Tra il dire e il (wel) fare c’è di mezzo il mare. La crescita del bisogno di ascolto da parte dei cittadini che si rivolgono ai servizi

di Davide Pizzi *

imageBen altri erano i tempi in cui la poesia ermetica con successo accentrava in pochi versi pensieri molto profondi: es. m’illumino d’immenso. Non altrettanto si può affermare oggi rispetto al linguaggio stringato, anoressico e per nulla “luminoso” della politica, delle istituzioni e di chi le amministra, concentrato e telegrafato, che utilizza sempre più i mezzi di diffusione mediatici, che impongono per loro natura, limiti di spazio alla comunicazione. Mi riferisco alla moda di comunicare tramite twitter e i social net.

D’altro canto si consolida allora all’interno della nostra società liquida, così come sapientemente definita da Zygmunt Bauman, la comunicazione che io definisco zippata, ossia compressa. E così, mentre cresce da parte dei cittadini il bisogno di sfogarsi e di essere ascoltati quando si rivolgono a un operatore, paradossalmente assistiamo a una contrazione dei concetti della politica e delle risorse destinate al welfare.

Chi lavora nei servizi territoriali, per esempio il servizio sociale di base del Comune, avrà quasi certamente percepito nell’utenza che, oltre alla necessità urgente di ricevere un contributo economico che per poco arginerà una difficile situazione, è in crescita il bisogno di sfogarsi, di parlare, di raccontare le avversità che sta vivendo per colpa della crisi economica, e anche di contestare su tutto quello che di negativo gli sta accadendo intorno. L’afflusso dei cittadini in difficoltà è in costante aumento, e le previsioni per i prossimi mesi non sono senz’altro rosee. Oltre alla carenza delle risorse, si è aggiunta anche quella degli operatori, che in numero insufficiente nei servizi, vedono accrescere l’utenza e il peso della complessità del proprio carico assistenziale, senza molte speranza di ricevere alcun tipo di rinforzo né sull’uno e né sull’altro fronte. Il patto di stabilità con esso rende “stabile” la disperazione dei cittadini in difficoltà, e la crescita della sindrome da burn out negli operatori del sociale, causata dal senso d’impotenza per la mancanza di risorse umane ed economiche: lavorare in questo modo diventerà sempre più frustrante!

Procedendo di questo passo invece, coloro che resteranno senza parole saranno gli operatori, che dovranno sobbarcarsi il peso di dare delle risposte esaustive e concrete ai propri assistiti. Di tradurre inoltre in termini semplici, il latinorum che si propaga nel linguaggio delle politiche sociali, tra i pubblici amministratori, che tanto rievocano il pensiero di Michel Foucault, quando descriveva il linguaggio specialistico come strumento di esclusione. Un abbecedario di neologismi, di termini esteri, di vocaboli provenienti da altre discipline e riadattati forzatamente, tutto secondo la moda del momento. Il primo ministro o capo del governo, ecco che da qualche anno è diventato il premier; il presidente di regione “governatore”; e le agende, strumenti “ apolitici” per annotare i propri impegni personali, improvvisamente sono entrate anche loro nel mondo della politica (agenda politica)! La lista è lunga e si potrebbe continuare. Mi dispiace notare che questo fenomeno si fa strada anche tra il linguaggio degli operatori, sempre più assorbiti dall’uso appunto di nuovi termini professionali.

In un periodo in cui tutto o quasi ristagna, ho difficoltà a comprendere come possano prolificare invece i linguaggi specialistici. Anzi, tutto questo mi ispira una reminiscenza, il romanzo Il Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quando il Principe di Salina affermò che: tutto cambia affinché nulla cambi! Sarà a causa di questa improvvisa e accelerata evoluzione linguistica che sovente ascoltiamo dai telegiornali, e dai vari organi d’informazione, che qualche personaggio noto il giorno seguente affermi: «non intendevo dire questo, sono stato frainteso!».  Chi come operatore sociale è abituato a lavorare in prima linea ricevendo utenza ogni giorno per i colloqui, specialmente in questo periodo di crisi, sa benissimo quanto concrete siano le domande che gli utenti rivolgono, e semplici i vocaboli che utilizzano, e sa altrettanto bene come è diventato più difficile rispondere sia a parole, sia con percorsi operativi. Non è un caso che negli ultimi anni siano coincisi fenomeni di aggressione a danno degli operatori sociali. Ascoltare i cittadini bisognosi sta diventando sempre più difficile e faticoso, offrire delle risposte ancor più rischioso rispetto al passato, specie per le professioni sociali che maneggiando la concretezza e la sincerità, e a giusta ragione deontologica, fanno di essi gli strumenti professionali per eccellenza maggiormente utilizzati.

* Assistente sociale dell’Ordine della regione Puglia

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