Roberto Cerabolini *
Nel lavoro di cura rivolto a persone e famiglie interessate da malattie gravi, stati cronici di disagio o disabilità, accade frequentemente di trovarsi di fronte alla produzione spontanea e abbondante di narrazioni riguardanti la vita dell’individuo, o dei famigliari che lo assistono.
Le persone malate o interessate da menomazioni parlano di sé, appena possono, delle loro sofferenze come degli aspetti gradevoli della loro vita, e molto dei desideri e dei sogni che ne alimentano l’esistenza.
La produzione di diari e di autobiografie, non necessariamente artistiche, è abbondante in queste tipologie di individui, e ciò non è casuale. Come ha rilevato J. Bruner il meccanismo generativo della narrazione “è la difficoltà, un ostacolo, un problema percepito… un pericolo.” Le difficoltà possono attrarre la nostra attenzione e ci stimolano a “estendere ed elaborare il nostro concetto del Sé. E’ affrontando problemi e difficoltà, reali o immaginati, che modelliamo un Sé che si estende oltre il qui e ora degli incontri immediati, un Sé capace di contenere sia la cultura che dà forma a quegli incontri, sia le nostre memorie di come abbiamo fatto fronte a essi in passato” (Bruner J., 1997). Continua a leggere