Quando la povertà è dignità

di Chiara Biraghi*

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L. Viani “famiglia di poveri”

Ogni giorno, noi operatori sociali, incontriamo e ci scontriamo con realtà e mondi diversi.
Non sempre abbiamo il permesso di entrare, ma non appena entriamo in contatto, i sensi si allertano, la nostra attenzione viene catalizzata, siamo più ricettivi e, talvolta, ci facciamo (anche) coinvolgere.

A fine giornata, però, chiusa la porta del nostro ufficio, dovremmo essere in grado di lasciare nei cassetti e negli archivi quei mondi, ma quando non ci riusciamo? Cosa possiamo fare?
Ho avuto modo di rifletterci in questi giorni e sono giunta alla conclusione che dovremmo trarne insegnamento.

Una sera di novembre, sul tardi, avevo una visita domiciliare programmata.
Prendo la macchina e sotto la pioggia mi faccio guidare dal navigatore per arrivare a destinazione; sebbene avessi un’idea di cosa potesse aspettarmi, la realtà, il mondo che ho incontrato era davvero “un vaso di pandora”.
Entro in questa casa dopo aver percorso una decina di scalini scivolosi e salutato un cane infreddolito e bagnato.
Sulla porta uno straccio consumato per asciugare le scarpe e l’odore di legna arsa che avvolgeva tutta la casa.
Flebili luci ad illuminare le varie stanze, spoglie.
Ci accomodiamo in cucina, un tavolo con poche sedie, un divano consunto con sopra il pacco alimentare della Caritas e un fornello per cucinare accanto al lavandino.
Siedo a fianco di un ragazzo di 19 anni, minuto, timido, magro che pare più piccolo della sua età. Vive in condizioni di “povertà assoluta” insieme a suo padre, disoccupato e con seri problemi di salute.
Lui va a scuola tutti i giorni, regolarmente, e la sua media è anche discreta.
La spesa per il treno che lo porta a scuola è sostenuta dal Servizio Sociale  in ottica progettuale, con altri attori presenti sul territorio.
Non possiede il materiale scolastico, ma i professori lo agevolano fornendo fotocopie ed prestandogli i libri.
Oltre a fornirgli il materiale scolastico, i docenti lo aiutano anche andando incontro ad altre sue esigenze, collaborando attivamente con il Servizio Sociale.
Durante il colloquio poche volte ha alzato la testa, ma quelle poche volte ho avuto modo di incrociare i suoi occhi grigio azzurri che mi hanno raccontato più di quello che è emerso dalle sue parole.

E’ preoccupato, ma determinato. Teme per il suo futuro, ma non vuole gettare la spugna.
Alle spalle ha una storia difficile, ma vuole non farne parte.
Il padre, non essendo in salute, è stato con noi molto poco e questo ha permesso al ragazzo di esser più libero e meno inibito nel parlare.
Al termine di questa visita domiciliare ho spiegato a questo ragazzo quello che avrei messo in campo e come avremmo potuto agire. Lui mi ha risposto e le sue parole mi hanno spiazzata:
“Avrei bisogno di un deodorante e di una giacca, il deodorante lo devo sempre chiedere  ai miei compagni di classe, o dall’amico presso il quale faccio la doccia!”
In casa non hanno acqua calda, ma questo non impedisce a questo giovane uomo di vivere la sua vita con una forza di volontà invidiabile.
L’orgoglio, se di orgoglio si può parlare, è stato messo da parte di fronte ad una situazione così grande da gestire, ma che deve essere affrontata.
Sono uscita salutandolo con un sorriso, non ho aperto l’ombrello scendendo le scale, avevo bisogno di sentire “il mondo”.
“Ciao bello”, un saluto al cane e sono salita in macchina.
Ad ogni passo e ad ogni movimento che facevo sentivo l’odore della legna che bruciava nella stufa putagè, l’ho portato con me a casa e, stranamente, non ho voluto lavare i capelli. L’ho fatto il mattino dopo.
Volevo sentire quell’odore durante la serata e pensare, riflettere e capire.
Pensare su quanto avevo visto e sentito; riflettere su quanto da tutto quello, io, avrei dovuto imparare e capire… capire cosa fare per essere un’assistente sociale competente e non compassionevole, capire quanta dignità c’è negli occhi di un ragazzo che vive, ogni giorno, una vita difficile senza perdere la via.

Concludo questo articolo con un pensiero di Ardigò del 1989: “Per i nuovi poveri la beneficenza materiale non è che un palliativo; occorre ricostruire la personalità, se e quando possibile o almeno far sentire una solidarietà e un riconoscimento di dignità prima e durante il soccorso materiale”.

* Assistente sociale e blogger di Pensieri Sociali

*******Buon Natale dalla redazione di Scambi di Prospettive!*******

2 pensieri su “Quando la povertà è dignità

  1. LORETTA

    Non è detto che una persona povera debba essere indecorosa! L’assistente sociale non deve mai essere compassionevole o farsi prendere dal buonismo…invece….concretizzare con azioni finalizzate la richiesta dell’ Utenza. E se le risorse non sono sufficienti adoperarsi per far si che la persona possa attivarsi in modo autonomo anche se sostenuto dai Servizi.

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  2. paolopozzani

    Bella piccola storia. “Bella”, perchè? Perchè potevamo anche inventarcela senza fatica, come carol natalizia, e invece è vera, e dunque… Dunque induce a riflettere sulle emozioni, l’etica, la ricerca professionale. L’incontro con la realtà e con le emozioni che ne derivano apre mente e comportamento a nuove idee e nuovi significati. Il coinvolgimento personale ed emotivo non va temuto (solo conosciuto e governato): non conosco miglioramenti professionali che non siano anche personali. Le idee e le innovazioni vengono da tante direzioni, tante fonti non predeterminabili, e l’impatto emotivo che viene dalla relazione autentica fra persone ne è una fonte inesauribile. Il contatto con la povertà e con la malattia è giustamente sconvolgente: almeno ogni tanto, dovremmo farlo tutti, prima di atteggiarci ad esperti del sociale.

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