Una legge per il “Dopo di noi”

di Chiara Menichetti*

Una legge per il “Dopo di noi”, questo il tema del convegno organizzato dal ClubLions Certosa e dal Club Pisa Host, insieme alla Fondazione Dopo di Noi a Pisa, all’interno del Centro Polifunzionale Le Vele di San Giuliano Terme, il 23 settembre u.s.

Il convegno, tenuto da professionisti di vari settori (il giudice tutelare dott.ssa Elena Polidori, dal notaio Nicola Mancioppi, dal presidente dell’Ordine dei Commercialisti dottor Maurizio Masini e dalla dott.ssa Chiara Menichetti, direttore del Centro Le Vele), ha fatto sì che fossero esplicitate le risorse e i limiti della legge 112 del 2016 tesa a regolamentare “il dopo di noi”.

La normativa, di recente pubblicazione, nasce per agevolare la nuova visione del soggetto disabile come soggetto attivo portatore di diritti e come strumento di aiuto verso i caregiver che si trovano a vivere quotidianamente la paura di cosa succederà ai loro figli una volta che essi non potranno più prendersene cura.

Purtroppo, nonostante il buon intento con cui è stata emanata la legge 112, questa si rivolge a dei nuclei che economicamente vivono una situazione economica abbastanza florida. Il trust, le agevolazioni fiscali, spesso sono assai distanti da chi, gravato da un regime assistenziale oneroso, non vanta patrimoni da destinare al proprio figlio. Dunque si tratta di una legge che ad oggi manca di una visione sociologica che abbracci vari panorami economici.

Oltre a ciò è da evidenziare come fra la legge 112 e la normativa regionale toscana via sia un gap non solo normativo ma anche antropologico.

Infatti il regolamento attuativo della legge 112 della Regione Toscana, emanato nel 2017, come la norma nazionale indica come strumento di presa in carico e assistenza per le disabilità medio gravi e gravi appartamenti guidati, cohousing  e varie tipologie abitative con diversi gradi di assistenzialità. Tali strumenti operativi, che dovranno essere progettati dal terzo settore guidato dalle diverse società della salute, tramite l’utilizzo del fondo economico creato con la 112/16, dimentica di esplicitare quale sia la disabilità di cui si parla, e di rendere onore al vero quando dobbiamo prendere coscienza che alcune disabilità non potranno mai godere di piena autonomia (pensiamo a chi necessità di un’assistenza infermieristica h24 o chi, allettato, può muoversi solo con più operatori, oppure a coloro a cui non può essere associata un’autonomia macrosociale che comporti una capacità di capire i rischi e il controllo della propria aggressività).

Proprio per questo, da tecnico mi preme ricordare la legge 328 del 2000, sull’integrazione dei servizi sociali e sanitari per cui lo strumento principale a tutela del soggetto fragile è il piano individualizzato. Dove, grazie ad un serio lavoro di equipè, si riesce ad individuare quale sia la strada migliore per il soggetto preso in carico, sia da un punto di vista assistenziale che riabilitativo, in una maniera non standard e dinamica, in quanto questo strumento dovrebbe essere aggiornato e rivalutato a seconda degli obbiettivi raggiunti e dei cambiamenti del soggetto e del suo ambiente di vita.

Da ciò emerge chiaro il gap: un regolamento attuativo regionale che indica come unica strada di assistenza le forme abitative leggere, non tenendo conto delle diverse necessità assistenziali del soggetto, che sarebbero ben protette se la 328 fosse davvero applicata. Si delinea dunque un atteggiamento di demonizzazione delle strutture assistenziali complesse, nonostante il fatto che per alcuni soggetti esse siano una risorsa importante, specialmente se esse sono aperte, centrate sulla dignità dell’individuo, e in collegamento con il territorio.

Infine per sottolineare ancora il gap normativo, e di conseguenza assistenziale, che ci troviamo ad affrontare, non possiamo non far riferimento alla legge 40 e 41del 2005, oltre al regolamento 15 della Regione Toscana, per cui in regime di inserimento in una struttura il disabile perde tale qualifica al suo compimento dei 65 anni di età, per divenire da quel giorno solo anziano.

Ciò significa che un utente, inserito in struttura da  anni, che ha creato legami, sia con i suoi pari che con gli operatori, a 65 anni sarà rivalutato dai servizi sociali e inviato in una residenza sanitaria per anziani, cancellando così tutto il suo vissuto. Dunque se tale norma non sarà cambiata, qualora per un soggetto sia possibile vivere in un appartamento con assistenza leggera, a 65 anni cosa succederà?

Ogni volta che un genitore si reca da me e mi chiede “dottoressa sono preoccupato per quando morirò, chi seguirà mio figlio, potrà rimanere nella vostra struttura? Potrà venire da voi dopo la mia morte? “ io rispondo che vorrei tanto… ma la normativa regionale non aiuta nessuno… perché in realtà ad oggi non esiste nessun dopo di noi… una struttura per disabili assiste solo fino a 64 anni…

Dunque da qui emerge chiaro un obiettivo: creare percorsi privati sperimentali. Perché fin tanto che non si prenderà coscienza della globalità delle disabilità e dei limiti normativi, organizzativi e assistenziali, c’è ancora molto da fare per dare delle risposte concrete e congrue.

*Direttore Fondazione “Dopo di Noi”, Pisa, Centro Polifunzionale Le Vele.

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