L’educatore socio-pedagogico e il pedagogista

Due qualifiche professionali più solide per lo sviluppo del welfare

 

di Ugo De Ambrogio*

 

Il ruolo delle professioni sociali è posto, in questo periodo di incertezza sullo sviluppo del welfare, di fronte a significativi cambiamenti.

La crisi economica ormai decennale, le nuove povertà, la progressiva fragilità della istituzione famiglia, i flussi migratori, l’aumento esponenziale della non autosufficienza, la condizione giovanile sempre più precaria (Neet, ecc.) pongono le professioni sociali di fronte a nuovi bisogni e forti pressioni.

Chi opera nel sociale oggi è pertanto quotidianamente messo alla prova di fronte alla necessità di lavorare con bisogni profondi, culture diverse, esigenze essenziali. In questo quadro i professionisti del sociale si trovano costantemente ad orientare i propri comportamenti professionali per accogliere tali bisogni, e a incrementare le sinergie fra professioni, nella prospettiva di sviluppare nuovi e più efficaci interventi.

Le professioni sociali sono pertanto sempre più frequentemente portate a lavorare da un lato sviluppando proprie competenze specifiche e specialistiche, dall’altro mettendo a disposizione le proprie abilità e competenze in sinergia con altre professionalità e organizzazioni nella logica del lavoro di rete.

Si tratta di un lavoro che presuppone la condivisione di approcci, metodologie, paradigmi anche diversi da quelli adottati in un passato anche recente, che necessitano di continui cambiamenti e spazi di riflessione sulle modalità di intervento adottate[note]Cfr. in proposito l’articolo “Agilità, flessibilità, cooperazione nel welfare in cantiere”, pubblicato su welforum.it lo scorso settembre.[/note].
I professionisti del sociale sono pertanto fortemente stimolati da tali cambiamenti, che richiedono l’assunzione di identità professionali solide e consapevoli, per l’esercizio di ruoli complessi.

In questo quadro va salutato con ottimismo e soddisfazione il fatto che con la Legge di Bilancio 29.12.2017 n.2015, siano state approvate le figure professionali di educatore professionale socio-pedagogico, e di pedagogista e sia stata operata una distinzione chiara tra educatore professionale socio pedagogico e il già riconosciuto ruolo di educatore professionale sociosanitario.[note]Per redigere queste note ho ampiamente attinto, con l’autorizzazione dell’autore che ringrazio sentitamente, alle slide che Franco Pesaresi, Direttore dell’ASP “Ambito 9” Jesi (AN), ha pubblicato su facebook il 30 12 2017 in un pdf dal titolo “approvata la figura professionale dell’educatore socio- pedagogico e del pedagogista”.[/note]

Si tratta infatti di un riconoscimento importante che fa chiarezza rispetto ad una questione che per anni ha anche provocato  conflittualità “difensive”, legate a ruoli diversi ma entrambi qualificati con lo stesso termine “educatore”. Ben venga pertanto tale nuova norma che codifica il fatto che nel nostro paese dietro il termine educatore professionale si celano due professioni con due percorsi formativi universitari diversi: uno sociosanitario ed uno socio-educativo.

Il secondo tipo di percorso proposto dalle facoltà di scienza dell’educazione e della formazione, non abilitava fino ad oggi all’esercizio della professione educativa, non essendo collegato ad un profilo professionale riconosciuto.

Mentre infatti come profilo generale,  l’educatore professionale (ad indirizzo sociosanitario), formato per lo più nelle Facoltà di Medicina, è stato riconosciuto dal Ministero della Sanità attraverso il DM 8 ottobre 1998, n. 520, come soggetto che opera all’interno di strutture sociosanitarie-riabilitative e socio – educative[note] “L’educatore professionale è l’operatore sociale e sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’equipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà”, (DM 8 ottobre 1998, n. 520).[/note], i percorsi formativi si sono differenziati negli anni spesso inducendo confusioni e competizioni.

La formazione dell’educatore professionale (ad indirizzo sociosanitario) è avvenuta fino ad oggi presso le strutture sanitarie del SSN e le strutture di assistenza sociosanitaria degli enti pubblici individuate con protocolli d’intesa fra Regioni e Università. Le Università coinvolte provvedono alla formazione per lo più attraverso le facoltà di Medicina.

Il profilo di Educatore professionale (ad indirizzo sociosanitario) afferisce pertanto alle professioni sanitarie dell’area della riabilitazione (classe di laurea L/SNT/2, già classe 2.

Il DPCM 26 luglio 2011, quanto ai criteri e le modalità per il riconoscimento dell’equivalenza ai diplomi universitari dell’area sanitaria  (effettuato ai fini dell’esercizio professionale, sia subordinato che autonomo – dei titoli del pregresso ordinamento) ha escluso esplicitamente i titoli universitari rilasciati dalla facoltà di Pedagogia/Scienze della Formazione per educatore professionale, conseguiti dopo l’entrata in vigore della l. 42/1999.

Parallelamente si sono però formate alcune generazioni di Educatori ad indirizzo socio pedagogico, variamente chiamati: educatore sociale, operatore socio educativo, educatore domiciliare, educatore della prima infanzia, operatore dell’infanzia, operatore dei nidi, ecc. La formazione di queste figure è stata sia promossa direttamente dalle Regioni che sopratutto  dalle Università  attraverso essenzialmente le facoltà di Scienza dell’educazione e della Formazione.

Ebbene, con la Legge 205/2017 viene disciplinato anche l’esercizio di tali professioni educative riconoscendole come distinte da quelle a specifico indirizzo socio sanitario. La legge stabilisce infatti che coloro che finora erano comunemente definiti genericamente «educatori» siano chiamati in due modi: educatori professionali sociosanitari ed educatori professionali socio-pedagogici. La legge riconosce inoltre la qualifica di pedagogista.

La prima qualifica: «educatori professionali socio-sanitari» resta disciplinata, nelle proprie attività, dal decreto del Ministro della sanità n. 520 del 1998, come professione sanitaria essenzialmente rivolta all’area della riabilitazione. Tale educatore  agisce conseguentemente nei presidi e servizi sanitari e socio-sanitari. La qualifica si acquisisce a seguito del rilascio del diploma di laurea della classe L/SNT2: professioni sanitarie della riabilitazione.

All’interno della seconda qualifica: “educatori professionali socio-pedagogici”, sono invece ricompresi coloro che agiscono nei servizi e presidi socio-educativi e socio-assistenziali, nonché nei servizi e presidi sociosanitari limitatamente agli aspetti educativo pedagogici, sono pertanto ricompresi anche gli educatori degli asili nido e degli altri servizi per la prima infanzia.

L’acquisizione della qualifica di educatore professionale socio-pedagogico è attribuita a coloro che sono in possesso di una laurea della classe L-19.

Per i due tipi di educatori si prevedono pertanto due diversi percorsi di studio. Gli educatori sociosanitari sono formati nelle facoltà di Medicina, gli educatori  professionali socio pedagogici sono formati nelle facoltà di Scienza dell’Educazione e della Formazione.

Approfondendo ora il “nuovo” (dal punto di vista normativo) profilo dell’educatore professionale socio-pedagogico va precisato che i suoi ambiti di intervento sono nei  servizi e nei presidi socio-educativi e socio- assistenziali e riguardano persone di ogni età.

Gli interventi dell’educatore professionale socio – pedagogico sono infatti: nel campo educativo e formativo; scolastico; socio-assistenziale, limitatamente agli aspetti socio-educativi; nel campo del sostegno della genitorialità e della famiglia; nel campo ambientale; culturale; sportivo e motorio; giudiziario; dell’accoglienza e dell’integrazione degli stranieri e anche in quello della cooperazione internazionale.

Al fine di “sanare” le situazioni esistenti la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico è attribuibile anche direttamente a coloro che, alla data di entrata in vigore della legge, sono assunti con contratto a tempo indeterminato negli ambiti professionali sopra indicati, e che abbiano o almeno 50 anni di età e 10 anni di servizio ovvero abbiano meno di 50 anni ma almeno 20 anni di servizio.

Inoltre la legge, forse anche per scongiurare ogni rischio di impatto occupazionale negativo, stabilisce una ulteriore serie di possibilità «sananti», volte a consentire a chi non abbia la laurea di avere forme di riconoscimento per continuare a svolgere il proprio lavoro. Si prevede, infatti, in via transitoria, che la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico sia acquisita, previo superamento di un corso intensivo di formazione universitaria; si tratta di un corso di 60 crediti, della durata di un anno.

Tale corso può essere frequentato entro tre anni, da chi, alla data di entrata in vigore della legge, sia in possesso di uno dei seguenti requisiti:

  • essere inquadrato nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, con il profilo di educatore, a seguito di un pubblico concorso;
  • aver svolto l’attività di educatore per almeno 3 anni, anche non continuativi, dimostrata con dichiarazione del datore di lavoro, ovvero con autocertificazione;
  • essere in possesso di un diploma abilitante rilasciato da un istituto magistrale o da una scuola magistrale entro l’anno scolastico 2001-2002.

Coloro che, alla data di entrata in vigore della legge, abbiano svolto l’attività di educatore per almeno 12 mesi, anche non continuativi, documentata con dichiarazione del datore di lavoro, ovvero con autocertificazione, possono continuare ad esercitarla, senza però potersi in nessun caso avvalere della qualifica di educatore professionale socio-pedagogico.

Il mancato possesso della qualifica di educatore professionale socio-pedagogico o di educatore professionale sociosanitario non può costituire, direttamente o indirettamente, motivo per la risoluzione unilaterale, o per la modifica (anche di ambito), in senso sfavorevole al prestatore, dei rapporti di lavoro in corso alla data di entrata in vigore della legge.

Va inoltre precisato che l’acquisizione della qualifica di educatore professionale socio-pedagogico e di educatore professionale sociosanitario, (e anche di pedagogista) non comporta, per il personale già dipendente di amministrazioni ed enti pubblici, il diritto ad un diverso inquadramento contrattuale o retributivo, ad una progressione verticale di carriera ovvero al riconoscimento di mansioni superiori.

Con la Legge di bilancio  29.12.2017 n.2015 è stata riconosciuta anche la figura di pedagogista.

Il pedagogista opera negli stessi servizi e settori dell’educatore socio-pedagogico avendo però conseguito dopo una laurea triennale, anche un titolo di laura magistrale, ovvero un diploma di laurea abilitante nelle classi di laurea magistrale LM-50 (Programmazione e gestione dei servizi educativi), LM-57 (Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua), LM-85 (Scienze pedagogiche), o LM-93 (Teorie e metodologie dell’e-learning e della peer education).

Le sue funzioni saranno pertanto presumibilmente legate a compiti programmatori, di coordinamento, gestionali e di valutazione di servizi ed interventi, di formazione supervisione, aggiornamento e coaching degli operatori,  di prevenzione e promozione di interventi a carattere trasversale e comunitario. Tale figura, nel “nuovo” welfare socio educativo che si va costituendo, concorrerà pertanto tra l’altro, ad assolvere funzioni di responsabilità e coordinamento gestionale. Potrà anche dedicarsi ad attività di programmazione attraverso processi effettivamente coprogrammati, di sviluppo di coprogettazione di interventi e servizi, di costruzione di relazioni strette e paritaria con i soggetti titolari di politiche sociali (comuni, aziende di servizi alla persona) e soggetti costruttori e gestori altre politiche quali le aziende sanitarie, le scuole, i settori comunali che promuovono le nuove forme dell’abitare, le politiche attive del lavoro ecc.; nonché nelle esperienze di coprogettazione, coprogrammazione e cogestione fra pubblico e terzo settore.[note]Cfr. l’art. 55 del nuovo codice del terzo settore e l’articolo “Enti pubblici e Terzo Settore: la Riforma rilancia il partenariato” di  Gianfranco Marocchi, pubblicato su welforum.it nell’ottobre 2017[/note]

Il pedagogista è pertanto candidato ad assumere nel campo degli interventi socio educativi, funzioni di responsabilità anche ricoprendo ruoli organizzativi di coordinamento e di direzione.

 

Riflessioni conclusive

Il «cantiere del nuovo welfare» sul quale si sta assai faticosamente lavorando nel difficile momento che attraversa il nostro paese, sta comportando la necessità di strutturare il lavoro sociale diversamente, avvalendosi di professionisti con solide identità, culture e competenze professionali. Con il riconoscimento delle (giuridicamente nuove)  figure di educatore professionale socio pedagogico e di pedagogista, finalmente si dà un importante riconoscimento a professionisti che, provengono da una  formazione universitaria legata scienza dell’educazione e della formazione, da tempo svolgono importanti e specifiche funzioni essenziali per i nostri sistemi di welfare. Tale riconoscimento offre a tali figure opportunità di valorizzazione e consolidamento della propria identità di ruolo e della propria professionalità.

Si tratta di un passo avanti importante perchè solidifica identità professionali che potranno poi rapportarsi in modo complementare e maggiormente paritario alle altre figure (assistenti sociali, psicologi, sociologi, infermieri di comunità, ecc.) concorrendo alla costruzione di un sistema maggiormente solido, efficace ed integrato di welfare socio educativo nei territori del nostro paese.

 

*Direttore Area Irs; Vicedirettore Prospettive Sociali e Sanitarie

Questo articolo è stato pubblicato su welforum.it il 17 gennaio 2018.

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