A proposito di codice etico: il dipendente pubblico che vorrei

di Michelangelo Rago*

timbro“Io voglio fare il posto fisso!”. Così risponde il piccolo (Checco Zalone) alla maestra, che sta chiedendo ai bambini della classe cosa vorrebbero fare da grandi. E’ una delle scene iniziali del recente e discusso film del comico pugliese. Il posto fisso. Una formula secca, sintetica e piena di allusioni che, accompagnata da un riso sghignazzato, riprenderà anche da adulto impiegato della provincia, raccontando tanto dei pregiudizi e dell’immaginario collettivo circa il dipendente pubblico.

Al netto della comicità di Checco, esiste una questione reale di rappresentazione sociale del dipendente pubblico. Hanno contribuito a determinarla le vicende recenti (vedi dipendenti che liquidano la pratica della timbratura addirittura in mutande) ma anche decenni passati a suon di: sindacalismo “esasperato”, enti inutili, spending review impossibili e clientelismi politici all’occorrenza. Da questi sono scaturite etichette infamanti di: assenteista, fannullone, intoccabile, se non perfino raccomandato nei casi più estremi.

Ovvio che si tratta solo di una porzione imprecisata della Pubblica Amministrazione, che le cose sono più complesse e l’inefficienza del personale si presenta come un fenomeno con gradazioni differenti almeno quanto diversi sono i contesti, gli enti e le funzioni attribuite alla macchina pubblica. Esistono negli uffici pubblici tanti uomini e donne instancabili che, dignitosamente, prestano quotidianamente la loro opera laboriosa e competente. Talvolta il loro impegno deve sopperire quello del collega d’ufficio. Così potrebbe addirittura capitare di incontrarne qualcuno costretto a portare sulla propria schiena gli errori di una politica con lo sguardo senza prospettiva, paralizzato al presente, condizionato da pressioni elettorali piuttosto che dalla logica della qualità dei servizi pubblici.

Ma è altrettanto vero che difficilmente certi preconcetti si possono affiancare al lavoratore privato. E’ vero, poi, pure che una seria modernizzazione della pubblica amministrazione passa anche, e forse soprattutto, da una seria regolamentazione del lavoro pubblico. Il Governo Renzi lo sa. Come lo sanno i cittadini/elettori: i disoccupati, le nuove generazioni di precari, i contribuenti a fatica che, a sentire le storie dei “furbetti del cartellino” perlomeno s’indignano. Si, perché a cominciare dallo stipendio sicuro e puntuale, fino alle ferie retribuite, i permessi sindacali, le tredicesime, per concludere con il doppio lavoro, sono cose lontane anni luce dalla loro possibilità quotidiane.

Invero ci si riferisce ad una categoria che negli anni ha subito una vera “ipernormazione”[i]. Viene perciò da sospettare se non sia vera l’affermazione di Cornelio Tacito:In uno stato molto corrotto, ci sono troppe leggi”. Le norme, infatti, vertono principalmente sulla responsabilità disciplinare del funzionario, che trova fondamento nel rapporto di servizio. Un rapporto di cui sono parte solo il singolo funzionario e l’amministrazione, rispetto ai quali ogni altro è terzo ed escluso. Ciò determina nei fatti una ben più significativa attenzione all’efficienza dell’amministrazione in termini di pratiche e prestazioni erogate, a scapito di una attenzione verso gli ultimi destinatari dei servizi.[ii]

Ma come dovrebbe essere il dipendente pubblico ideale? E non mi riferisco alle sue competenze tecniche, pure sempre più necessarie, intendo invece richiamare la sua etica di riferimento. Ritengo, infatti, che l’etica non possa essere propria solo delle professioni sociali, per le quali la dimensione dei principi e dei valori è imprescindibile, ma di tutti i funzionari pubblici.

Le garanzie deontologiche che offrono le professioni sociali ai cittadini/utenti e che si traducono in atteggiamenti professionali improntati alla tutela della dignità della persona, non possono riservarsi ai soli individui che soffrono una manifesta condizione disagio sociale. Soprattutto in epoca di progressivo allargamento della fragilità sociale. Molti dei principi ampiamente riconosciuti sul piano giuridico nazionale ed internazionale[iii] potrebbero reputarsi acquisiti quali fondamento stesso del nostro vivere civile e potrebbero ormai costituire principi vincolanti ascrivibili al codice etico di chiunque operi per lo Stato al servizio della collettività.

Ciò detto, pur non avendo pretese di esaustività, ma nel solo intento di condividere alcune riflessioni, credo che un buon dipendente pubblico dovrebbe almeno:

RICONOSCERE NEL CITTADINO IL PROPRIO DATORE DI LAVORO

Spesso la Pubblica Amministrazione viene percepita secondo un’idea di autoreferenzialità, un’organizzazione capace di offrire “ascolto soltanto alle voci di dentro”[iv], tuttavia essa trova la sua ragion d’essere nel patto sociale e fiscale fra i cittadini e lo Stato. Il cittadino ha il diritto di avere servizi pubblici, in ragione dei quali paga dei tributi. Dati alla mano, i dipendenti pubblici generano un costo 2.849 euro a cittadino, ma – per molteplici fattori, che includono la mancanza di un sistema serio e reale di incentivi e sanzioni – non garantiscono una produttività paragonabile a quella degli altri paesi.[v]

Il cittadino talvolta, paga due volte l’inefficienza quando la scarsa qualità del servizio pubblico lo spinge a rivolgersi al mercato. Il dipendente che vorrei, cosciente di tutto questo, mi piacerebbe che, non solo fosse molto accogliente verso l’utenza, ma che riflettesse intimamente a fronte di qualsiasi scelta che implichi una sua discrezionalità, seppur minima, che abbia delle ricadute economiche. “Sto spendendo bene la “contribuzione fiscale” della cassiera del discount qui di fronte? Per versarla trascorre poco tempo in famiglia e rientra sempre tardi la sera”. Ben vengano, poi, i sistemi di valutazione della qualità percepita dall’utenza, anche all’interno della p. a.

MIRARE AL BENE PUBBLICO

Il funzionario pubblico dovrebbe avere un alto livello di “responsabilità civile”, nutrire un sincero interesse per il bene comune. Considerarsi importante anello terminale all’interno di una catena di responsabilità che mira a generare il benessere della propria comunità locale. La sua attività front-office conclude un processo, ma talvolta può pure innescare o sostenere processi altrettanto virtuosi. Negli ultimi anni gli enti locali hanno visto ridursi enormemente il flusso di trasferimenti dallo Stato[vi], pertanto è divenuta determinante la capacità delle amministrazioni di intercettare finanziamenti rispondendo, anche creativamente, a bandi pubblici.

RICONOSCERSI QUALE AGENTE EDUCATIVO ALLA LEGALITA’

La struttura istituzionale astratta, “virtuale”, all’interno di un ufficio pubblico diventa tangibile. Le parole del funzionario pubblico sono le parole che lo Stato riferisce al cittadino. Il suo atteggiamento esprime la vicinanza dello Stato riguardo la sua condizione specifica e quella della sua comunità. La trasparenza e l’imparzialità con cui vengono rappresentate le regole possono assumere un senso pedagogico ed incidere direttamente sul senso di legalità percepito.

APRIRSI AL CAMBIAMENTO

Sembra abbastanza chiaro, una delle direttrici più promettenti, in ordine all’efficientamento della pubblica amministrazione, è quella della digitalizzazione. L’ età media elevata dei dipendenti pubblici italiani (quasi 50 anni) e il blocco del turn-over, spiegano una buona parte della resistenza all’utilizzo di sistemi che consentirebbero già oggi di conseguire notevoli risparmi e benefici per gli amministrati. Tuttavia, proprio nel loro interesse sembrerebbe necessaria una riflessione più ampia in merito a percorsi di formazione continua che consentano l’adeguamento costante delle competenze e delle metodologie di lavoro.

[i] Il d.p.r. 62/2013 “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici” è solo il più recente fra i riferimenti normativi tesi a codificare il comportamento del funzionario pubblico.

[ii] R. Cavallo Perin – B. Gagliardi, Status dell’impiegato pubblico, responsabilità disciplinare e interesse degli amministrati, in Diritto amministrativo, 2009, 53-89. Le statistiche menzionate nel citato articolo riferiscono come gli illeciti più sanzionati – relativi al comportamento dei dipendenti pubblici – siano quelli contro l’organizzazione amministrativa. Colpisce invece l’esiguità delle sanzioni irrogate ai dipendenti pubblici per comportamenti contrari agli interessi degli amministrati, perche scortesi o inefficienti, lassisti o svogliati, maleducati, non professionali o comunque scorretti.

[iii] Carta costituzionale, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Carte internazionali dei diritti, Carta della Costituzione europea.

[iv] G. Melis, La burocrazia, Bologna, 2003, p. 8.

[v] Corte dei Conti, Relazione 2012 sul costo del lavoro pubblico, Roma, Maggio 2012.

[vi] Solo dal 2008 al 2015 la riduzione è stata di 40 miliardi secondo la stima della Corte dei Conti pubblicata nella relazione sugli andamenti della finanza territoriale.

*Assistente Sociale Specialista. Attualmente collabora con la Cooperativa Sociale Don Bosco in qualità di responsabile del Centro d’ascolto comunale di Trebisacce

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