Il 6-5-2017 è entrata in vigore la legge Zampa (1) recante “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati” che, in ventidue articoli, riunisce e riafferma quanto, nell’ordinamento italiano, sulla tutela e sulla protezione dei minori soli era stabilito in precedenti testi di legge (2). Essa pone l’Italia come primo Paese europeo ad avere un provvedimento normativo dedicato a questo specifico argomento minorile, nel quale la condizione giuridica del “minore non accompagnato” s’intreccia in modo considerevole con lo statuto di “straniero”.
Gli operatori del settore: assistenti sociali, educatori, tutori e amministratori sono, pertanto, sollecitati a riconsiderare gli aspetti storici macro e micro, educativi, formativi e sociali, che incontrano quotidianamente nella pratica, secondo la prospettiva di cambiamento tracciato dalla nuova legge.
Il fenomeno migratorio minorile a Trieste città e provincia
L’Italia si confronta e governa oggi un fenomeno migratorio di portata significativa, quando in un non lontano passato aveva dovuto affrontare l’opposta situazione divenendo terra di cittadini italiani emigranti verso nazioni europee e americane.
Trieste, e la sua risicata provincia, costituisce assieme al restante territorio regionale del Friuli Venezia Giulia la naturale frontiera del confine orientale italiano e, sebbene le cronache parlino prevalentemente degli sbarchi via mare lungo le coste del sud italiano, in queste zone da quasi trent’anni si assiste a un fenomeno migratorio costante e inarrestabile che periodicamente raggiunge punte emergenziali.
Trieste, infatti, è meta d’ingresso di quanti raggiungono l’Europa via terra attraverso i Balcani e, in particolare, crocevia di differenti flussi migratori: immigrazione regolare, frontaliera, clandestina e di ritorno, risalente in particolare all’area balcanica, ai Paesi dell’Est Europa e anche a quelli orientali e medio orientali. All’interno di queste provenienze si collocano le migrazioni minorili e specialmente quella dei minori stranieri non accompagnati il cui costante flusso, dagli anni ’90, oggi si presenta con notevole consistenza numerica (3).
Nell’arco degli ultimi quindici anni sono cambiate le provenienze di chi fa ingresso via terra e, di conseguenza, variano le nazionalità dei minori soli presenti nelle comunità regionali e locali.
Nel decennio 2000 – 2009, a seguito del riassetto politico economico e sociale dei Paesi dell’ex cortina di ferro e di quello dei Paesi della dissolta Repubblica Jugoslava, prevalevano i minori albanesi, serbi, kosovari, romeni sia maschi sia femmine, e, in misura meno significativa, quelli provenienti da quasi tutti i Paesi dell’Est.
Dal 2009 hanno iniziato a crescere, e ad oggi prevalgono, le nazionalità dell’estremo oriente: bengalesi, afgani, pakistani, siriani, iracheni, come pure i kosovari che sono i più rappresentati.
Minoritarie sono le provenienze dall’Africa subsahariana e mediterranea, come dal Ghana, Senegal, Mali, Ciad, Marocco. Nel 2011 il Comune di Trieste, aderendo al progetto nazionale “Emergenza Nord Africa”, aveva accolto un gruppo di dieci ragazzi ghanesi, i quali erano stati, in pratica, espulsi dalla Libia della così detta Primavera Araba e imbarcati a forza sulle navi-carretta in direzione Lampedusa.
Fra le ragioni della diaspora dei minori stranieri non accompagnati prevalgono le ragioni economiche e lavorative, accanto alla fuga dai conflitti aperti fra gruppi politici, sociali, tribali e familiari, fattori tutti che tolgono la possibilità di sopravvivenza nell’ambiente di vita originario a sempre più persone.
Un intreccio di ruoli per il Servizio sociale: accoglienza e accompagnamento, raccordo tra le risorse, progettazione, documentazione
La competenza dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, quale basilare forma di protezione e tutela fisica e materiale in adeguate strutture per minori d’età, spetta in primis ai Comuni, per i quali tale competenza rappresenta un obbligo cogente. Solo nel caso di flussi consistenti di minori soli ultra quattordicenni possono attivarsi anche le Prefetture predisponendo strutture con capienza massima di cinquanta posti. (4)
La legge Zampa conferma e legittima il ruolo gestionale e operativo del Servizio Sociale dei Comuni. In particolare, gli assegna, incontestabilmente, un ruolo di ponte e di regia tra i vari attori sulla scena dell’accoglienza dei “minori stranieri non accompagnati”.
A quale problema, tuttavia, in molti casi ci si trova di fronte? Al fatto che diciassette anni dopo la legge quadro nazionale sul welfare (Legge 328 / 2000) tuttora ci sono Comuni che nemmeno hanno istituito nella loro organizzazione un servizio sociale, e questo significa non solo che in quel territorio non ci sono professionisti dedicati ai progetti di accoglienza dei minori stranieri soli, ma che mancano le competenze sociali per rispondere ai bisogni espressi dalla popolazione residente (5).
Tornando ai compiti del Servizio Sociale del Comune vediamo come esso sia chiamato a esprimere un ruolo di raccordo tra l’Ente locale e l’Autorità giudiziaria minorile, la D. G. dell’Immigrazione e delle Politiche d’Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la Prefettura, gli Uffici Immigrazione della Questura, le comunità di accoglienza, le strutture dell’Azienda sanitaria, i Centri di formazione professionale e gl’istituti scolastici, le Agenzie dei mediatori linguistici e quanti gestiscano servizi educativi sportivi e ricreativi sul territorio a favore dei minori.
Nello specifico, il servizio sociale collabora con le direzioni e gli educatori nel formulare percorsi finalizzati all’integrazione sociale linguistica e professionale, secondo programmi educativi formativi individualizzati. La documentazione comprovante il percorso intrapreso da ciascuno è trasmesso alla valutazione della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche d’Integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. L’iter si conclude – alla maggiore età del ragazzo – con il parere fornito alla Questure dall’organismo in questione, parere necessario ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro o per studio.
L’età dei ragazzi accolti generalmente oscilla tra i quindici e i diciotto anni, ma, soprattutto negli ultimi anni, stanno arrivando sempre più frequentemente minori soli di età più giovane, accompagnati a volte da adulti che non sono né parenti né i loro legali rappresentanti.
Al compimento della maggiore età s’interrompe per legge il loro affidamento all’Ente locale e cessa per il Comune ogni obbligo assistenziale. Tuttavia, per i ragazzi meritevoli che abbiano ancora la necessità di completare il percorso formativo, oppure per le situazioni di particolare vulnerabilità e fragilità personale e sociale, nello spirito della legge Zampa, il servizio sociale può avanzare una richiesta al Tribunale per i Minorenni affinché l’accoglienza e il percorso formativo prosegua fino al ventunesimo anno. Qualche breve considerazione merita la parte più propriamente burocratica e amministrativa, ma non la meno importante, del lavoro nel settore dell’accoglienza dei minori soli: la compilazione della cartella sociale S.I.M. (6). In essa sono riportati i dati anagrafici, le tipologie, i tempi e i costi dell’accoglienza, il programma formativo e d’integrazione sociale avviato per ciascun minore in prospettiva della sua maggiore età, o delle sue dimissioni dalla struttura di accoglienza. Questo strumento informatico ha valenza sia sociale sia amministrativo-contabile. La sua compilazione integra la inderogabile procedura istituzionale per la liquidazione a favore dell’Ente locale delle spese da esso sostenute.
Durante tutte le fasi di accompagnamento, dall’accoglienza in poi, i colloqui con i minori sono uno strumento primario per acquisire conoscenze sulla vita condotta nel Paese di origine, il tipo di frequenza scolastica precedente, le condizioni sociali familiari e ambientali, l’esistenza di parenti e reti amicali in Italia e/o in Europa, i motivi del viaggio migratorio, i loro interessi e aspirazioni, e tutte le notizie utili a tracciare un programma formativo e d’integrazione che tenga conto, quanto più possibile, delle condizioni peculiari di ciascuno, affinché l’integrazione sociale nel nostro Paese del minore sia efficace e l’investimento della sua accoglienza produttivo di risultati sia personali sia sociali.
Le figure dei mediatori culturali, pur previste nella normativa, non sempre, attualmente, sono disponibili nei colloqui, prevalentemente a causa delle limitate risorse economiche dell’Ente locale.
Chi opera nel settore avanza il dubbio che su questi aspetti, che favorirebbero lo scambio e l’integrazione linguistica e culturale in entrambe le direzioni, dell’ospite e dell’ospitato, si decida di non investire risorse culturali e economiche. Come se a livello politico si tendesse a considerare l’integrazione interculturale un processo naturale, che viene da sé, anziché il risultato di un divenire educativo, formativo, intellettuale ed emotivo, che richiede un’aperta visione politico-sociale del Paese che accoglie, nonché risorse economiche specificamente destinate (7).
Meritano attenzione, ad esempio, le notizie sulle condizioni in cui tali viaggi si svolgono, ricche d’insidie e di imprevisti nonostante i facili collegamenti teoricamente oggi disponibili e ciò vale sia per chi proviene dall’Oriente sia per chi proviene dall’Africa subsahariana.
Noi Assistenti Sociali raccogliamo e accogliamo racconti di indicibile sofferenza.
La cronaca solitamente ci fornisce il resoconto delle tragedie – frequenti e numerose – nei viaggi via mare, tuttavia le storie dei ragazzi che giungono via terra ci confermano come queste tratte siano altrettanto pericolose e rischiose, soprattutto quando si attraversano i confini degli Stati mediorientali. Il tempo che essi impiegano a percorrerle con i mezzi più diversi: auto, carri, camion, corriere, treni, barche, navi e a piedi, tra soste e ostacoli di ogni genere, si dilata oltremodo oscillando da tre – sei mesi sino a interi anni. Capita pure che qualcuno non riesca neppure a proseguire il viaggio e si fermi o ritorni indietro. Come nel caso del fratello maggiore di un ragazzo bengalese affidato, partito con lui per raggiungere l’Europa. Dopo essere stato imprigionato in un Paese mediterraneo perché clandestino, scompensatosi psichicamente, al termine del periodo di reclusione rientrò inevitabilmente in famiglia, senza mai poi riprendersi del tutto. Il fratello minore che “ce l’ha fatta” avverte ora il peso di una doppia responsabilità: verso la famiglia, per la quale il suo viaggio verso l’Europa ha costituito un investimento, e verso il fratello sfortunato.
In altri casi abbiamo ascoltato storie di ragazzi sequestrati da bande locali e tenuti reclusi, sottoposti a maltrattamenti e sevizie al fine di costringere le famiglie a pagare ulteriore denaro per il riscatto.
Tra i progetti di inserimento nella nuova legge si prevede l’affidamento familiare come risposta prioritaria all’accoglienza dei minori soli. Alla luce della pratica lavorativa sento di poter tuttavia affermare come questa soluzione sia quasi improponibile per coloro che sono prossimi alla maggiore età, i cui programmi socio assistenziali puntano a renderli autonomi e indipendenti, mentre per i ragazzi e le ragazze in età scolare, l’affido può rappresentare la soluzione più adeguata.
Ritengo significativa in proposito la storia di Amina, una bambina proveniente da un Paese africano: aveva appena cinque anni e doveva essere curata per estese ustioni procuratesi in ambiente domestico. Se n’era interessato il Comandante della missione di pace italiana che allora operava nel territorio dove Amina viveva. Arrivata in Italia accompagnata da un parente si trovò improvvisamente a essere “minore sola”: dopo una breve permanenza, infatti, il familiare ritornò al Paese di origine senza fornire più notizie di sé. L’Autorità Giudiziaria, informata in proposito, affidò la bambina all’Ente locale prevedendo il suo collocamento presso una volontaria che aveva operato nella Fondazione che per prima l’aveva accolta. In questo caso l’affido era stato da tutti giudicato come il progetto più consono alla crescita della piccola, profondamente bisognosa di cure materne, di accudimento familiare e di un contesto potenzialmente riparativo dei molteplici traumi subiti.
Qualcuno ha definito i minori stranieri soli come bambini e ragazzi dalla vita “in bilico”. Noi assistenti sociali sentiamo tutta la responsabilità di fare in modo che i loro passi trovino un terreno stabile su cui muoversi e andare avanti.
*Già Assistente sociale Funzionaria direttiva presso l’Area Servizi e Politiche sociali del Comune di Trieste.
Note
(1) Legge 7 aprile 2017 n. 47. Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.
(2) Faccio riferimento a: Decreto Legislativo n. 286/98, Testo Unico sull’immigrazione e modificazioni successive, D.P.C.M. n. 535/1999, Codice civile, Legge quadro sull’affidamento n.184/1983 e modificazioni apportate dalla legge n. 149/200, Convenzione Onu del 1989 sui diritti dei fanciulli ratificata dalla legge italiana n. 176/1991.
(3) Dal 1-1-2016 al 31-12-2016 il flusso annuo degli arrivi dei MSNA affidati al Comune di Trieste è stato di 418 di cui 411 maschi e 7 femmine.
(4) Cfr. Art. 18 del decreto legislativo n. 142/2015.
(5) Cfr. Intervista del 20-7-2017 al Presidente CNOAS Gianmario Gazzi, in “Vita.it”, Newsletter Cnoas 1-8-2017.
(6) Rif.to art.9 legge 7 aprile 2017 n.47. Sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati. Cartella sociale.
(7) A questo proposito, purtroppo, va segnalato che negli ultimi due anni la convenzione comunale con l’Agenzia mediatori non è stata rinnovata mettendo in difficoltà il servizio.