di Patrizia Taccani
*Non è stato facile decidere di aprire il libro di Camelia Ciuban, credo, già a partire dal titolo: “La belva. Sono una maniaco-depressa e contenta di esserlo” (1) e mi sono domandata che cosa mi avesse momentaneamente allontanata dal desiderio di iniziarne la lettura. Ho capito che l’aggettivo “contenta”, inserito nel sottotitolo, mi suonava come provocazione eccessiva. Del resto in molti punti del suo racconto si è chiamati a raccogliere delle sfide. Ci imbattiamo in parole forti, in minuziose descrizioni di vissuti intimi, personalissimi, ci affacciamo su vuoti che fanno trattenere il fiato. Non è mai una sfida respingente però, così come non ci si troverà mai di fronte a richiesta di compatimento. Occorre leggere attentamente riga dopo riga, ma soprattutto accettare di ricomporre frammenti di un’esistenza accompagnati, nel racconto, all’alternarsi di emozioni e pensieri a volte totalmente in contrasto tra loro. Bisogna accettare di ascoltare la malattia mentale vista solo dal di dentro di chi la vive, non mediata dagli specialisti. Continua a leggere