di Pierluigi Emesti*
E’ di pochi giorni fa l’episodio della psichiatra di Bari che è stata accoltellata da un paziente.
Non si tratta purtroppo di un episodio rarissimo, anche se fanno molto clamore queste storie: enfatizzate dai media, colpiscono intensamente e rimangono a lungo nella memoria. Personalmente mi ha colpito in modo particolare, oltre al dispiacere per la dottoressa stimata e appassionata del proprio lavoro, la reazione dei colleghi: avevano più volte chiesto una guardia giurata a protezione della loro incolumità. Per i soliti motivi di costi questa presenza era stata negata.
Lavoro da quasi 20 anni nei servizi socio-educativi e socio-assistenziali, e di posti simili a quello dove lavorava la psichiatra ne ho visti, ho visitato alcune sedi di servizi sociali a Milano e provincia e in effetti in alcune esiste un servizio di vigilanza, in altre situazioni la sensazione è di vivere blindati. E per i soliti vincoli di bilancio i luoghi assomigliano più ad un rifugio di un latitante che al caveau di una banca.
Ora io smetto di capire, ma non per mia scelta: proprio non riesco a capire il motivo che spinge chi indirizza e chi dirige questi servizi a mettere in pratica una contraddizione così eclatante.
Apriamo dei servizi per chi è in una situazione di fragilità, di disagio, di svantaggio; contemporaneamente, invece di farli accoglienti e accessibili, li riduciamo a presidi, a check point in zone di guerra, rendendo scomoda e disagevole la fruizione di questi servizi. In questo modo però si realizza una selezione (non mi espongo a dire se premeditata, colposa o preterintenzionale) degli utenti: quelli che riescono a superare le barriere psicologiche e fisiche sono i più forti, i più corazzati e abituati a questo genere di cose, riuscendo così a ricevere udienza ed eventuali supporti.
Si realizza in questo modo una strana situazione: la “Professionalizzazione di Utente dei Servizi Sociali” (o meglio ancora, “Sociosanitari”, visto che in molte situazioni si sovrappongono le competenze per avere coperture finanziarie sufficienti).
Vivendo da mezzo secolo in un quartiere periferico di Milano con molte problematiche, vedo quotidianamente famiglie che vivono di sussidi e agevolazioni, a volte tramandandosi le informazioni per ottenerle. Mi domando però come reagisce invece la persona che all’improvviso viene catapultata in una situazione di bisogno, che non è abituata ad avere a che fare con i servizi comunali e quelli dell’Asl, con bandi e voucher, agevolazioni o supporti finanziari, insomma un cinquantenne che viene espulso dal mondo del lavoro, e cade in depressione, per esempio.
Situazione non tanto anomala in questo periodo.
Il cinquantenne in questione a quel punto chiede un supporto psicologico: prende appuntamento per un colloquio con un’infermiera che compila una prima scheda e prende un secondo appuntamento per un colloquio con un medico psichiatra. Quest’ultimo fa più o meno le stesse domande e propone dei colloqui con uno psicologo tirocinante, il quale vorrebbe ascoltare quello che il nostro cinquantenne non riesce ad esprimere.
Dopo un imprecisato numero di “colloqui muti”, la sensazione di impotenza raggiunge un punto tale da diventare rabbia improvvisa che porta il cinquantenne ad afferrare un fermacarte e colpire alla testa il povero psicologo borsista.
Aspetta poi la Polizia che finalmente si prenderà cura di lui.
Chi è il Colpevole, chi il Mandante, quale il Movente?
Questo descritto è un ipotetico scenario. Un altro verosimile è che dopo qualche colloquio la sofferenza arrivi ad un punto tale che il cinquantenne non riesce più a presentarsi allo psicologo. Dopo qualche tempo, durante il quale nessuno si mette in contatto con il paziente, perché ci sono tante altre emergenze, tante cose da fare (e poi c’è la privacy…), l’uomo si uccide, in silenzio, o magari dopo aver ammazzato i componenti della propria famiglia.
Non era un utente “professionista dei servizi sociosanitari”
Il professionista chiede un supporto una tantum, la rateizzazione degli arretrati dell’affitto, la sospensione dello sfratto, una borsa lavoro, l’esenzione del ticket, l’esenzione per la retta della mensa scolastica, il pacco viveri in chiesa, un appartamento ad affitto agevolato. Sicuramente non ammazza il suo interlocutore che deve firmare o avallare la richiesta.
Forse mi dimentico qualcosa, ma anche io in fondo sono un dilettante.
*Educatore professionale
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ciao Pierluigi, ho apprezzato quanto hai scritto anche se certamente il tuo è un intervento spiazzante e che ci costringe a riflettere, e molto, sulla realtà dei servizi socio-assistenziali-sanitari. Spiazzante perché tu parli da dentro una realtà che conosci nel profondo e ce la porti fuori, mettendo in evidenza le contraddizioni dell’idea stessa di assistenza. Da un lato i valori di solidarietà alla base del Welfare e dall’altro questi bunker, o questi utenti e operatori assuefatti al servizio. Poi, quando arriva un outsider bisognoso di cure, il patatrac, il cortocircuito. Mi è piaciuto molto il tuo intervento, perché ci costringe a riflettere su temi che troppo spesso si danno per scontati, acquisiti. Invece, mi par di capire, c’è ancora molto ma molto da lavorarci sù. Grazie e continua così, ad essere attivo e anche giustamente critico verso le assurdità del sistema socio-sanitario, prima che tutto vada a pezzi.
Massimiliano
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