L’indiscreta infodemia e la confortante caverna

di Anna Paola Lacatena

 Non prendete nulla solo fotografie,

non lasciate nulla solo impronte,

non uccidete nulla solo il tempo.

(Motto della Grotta di Baltimora)

 

Nell’opera La Repubblica, all’inizio del libro VII, Platone propone l’immagine della caverna come rappresentazione della condizione umana. Di fatto, per il filosofo ateniese, esistono due mondi, uno incentrato sull’apparente e, dunque falso, l’altro nascosto ma vero. Da una parte l’illusorio e il fugace, dove è possibile conoscere solo attraverso i sensi, dall’altra il mondo conoscibile solo con la ragione in cui albergano idee eterne e immutabili.

Nella caverna, allegoria della condizione umana, gli esseri umani sono incatenati e ridotti alla condizione di schiavi. Le catene sono i vizi, le passioni, l’ignoranza superficiale che si accontenta di sapere attraverso le ombre delle cose proiettate dalle statue. Questi prigionieri pensano per impressioni fugaci e credono di sapere, facendo esclusivamente leva sulle impressioni e la sensibilità, pur non conoscendo la realtà che vive fuori dalla caverna. Un giorno, uno dei prigionieri, riuscito a liberarsi, tra mille difficoltà riesce a uscire da quegli angusti spazi, scoprendo il mondo reale, illuminato dal sole che nell’allegoria rappresenta l’idea più elevata: il Bene. Tornato nella caverna per comunicare ciò che hanno scoperto anche agli altri, viene deriso e poi ucciso dagli stessi uomini, falsi maestri e sofisti, incapaci di comprendere e apprezzare la verità, – il riferimento a Socrate e al suo amaro destino è pressocché evidente.

L’idea di una inconsapevole e docile sottomissione ha fatto registrare numerose riproposizioni nel tempo. Nello Stato della sorveglianza orwelliano, lo schermo condizionava e creava le condizioni per l’accondiscendenza, nella telecrazia lo schermo del Grande Fratello è sostituito da quello del televisore, utilizzando l’intrattenimento e il divertimento come mezzi di dominio: «In 1984, così aggiunge Huxley, la gente è sotto controllo con le punizioni; nel Mondo nuovo, con i piaceri. In breve, Orwell temeva che saremmo stati distrutti da ciò che odiamo, Huxley, da ciò che amiamo.» (Postman, 2021 p. 115).

Il “soma” e il “cinema odoroso” garantiscono al corpo, alla ricerca di felicità e benessere, tutto ciò di cui ha bisogno. Il dolore nel Mondo nuovo huxleyano, infatti, è tabù e ogni desiderio deve trovare immediata soddisfazione.

«Oggi teleschermo e schermo televisivo sono sostituti dal touchscreen. Il nuovo medium di sottomissione è lo smartphone. Nel regime dell’informazione – infocrazia – gli esseri umani non sono più spettatori passivi, che si arrendono al divertimento: sono tutti trasmettitori attivi. Producono e consumano informazioni in modo permanente. L’ebbrezza comunicativa, che assume oggi forme di dipendenza e maniacalità, trattiene gli esseri umani in una nuova minorità. La formula di sottomissione tipica del regime dell’informazione è: ci comunichiamo da morire.» (Byung-Chul Han, 2021, pp.23-24).

La stessa politica, con la perdurante competizione elettorale degrada in evento, show a beneficio di pubblico. Il pubblico chiede sempre più rapidità, viralità e continua autogenerazione. La complessità della democrazia rende il suo iter, indecifrabile, farraginoso e nell’ottica di un finto conoscere quasi decerebrato. Eppure è razionalità vera che si oppone al sentimento, ad un sentire che cerca di smarcarsi dalle regole ma non dalla gabbia dei codici a barre, delle raccolte punti, dell’acconsento, del condivido, dell’oggi qui domani là

Qui e là.

Io amo la libertà

E nessuno

Me la toglierà mai.[1]

 

«Le informazioni sfrecciano davanti alla verità e non vengono più raggiunte da questa. Il tentativo di combattere l’infodemia con la verità è perciò condannato al fallimento: l’infodemia è resistente alla verità.» (Byung-Chul Han, 2021, p.33).

Le ombre di Platone sono i meme della più recente e intensiva pratica (dis)cognitiva e (dis)percettiva odierna.

Se la democrazia è a rischio lo è perché ancor più a rischio è la comunità. La comunicazione è senza l’Altro, le comunità- gruppi sono pseudo-realtà social, ben diverse dalle realtà sociali. L’opinione è asfittica, egoriferita, deprivata del necessario confronto. Così come suggerisce Hanna Arendt (2004), la costruzione dell’idea deve essere discorsiva, deve fare leva sulla narrazione e soprattutto sulla presenza dell’Altro, altrimenti si identifica nel dogma, nell’assoluto, nella negazione dell’incontro.

L’auto- propaganda di un Sé che non può che rivelarsi inautentica, favorita propria dall’espulsione di ciò che è diverso. Postare assurge a indottrinamento che ammette solo seguaci (followers) subordinati, epigoni, discepoli. Il commento che mette in dubbio, non è gradito. Gli haters di ritorno sono gli epigoni fedeli che corrono in difesa del postatore e dei suoi messaggeri.

«Coloro che fuori della caverna hanno guardato la vera luce del sole e le cose dotate di vero essere, dopo non possono più vedere nella caverna, perché i loro occhi sono disabituati all’oscurità; non possono più ben riconoscere le immagini d’ombra là sotto, e vengono perciò, per i loro sbagli, scherniti dagli altri, che mai si allontanarono da questa caverna e da queste ombre» (Platone, Il mito della caverna).

 L’atto del pubblicare qualcosa online, ripropone una richiesta di fedeltà che trova la sua massima espressione nell’atto di condividere.

Volteggiamo tutti in una gran bolla informatica che nega la comunicazione, filtrando e flirtando. Lo spazio discorsivo, il confronto aperto celebrano esclusivamente le affinità. Al bando la perpendicolarità, la discussione, le differenze. Dallo spazio del noi alle stanze dell’eco (echo-chambers), la voce che risuona prepotente è una sola, al più condivisibile e condivisa, comunque quella che afferma ciò verso cui è stato orientato il proprio credito.

L’obiezione non è concessa, il confronto inammissibile, la discordanza intollerabile perché suonano come attacchi sferrati all’identità tutta.

Gli esseri umani incapaci di scindere quest’ultima dall’opinione – per statuto costitutivo opinabile quando non del tutto trascurabile -, vivono le idee dissimili come una minaccia: «per questo motivo il tentativo di distoglierli dalla loro convinzione è destinato a fallire: non prestano ascolto all’altro, non ascoltano. La crisi della democrazia è in primo luogo una crisi dell’ascolto.» (Byung-Chul Han, 2021, p.39). Eppure basterebbe pensare che la parola latina discursus significa andare in giro, muoversi, per estensione dunque, uscire da un’autoreferenzialità che alimenta sistematicamente le convinzioni personali sino a renderle verità. Questa è ritenuta tale solo se combacia con la propria idea. La verità, conseguentemente, va cercata tra simili con i quali e attraverso i quali condividere un’analoga identità.

La continua profilazione, i filtri, i news feed imposti dalla rete sono i doni offerti sull’altare del sacrificio dell’apertura mentale. Contano solo l’Io e ciò che riporta a me. Il culto di sé si fa direttamente proporzionale alla perdita di Sé.

Se le procedure democratiche ufficialmente condivise hanno perso appeal – vedi calo della partecipazione in qualità di votanti alle tornate elettorali nazionali e locali, apatia politica, contrazione del numero degli iscritti ai partiti, ecc. – le stesse sembrano manifestare «un forte ethos antidemocratico» da ritrovare paradossalmente nella sempre più crescente forza acquisita dal mercato di beni di consumo come essenza del diritto di scelta (Furedi, 2001).

La mole di informazioni che circola in internet come l’enorme quantità di prodotti supera di gran lunga la possibilità di un completo assorbimento, ma anche solo di una ridotta e parziale utilizzazione da parte del consumatore. L’auto-impressione è quella di essere cittadini informati e partecipi ma in realtà si assiste ad una collettiva deresponsabilizzazione politica con delega al mezzo tecnologico.

Non ci sono discussioni reali e pensieri articolati ma un proliferare di immagini, meme, commenti soundbites incapaci di creare vero dissenso o di innalzare barricate. La comunità, il gruppo, la squadra lasciano inevitabilmente il posto alla turba dove regna la prossimità fisica e mentale, sebbene lambirsi non voglia dire toccarsi.

La direzione è segnata dall’analogia, scelta in gruppo ma percorsa in solitaria. L’obiettivo è la gratificazione immediata che, però, non deve mai essere pienamente soddisfatta. Nell’attuale caverna platonica, l’ombra deve essere visibile sulla testa degli schiavi come una sempre rinnovata promessa.

Oggetti, beni, servizi, informazione il gioco funziona se la distanza tra produzione- consumo -smaltimento- è breve e veloce sino al vorticoso. Nuove possibilità potrebbero altrimenti non trovare spazio. Agli schiavi plaudenti e felici non interessa smascherare le ombre, comprendere pienamente da dove vengono e chi le proietta. Sono verità fino a quando sono in linea con le proprie convinzioni e se così non dovesse essere allora certamente non potrebbero che essere ombre.

Per Platone se uscissero dalla caverna e vedessero le cose alla luce del sole si renderebbero conto di aver vissuto in un mondo di apparenze.

«Il continuo flusso di informazione a cui siamo sottoposti non è un affluente del fiume della democrazia, ma un vortice che cattura contenuti rigurgitandoli in laghi artificiali maestosi e giganteschi, ma stagnanti e stantii. Più è grande questo flusso, maggiore è il rischio che il fiume della democrazia si inaridisca.» (Bauman, 2006, pp.41-42)

Siamo immersi in un totalitarismo utilitaristico per il quale pensare è un fastidioso ostacolo all’uniformità dell’azione dettata non già dall’osservato ma dall’osservatore. L’eccesso di immagini rende assuefatti – e adatti – a ciò che vorrebbero trasmettere. Nella giornata del 7 giugno u.s. è apparsa la foto di una bambina di quattro anni morta annegata in mare dopo che l’equipaggio di un peschereccio tunisino ha tentato di rubare il motore del barchino su cui si trovava la piccola con altre 34 migranti (quasi tutte donne) partiti da Sfax. Dalla terribile e iconica fotografia scattata al piccolo siriano Aylan, annegato nell’ottobre del 2015 davanti alla spiaggia di Bodrum in Turchia, si sono susseguiti tragicamente analoghi scatti ma chissà, con reazioni via via sempre meno sdegnate e sempre più orientate all’assuefazione.

Informazione e democrazia: non si tratta solo di chi è in possesso dell’informazione ma anche e soprattutto di chi è utilizzato per la riproduzione e la tenuta della caverna. Sempre più estraneo a ogni responsabilità di pensare e agire, l’abitante-schiavo della stessa mantiene incessantemente a disposizione le opzioni scrolling e scrollamento di spalle.

… E sì che «le caverne sono meglio dei tuguri» (V. Hugo, I miserabili, 1862).

Non ditelo a Platone e ancora meno a Socrate.

 

Bibliografia

Arrendt H. Verità e politica, trad. di V. Sorrentino, Bollati Boringhieri, Torino, 2004

Bauman Z. (2006), Homo consumens, Erickson Editrice, Trento

Byung-Chul Han, Infocrazia, Einaudi Stile Libero, Milano, 2021

De Luise, Farinetti, Lezioni di storia della filosofia © Zanichelli editore 2010

Furedi F. (2001), Comsuming Democracy: Activism, elitism and Political Apathy, www.geser.net/furedi.html

Postman N., Divertirsi da morire, trad. di L. Diena, Luiss University Press, Roma, 2021

[1] “Qui e là” di Aina Diversi / Allen Toussaint, canzone portata al successo da Patty Pravo nel 1967

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