di Sergio Pasquinelli *
Si intitola “Il welfare sociale in Italia. Realtà e prospettive” il volume che Cristiano Gori ha scritto assieme a Valentina Ghetti, Giselda Rusmini e Rosemarie Tidoli (Carocci editore), uscito alcuni mesi fa.
E’ uno di quei libri che mettono voglia di discutere. Ha molti meriti: tratta finalmente il welfare italiano con uno sguardo critico e non didascalico; ne esplora le tendenze, le possibili evoluzioni in termini di “scenari”, le possibilità e i rischi che ha di fronte “un ragazzo che rischia di invecchiare precocemente”.
Il welfare sociale in Italia entra nel merito, disegna scenari di riforma, mappa i rischi della fase attuale e si sofferma su un punto delicato: l’allocazione delle risorse. Quanto dare a chi nei servizi e nelle politiche sociali? Quanto sostenere chi?
Un tema raramente reso esplicito, qui ripreso e approfondito con rigore, esplorato in termini di orientamenti diversi, e collegato con molti esempi all’alternativa tra promozione e protezione, usando il linguaggio del libro, e fra tradizione e innovazione. E’ più utile offrire aiuti leggeri a un’ampia platea di beneficiari, o è preferibile concentrarsi su gruppi circoscritti con aiuti più consistenti? Difficile dare una risposta univoca. Dipende dalla politica, dalle caratteristiche del bisogno, e da molti altri fattori.
Purtroppo oggi le possibilità allocative a disposizione del decisore pubblico sono diminuite molto rispetto a una fase espansiva del welfare, si sono stratificati vincoli e diritti acquisiti, riducendo i margini di scelta. E non aiuta la bonaccia politica che circonda il welfare dei servizi in questo momento.
Esiste poi un problema a monte delle scelte allocative. Un chiaro problema di posizionamento: i servizi sociali intercettano poco i bisogni, la domanda di aiuto. Che trova altre strade, si risponde da sola: con le badanti, le nonne baby sitter, il volontariato di quartiere. O non si risponde proprio. Certo non ovunque, non per chiunque e allo stesso modo. Ma l’impressione è che la crisi abbia mediamente ampliato la distanza tra bisogni e servizi.
Gli ultimi anni ci consegnano tre amare verità. Primo: le risorse pubbliche sul welfare, ormai sostanzialmente stabili negli ultimi due anni, non è realistico prevedere che aumentino, anzi è più probabile che diminuiscano nel prossimo futuro. Secondo: esiste un blocco sociale avverso al cambiamento nelle politiche di welfare, soprattutto nei confronti di una serie di misure nazionali che si danno come diritti acquisiti e inviolabili, immodificabili. A dispetto delle dimostrate iniquità e inefficienze. Terzo: il contesto politico oggi valorizza decisioni sul breve periodo a scapito di tutto ciò che può avere una efficacia solo col tempo.
Possiamo pensare a dei processi di riforma del welfare sociale solo facendo i conti con questi fattori. Seguendo una logica di alleanza con chi sta più vicino ai bisogni, facendo leva su una ricomposizione delle risorse e degli attori, sviluppando collaborazioni con i settori della sanità, del lavoro, dell’educazione, della casa. I fondi europei in arrivo dovrebbero aiutarci. Toccando con mano, e facendo toccare con mano, i vantaggi del cambiamento. Rendendolo incisivo in poco tempo.
E’ su questa linea che ci stiamo sforzando, all’IRS, di verificare la sostenibilità e i livelli di concreta attuabilità delle nostre proposte di riforma – i cui contenuti principali sono illustrati in Prospettive Social e Sanitarie (n. 8-10/2013), con il progetto che si chiama “Costruiamo il welfare di domani 2015-2016”, attualmente in corso in una serie di territori in Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia Romagna. Nel contesto di un welfare che vuole essere il welfare dei diritti, delle garanzie e delle tutele per tutti.
* Istituto per la Ricerca Sociale e vicedirettore Prospettive Sociali e Sanitarie
Il post riprende l’articolo di apertura dell’autore pubblicato nel numero di marzo di Prospettive Sociali e Sanitarie: 1.2/15