminismo intersezionale, che al contrario inserisce la lotta per i diritti delle donne all’interno del più ampio spettro dell’oppressione: le persone nere, quelle lgbtqia+, le donne, le persone con disabilità e con disagio psichico, le persone povere e quelle grasse subiscono tutte le stesse dinamiche di colpevolizzazione ed esclusione. Il femminismo intersezionale fornisce teorie e strumenti utili non solo alla lotta sociale, ma anche ad analizzare e interpretare la realtà con schemi differenti da quelli tradizionali, perché si concentra sulle dinamiche relazionali e sociali piuttosto che sulle caratteristiche degli oppressi o dei singoli gruppi sociali. Anche sul fronte clinico e su quello educativo l’intersezionalità potrebbe quindi costituire un approccio analitico e relazionale che purtroppo non è ancora stato esplorato a sufficienza. Sembra, anzi, che il contesto dei servizi alla persona sia isolato rispetto ai cambiamenti culturali che avvengono – seppur lentamente – nel resto della società. Basti pensare a quanto poco ci si formi e interroghi sulle modalità con cui le questioni di genere agiscono sulle relazioni educative, in un mondo che invece sta imparando a separare il ruolo genitoriale dal sesso biologico. O a come la maggior parte dei servizi educativi ignori la spinta pratica e teorica proveniente dall’attivismo delle persone con disabilità. Continua a leggere

“Lentius Profondius Suavius”

di Franco Marengo*

Suggestioni sulla disabilità in un motto di Alexander Langer

lentiusLavorare con la disabilità mette in rapporto le aspettative prestazionali dell’operatore con l’immaginario ideale di modello sociale a cui avvicinare l’utenza per aumentarne la dignità di cittadini.
Abitiamo un contesto richiedente a ogni livello; stimolati ad aumentare competenze, dare risposte più veloci, più efficaci, più economiche, se passiamo dal ruolo di cittadini, fruitori di servizi, a quello di operatori sociali, prestatori di servizi, manteniamo l’attitudine a spingere l’utenza che beneficia delle nostre attenzioni verso il modello a cui tendiamo come ovvio e naturale, il migliore o l’unico possibile.
L’immaginario sociale di riferimento, anche per le aspettative delle associazioni di famiglie di persone con disabilità, è che i propri congiunti abbiano accesso alle opportunità di tutti, che idealmente è legittimo.
Ma il modello ideale sta sfuggendo di mano, è sempre più ideale e meno praticabile. Le opportunità che abbiamo considerato ordinarie e scontate diventano “a rischio di élite” e lo scarto verso la disabilità aumenta.
Vale la pena provare a mettere in discussione questa visione educativa e chiedersi se sia davvero la strada migliore da percorrere “per aiutare i nostri utenti a stare meglio”? Forse vale almeno la pena farsi qualche domanda diversa dall’ordinario per intravedere risposte nuove.
Credo che l’educatore svolga una funzione di “mediazione comportamentale” tra soggetti e contesti, di traduzione di linguaggi, comunicazione tra luoghi, culture del sapere, sensibilità emotive e psicologiche diverse. Continua a leggere