Nuove metodologie al servizio della tutela

Elena Merluzzi*

sad-family-vector-character-cartoon-illustration_fJuZ3JuuFamily group conference. Quando trovai questa sigla su internet rimasi subito affascinata dal nome da cui si intuiva una metodologia basata sull’interventismo, intravedendo così nuove possibilità di applicazione nell’ambito lavorativo.

Il libro “Lavorare con le famiglie nella tutela minorile. Il modello delle family group conference” delinea in modo concreto e puntiglioso il processo suddetto, interpretato egregiamente dalla sua autrice Francesca Maci, prima esperta italiana dell’argomento, anch’ella affascinata da questo processo quando ne venne a conoscenza in Inghilterra.

Nato nell’ambito della tutela minorile, la family group conference (d’ora in poi fgc) viene applicata anche in altri ambiti (ambito scolastico, penale ). Tre parole per definire la fgc: processo. Facilitatore. Advocacy. E’ un processo gestito da un facilitatore il quale sostiene la famiglia nella progettazione, mentre l’advocacy sostiene i bambini e i ragazzi nel confronto con gli altri membri della famiglia allargata.

L’obiettivo principale della fgc è quello di affrontare una problematica inerente il minore, mettendo al centro le motivazioni, decisioni e opinioni di tutti i componenti della famiglia, per arrivare ad un progetto di tutela del minore. Si ricorre ad essa quando c’è una situazione di rischio per il minore, tale per cui è richiesto l’intervento dei servizi sociali. Guardarsi in faccia, esprimere le proprie opinioni e trovare insieme una soluzione, senza che venga “imposta” da esterni, non solo potenzia le risorse interne del nucleo familiare ma supporta il minore a sentirsi parte di un tutto , al centro di un progetto che lo riguarda e di cui è protagonista. Per cui famiglia, non come oggetto di prestazioni, ma come protagonista delle prestazioni.

L’autrice utilizza la metafora del viaggio per descrivere la fgc, le cui fasi principali sono quattro:

  • l’attivazione, ossia la partenza, con relativa compilazione della scheda di attivazione da parte dell’assistente sociale;
  • la preparazione, che spetta al facilitatore, il quale organizza gli steps delle riunioni familiari ascoltando le esigenze di tutti i membri;
  • la riunione in cui si attua la stesura del progetto di tutela da parte della famiglia che verrà poi presentato all’assistente sociale. In questa fase vanno rispettati i tempi di stesura e condivisione con relativo supporto degli operatori, se richiesto;
  • monitoraggio e verifica del progetto di tutela.

Nel volume, la descrizione delle fasi è ovviamente ricca e dettagliata.

Nell’ambito del mio lavoro, grossolanamente e inconsapevolmente, prima di conoscere la metodologia della fgc, ho avuto modo di applicare sommariamente tale metodo, con degli ottimi risultati in termini di raggiungimento di un equilibrio psico-fisico della minore sulla quale verteva la nostra tutela.

In breve: la minore Giulia (nome di fantasia) 16 anni, una sorella di anni 17, orfane di madre da circa due anni, viveva con il padre con il quale i rapporti si erano incrinati poiché lui ostacolava sia la relazione con il fidanzatino sia la frequentazione con la zia materna Francesca, verso la quale lo stesso nutriva un astio profondo legato a questione di natura economica. Fino al giorno che Giulia scappa di casa e, stanca delle vessazioni del padre, si rifugia proprio a casa della zia Francesca. Intercede il servizio sociale su richiesta dei carabinieri intervenuti a loro volta su istanza del padre di Giulia. Dopo una mediazione con la minore e il padre, dopo vari colloqui con le parti, individuali e in coppia, si è ragionato sulla possibilità di riunire tutta la famiglia, compresi i nonni materni e i cugini, figli della zia Francesca, per trovare insieme una soluzione che non turbasse il già precario equilibrio psico-fisico di Giulia. Gli incontri svolti sono stati due. Prima di questi si è svolto un colloquio “motivazionale” per spiegare le ragioni di tale “reuniun”.

Negli incontri le parti hanno “ragionato” su quale fosse la soluzione migliore per Giulia e per garantirle una crescita serena. I membri della famiglia si sono accordati su redigere una sorta di calendario degli incontri tra nipote e zia e la condivisione di regole di convivenza all’interno del nucleo familiare allargato in cui non venissero ribaltati i ruoli di ciascuno. Oggi Giulia è tornata a vivere con il padre e la sorella; hanno ritrovato una loro serenità.

I rischi di attuazione di tale intervento sono molteplici: principalmente il confronto con dinamiche conflittuali che si riacutizzano e lo spostamento della discussione su considerazioni personali o vicende di altra natura (patrimoniale, ereditaria ecc.); ma la presenza degli operatori garantisce l’attuazione del progetto ridefinendo tempi, spazi e principalmente motivazioni. Non sempre e non tutti i familiari, nonostante professino il contrario, hanno in mente l’interesse prioritario del minore che diventa oggetto di strumentalizzazione seppur non in maniera cosciente. Spesso durante i colloqui in cui è presente anche il minore, il genitore non si rivolge a lui chiedendo un parere, anzi viene tirato in ballo solo come “arma di attacco o difesa”. Per tali ragioni il ruolo del facilitatore garantisce una sorta di cuscinetto nei confronti di recriminazioni non funzionali al progetto di tutela.

Questo articolo è un invito rivolto ai colleghi e non solo a ragionare sull’applicazione di questa metodologia, a leggere il libro e trovare spunti rispondenti al proprio lavoro al fine di renderlo più funzionale al raggiungimento dell’obiettivo.

* Assistente sociale, Sociologa

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *