Matera: capitale europea della cultura per il 2019

di Ottavia Mermoz*

materaLa designazione di Matera a capitale europea della cultura per il 2019, ha richiamato alla mia mente vicende ed esperienze che oggi, nella particolare situazione di stallo del  servizio sociale causa il venir meno delle risorse, possono essere riproposte alla riflessione degli operatori sociali.
Matera, negli anni ’50 sembrava esprimere da un lato l’archetipo del  sottosviluppo, forse per la cruda ma compassionevole descrizione di Carlo Levi,  dall’altro le potenzialità di un intervento di sviluppo organico. I Sassi  raccontati in Cristo si è fermato a Eboli erano certamente un habitat primordiale dove  “i vicinati, quell’insieme di spazi abitati che si affacciano su un unico spiazzo con al centro il pozzo e il forno”, rappresentavano un modello di vita sociale da secoli strategia di sopravvivenza, ma anche precondizione, opportunità di un investimento integrato.


Matera era diventata il crocevia di sperimentazioni sociali e di interventi di recupero territoriale, nel rispetto della sua unicità socio-culturale. L’occasione veniva dalla costruzione di cinque  villaggi dove ospitare gli abitanti dei Sassi, in attesa del loro risanamento, e gli assegnatari della Riforma agraria.
Muovono perciò verso Matera delegazioni di urbanisti e architetti, tecnici agrari, studiosi sociali italiani e stranieri, tra cui Adriano Olivetti che pensava alla progettazione di un borgo in cui le relazioni di vicinato potessero transitare nel Centro sociale. Un edificio che al centro del borgo avrebbe ospitato la scuola e la biblioteca, l’ambulatorio medico e il dispensario farmaceutico, i servizi sociali e spazi per incontri, riunioni. Né sarebbero mancati negozi e laboratori artigiani.  La riproposizione della sua “Comunità concreta” che in canavese muoveva i primi passi  con i  Centri comunitari e  l’Irur (Istituto per il rinnovamento urbano e rurale). I Centri erano il laboratorio del Movimento di Comunità che si poneva l’intento di creare nuovi equilibri sociali ed economici tra cittadini e autonomie locali e l’Irur, che si prefiggeva lo scopo di promuovere lo sviluppo locale attraverso la consulenza tecnica ai piccoli imprenditori o artigiani, mentre i contadini venivano coinvolti in iniziative di  cooperazione, come l’acquisto e l’uso comune di macchine agricole, stalle  cooperative e cantine sociali.

Da parte loro, Unrra Casas e Cepas, avrebbero fornito personale e modelli di intervento centrati sul lavoro di comunità, quel metodo orientato a creare condizioni di progresso  attivando “la partecipazione degli abitanti di una determinata zona che uniscono i loro sforzi a quelli dei pubblici poteri, allo scopo di migliorare la situazione economica e sociale e culturale della comunità” (1),  con l’assistente sociale  “agente di cambiamento”. Un sogno non a lieto fine, ma che ha lasciato sul territorio un patrimonio culturale e, al servizio sociale, un catalogo di esperienze, di interventi riproducibili.

Per me ricordare questo passato con l’articolo “Quando il servizio sociale incontra se stesso. Un follow up inatteso” (pubblicato sul n.1.1 di PSS) non è stata un’operazione “nostalgia”, ma un invito a riflettere insieme su parole come territorio,  welfare di prossimità, comunità solidale e responsabile.
Anche per l’input che è venuto dal gruppo “Servizio sociale di comunità” che, su Facebook, considerate le difficoltà a svolgere oggi progetti e/o interventi di servizio sociale di comunità nonostante molti segnali li indichino come una direzione importante di impegno per il futuro, si è chiesto e ha chiesto, da chi e da cosa dipendano:
–     dall’organizzazione di appartenenza
–     dagli assistenti sociali
–     dagli amministratori locali

Oppure “altro”. Comunque vale la pena pensarci e dare il via a un brainstorming on line.

(1) Dal Rapporto del Comitato amministrativo di coordinamento delle Agenzie internazionali specializzate “ al Consiglio economico-sociale dell’ONU, Ginevra 1957

*Assistente sociale, Docente di Principi e fondamenti del Servizio sociale, Università di Torino.

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