Disuguaglianza di genere: per la parità tra uomini e donne la strada è ancora lunga

Disparità nel lavoro e violenza domestica ai tempi dell’emergenza da Covid – 19

di Speranza Antoniello*

 

La disuguaglianza sociale a sfavore delle donne è un fenomeno che attraversa la storia e le culture. Nei paesi sviluppati, inclusa l’Italia, le disuguaglianze tra uomini e donne si sono indubbiamente ridotte nel corso della seconda metà del Novecento, benché più sul piano delle norme che su quello delle pratiche sociali e del senso comune. Tuttavia, nonostante miglioramenti incontestabili, anche all’interno dell’Occidente democratico e sviluppato, l’uguaglianza di fatto tra donne e uomini è lungi dall’essere acquisita. Allo stesso tempo le differenze tra paesi sono notevolissime per intensità della disuguaglianza e per tipo dei settori in cui essa emerge più nettamente.

Per quanto possano apparire sempre più aperti e paritari, gli ambiti della vita quotidiana, quello della famiglia, dello sport, della scuola, del lavoro, sono organizzati ancora oggi in base ad alcuni confini fondamentali: quelli che separano gli uomini e le donne, i ragazzi e le ragazze, i bambini e le bambine. È indubbio che soprattutto nei paesi democratici le donne attualmente godano al pari degli uomini di una serie di diritti importanti ed è altrettanto vero che diverse sfere d’azione sociale sono fortemente regolate da norme per le pari opportunità. Eppure possiamo facilmente renderci conto del fatto che le disparità di genere rimangono  importanti. La partecipazione economica, politica e sociale delle donne ancora oggi incontra non pochi  ostacoli.

Secondo il Global Gender Gap Report 2020, l’Italia quest’anno è scivolata al 76esimo posto su 153 PAESI. Mentre il livello di istruzione, la salute e la sopravvivenza sono molto più vicini alla parità (rispettivamente 96,1% e 95,7%), un importante settore di preoccupazione è quello delle opportunità economiche. Questa è l’unica dimensione in cui il progresso è regredito. Le cifre sono preoccupanti, con una situazione in peggioramento che porta la parità di genere a un minimo del 57,8%, che nel tempo rappresenta un massiccio 257 anni prima che la parità di genere possa essere raggiunta.

La maggior parte della ricchezza delle aziende è nelle mani degli uomini, così come la maggior parte delle grandi istituzioni; la scienza e la tecnologia sono controllati da uomini. Se consideriamo il campo dell’occupazione per l’analisi del grado di uguaglianza di genere, i dati sul tema mostrano il permanere della disuguaglianza tra donne e uomini nell’accesso al mercato del lavoro, nei livelli di disoccupazione, nelle condizioni di lavoro. Dai dati emerge un incremento di contratti part-time alle donne, soprattutto quelle con figli (parliamo anche di part-time involontari); ineguaglianze retributive (le donne sono pagate meno degli uomini); maggiore esposizione delle donne a lavori precari e a ruoli che non tengono conto delle reali qualifiche di studio e/o capacità professionali. Si tratta della conferma del fatto che ancora oggi rimangono stereotipi di genere: nonostante le donne abbiano avuto riconoscimenti importanti resta un retaggio culturale che ha a che fare con l’essere donna in sé.

Gli stereotipi di genere continuano ad avere un forte impatto sul lavoro. La società  e la famiglia nel corso degli anni sono cambiate, si sono trasformate  in strutture più complesse e diversificate. Questi mutamenti all’interno della società e delle tipologie familiari non sono stati tuttavia sempre recepiti dal mercato del lavoro. Per queste ragioni, ma non solo, esiste per le donne una difficoltà strutturale che impedisce loro di realizzarsi pienamente e di godere di pari opportunità in ambito occupazionale. Una debole rete di servizi di cura dell’infanzia e assistenza agli anziani, nonché di formule sostenibili di lavoro, e la persistenza di stereotipi di genere continuano ad ostacolare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a creare effetti perversi come la segregazione delle donne in settori scarsamente retribuiti o in posizioni più basse rispetto agli uomini.

Per contrastare questa tendenza, è importante porre in essere delle misure che aiutino le donne ad accedere e a rimanere sul mercato del lavoro, ma è ugualmente importante incoraggiare gli uomini a farsi carico di una più ampia parte delle responsabilità familiari e di cura ed assistenza, per un equilibrio possibile tra tempi di vita e di lavoro.

Proprio il tema della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro è diventato un ambito centrale delle politiche sociali sia a livello europeo che nazionale. Nelle politiche di conciliazione non esiste una “soluzione unica valida per tutti”. Gli asili e le strutture per la prima infanzia, la loro disponibilità e accessibilità in termini di costi e qualità costituiscono un fattore essenziale per l’occupazione delle donne e per la parità di genere. Le politiche di conciliazione, tuttavia, non vanno considerate e trattate come misure intese a sostenere solo i giovani genitori. Le politiche di conciliazione vanno viste come un riesame ed un miglioramento dell’ambiente lavorativo, volti a migliorare le condizioni di lavoro ed il benessere di tutti i lavoratori, nonché come un contributo alla produttività.

Nel dossier del Coface “Pacchetto europeo sulle conciliazione” – Anno 2015 così si legge : « Le politiche di conciliazione sono spesso viste come misure specifiche per le donne o, in senso ancora più ristretto, per le giovani mamme che lavorano. Si tratta tuttavia di un’errata interpretazione delle esigenze dei lavoratori e di un’applicazione inadeguata di misure che sono necessarie per tutti i lavoratori, indipendentemente dal genere o dalla situazione familiare. È importante che tutti i lavoratori beneficino delle politiche di conciliazione, che si tratti di formule di lavoro flessibili o della prestazione di servizi personalizzati, indipendentemente dallo stato di famiglia o dall’età dei figli, perché le esigenze di flessibilità delle famiglie non finiscono quando i figli iniziano a frequentare la scuola. Chi ha figli più grandi e adolescenti deve soddisfare un’esigenza diversa, ma ugualmente importante, di presenza genitoriale che richiede una certa flessibilità. La conciliazione non deve inoltre essere considerata una politica diretta esclusivamente ai genitori: anche chi si occupa di parenti anziani o disabili vive situazioni particolari di cui è necessario tenere conto. Infine, queste esigenze possono essere temporanee e durare per periodi più o meno brevi, possono sopraggiungere improvvisamente o essere legate al benessere del lavoratore. Pertanto, associarle ad una situazione familiare specifica (quella di genitore, di persona che si prende cura di altri, ecc.) può essere limitante e creare disparità tra i dipendenti, con il rischio di un impatto negativo sull’ambiente professionale. L’elaborazione e la messa in atto di misure di conciliazione non riguardano solo le donne o i lavoratori con responsabilità familiari, ma mirano a cambiare profondamente il modo di organizzare il lavoro e la società ».

Le misure di conciliazione sono dunque riconosciute a livello dell’UE come strumenti importanti per il conseguimento di obiettivi politici strategici, in particolare un tasso di occupazione nettamente più elevato, una crescita inclusiva, parità tra uomini e donne. L’ uguaglianza tra donne e uomini rappresenta un valore fondamentale dell’Unione europea, uno dei suoi obiettivi, nonché un vettore di crescita economica. L’Unione mira a promuovere la parità tra donne e uomini in tutte le sue attività. La strategia per la parità tra donne e uomini ( Impegno strategico a favore della parità di genere 2016-2019) ha individuato cinque settori d’intervento prioritari: pari indipendenza economica per donne e uomini; pari retribuzione per lavoro di pari valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne; parità tra donne e uomini nelle azioni esterne. Negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti, come dimostrato, ad esempio, dal più alto tasso di occupazione femminile mai registrato sinora e dalla crescente partecipazione delle donne ai processi decisionali in campo economico. Tuttavia, questa tendenza al miglioramento è controbilanciata da persistenti disparità in altri ambiti, ad esempio in termini di retribuzioni e redditi. Occorre più tempo affinché il lavoro svolto negli ultimi anni per contrastare le ineguaglianze di genere produca i cambiamenti e il sostegno necessari, sotto forma di nuove misure in tali settori.

L’adozione di strategie e piani d’azione nazionali (PAN) in materia di parità di genere da parte di un numero sempre maggiore di Stati europei rappresenta uno sviluppo positivo. In aggiunta, molti Stati hanno adottato piani d’azione tematici, che affrontano sfide specifiche, quali la violenza di genere. L’effettiva attuazione delle politiche in materia di parità di genere non è uguale in tutti gli Stati membri e gli ambiti politici, per le differenti condizioni socioeconomiche, culturali e istituzionali. Le strategie in materia di parità di genere inizialmente incentrate sul mercato del lavoro, con l’introduzione di norme sulla parità di trattamento tra donne e uomini in termini occupazionali, stanno portando ad estendere gli interventi ad altri settori, sia al mercato del lavoro (divario retributivo, orari di lavoro, equilibrio tra la vita privata e professionale) che ad altre aree, quali la violenza nei confronti delle donne, la salute e il processo decisionale economico e politico. Per una effettiva integrazione di genere la strada percorribile appare quella intrapresa.

La questione del rischio di peggioramento della violenza domestica è già tema di questi giorni: la clausura domestica sembra aver diminuito le denunce e gli esperti sottolineano come la forzata convivenza in situazioni di disagio relazionale comporti una crescita di comportamenti di insofferenza sino a forme di aggressività. Se sottostare alle limitazioni imposte per prevenire la diffusione del Covid-19 è difficoltoso per tutti, lo è ancora di più per le donne che subiscono o hanno subito violenza. L’Onu lancia l’allarme: “È altamente probabile che il livello della già diffusa violenza domestica aumenti, come già suggerito da indicazioni preliminari di polizia e operatori”. La relatrice speciale per la violenza contro le donne nominata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, Dubravka Simonovic sottolinea : “Per fin troppe donne e bambini, la casa può essere un luogo di paura e abuso. Una situazione che si aggrava in maniera considerevole in casi di isolamento come il lockdown imposto nell’emergenza Covid-19″. Intanto in Europa, in Andalusia prima, e da qualche giorno in gran parte della Spagna, è partita l’iniziativa “mascarilla 19”. Le donne in difficoltà possono chiedere una mascherina per suonare l’allarme e far partire i soccorsi verso le mura domestiche. Si tratta di un linguaggio in codice, legato alla campagna di sensibilizzazione dal titolo “Stiamo con te, la violenza di genere la fermiamo insieme” elaborata dal governo, per non lasciare sole le donne vittime di violenza domestica. In Italia, l’ idea è allo studio di diverse associazioni.  Si spera che con lo sblocco dei fondi 2019, che dovranno essere trasferiti direttamente ai Centri antiviolenza, si riesca a contenere una situazione che si configura sempre più come una emergenza nell’emergenza.

Bibliografia

  • Robert W. Connell ( a cura di ), Questioni di genere, Il Mulino, 2011.
  • World Economic Forum ( a cura di), The Global Competitiveness Report, 2020.
  • Ruspini E. (a cura di), Donne e uomini che cambiano. Relazioni di genere, identità sessuali e mutamento sociale, Guerini, Milano, 2005.
  • Zajczyk F. ( cura di), La resistibile ascesa delle donne in Italia. Stereotipi di genere e costruzione di nuove identità, il Saggiatore, Milano, 2007.
  • Sartori F. (a cura di), Differenze e disuguaglianze di genere, Il Mulino, Bologna, 2009.

*Assistente Sociale

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