I “servizi” sono ancora il dispositivo migliore per aiutare le fragilità?
Se ci guardiamo intorno, se guardiamo ai servizi più strutturati, troviamo una realtà che fatica a tenere il passo con il cambiamento. Qualche esempio: i servizi domiciliari per anziani dei Comuni sono diventati servizi di nicchia e marginali; i centri di aggregazione giovanile e gli Informagiovani sono luoghi che si sono via via svuotati di un interesse che si rivolge altrove; le comunità terapeutiche per le dipendenze attraversano da molti anni una fase di crisi e di ripensamento; le strutture residenziali per anziani accolgono in un caso su cinque (dati di Regione Lombardia) una utenza definita impropria, in quanto avrebbe bisogno di servizi più aperti, meno custodiali. Un quarto delle residenze per disabili in Italia ha più di 80 posti letto, dimensioni che limitano le possibilità di una inclusione reale nei territori.
Possiamo modificare ciò che esiste, dove questo è necessario, e questo già si fa. Possiamo rivendicare più risorse per il sociale, e anche questo già si fa. Ma si fa strada l’urgenza di pensare a nuovi modi di costruire l’aiuto, verso una rete di aiuti attivanti: attivazione delle persone e attivazione delle comunità locali. Continua a leggere