di Giselda Rusmini*
Negli ultimi anni le donne italiane sembrano considerare l’assistenza familiare come un possibile ambito occupazionale. Si moltiplicano, infatti, quelle iscritte a corsi di formazione ad hoc e agli sportelli per l’incontro domanda/offerta di lavoro privato di cura. In mezzo a tante donne, anche alcuni uomini. Come il protagonista di una video-inchiesta di Vladimiro Polchi per La Repubblica, che racconta di un lavoro faticoso, ma appagante. Un lavoro scarsamente riconosciuto, a livello sociale e pubblico, nonostante rappresenti il servizio più diffuso cui ricorrono le famiglie che necessitano di assistere una persona anziana.
L’inizio come “badante generico”, poi la frequenza ad un corso di formazione porta il protagonista, Massimiliano, ad affermare: “Oggi sono un operatore professionale.” A sottolineare l’importanza della qualificazione, non solo in termini di competenze e conoscenze acquisite, ma anche in quanto riconoscimento formale di una professione. Ecco allora che nello scenario di un bisogno di cura che andrà aumentando, l’assistenza familiare può rappresentare un ambito occupazionale in espansione, un ambito importante su cui investire attraverso la formazione e servizi di accompagnamento leggeri, che non lascino sole le famiglie e chi le assiste. Riconoscendo così la funzione sociale di questo lavoro, che come ci ricorda Massimiliano, “non morirà mai”.
* Giselda Rusmini, sociologa, collabora con Irs dal 2005. In tema di lavoro privato di cura coordina la redazione di Qualificare.info ed è co-curatrice del volume “Badare non basta”
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