Domenica 28 aprile abbiamo assistito all’intervista di Fabio Fazio al professor Stefano Rodotà. Mille i collegamenti che lui stesso ha fatto con il sistema di diritti ‘mancato’ e fortemente richiamato dalla nostra Costituzione.
La parte che è sembrata più interessante e centrale è il riferimento ai diritti come punti di riferimento imprescindibile per pensare a politiche progressiste e non regressive. “Ciò che oggi ha un costo se trascurato fra qualche anno avrà un costo insostenibile. Basta ascoltare cosa dice la carta dei diritti”. L’Europa non esiste? Bene, proviamo invece a pensare alla carta dei diritti dell’Unione Europea. Se seguiamo l’idea che l’Europa è un riferimento in tema di diritti sociali, allora sarà più semplice pensare all’Europa come riferimento e non come gabbia di regole e di austerity. Idee chiare, parole semplici. Fa un cenno anche al reddito minimo di inserimento, che in questi mesi ha avuto tanti nomi diversi: reddito di cittadinanza, reddito di base, reddito minimo.
Quale reddito minimo?
Il prossimo editoriale di Emanuele Ranci Ortigosa, direttore di Prospettive Sociali e Sanitarie, sarà proprio dedicato a questo tema. Comparirà sul n. 4/2013 di PSS, ma lo trovate anche scaricabile dal sito. Eccone un estratto.
Esistono almeno due forme di reddito minimo, in base a quanto dibattuto in questi mesi […] Una prima forma prevede che a tutti i cittadini venga erogato un certo reddito, indipendentemente dalla condizione economica loro e delle loro famiglie, e dall’essere occupati o meno. La denominazione più appropriata mi pare sia quella di reddito universale di cittadinanza, di basic income, o di salario sociale, come definito in alcuni Paesi europei. L’aspetto più positivo di una tale erogazione è che essa non ridurrebbe lo stimolo al lavoro, perché sarebbe cumulabile ai redditi da lavoro. Il suo costo sarebbe comunque tale, anche se le erogazioni ai singoli fossero di entità contenuta, da relegarlo nel campo delle utopie sociali. Una seconda forma di reddito minimo coniuga invece universalismo e selettività: non è destinato a specifiche categorie di beneficiari, ma a tutti coloro che, come individui o come famiglie, dispongono di un reddito insufficiente per una vita dignitosa e per fronteggiare forti fragilità. È misura quindi propriamente di contrasto alla insufficienza reddituale […].
Quale configurazione dunque per il reddito minimo?
Due le configurazioni di questa seconda forma di reddito minimo: una, più ambiziosa, mira a utilizzare tale misura per regolare e tendenzialmente sostituire le varie erogazioni assistenziali dello Stato al cittadino, siano esse prevalentemente destinate a integrare il reddito disponibile per contrastare la povertà, a sostenere le famiglie con figli o a compensare altre condizioni di svantaggio sociale. Prospettive di costo più sostenibili presentano una declinazione meno ambiziosa, che propone il reddito minimo come misura universalistica e selettiva di contrasto alla povertà economica che integra i redditi insufficienti delle famiglie fino ad una certa soglia e assorbe progressivamente le preesistenti misure settoriali di integrazione di reddito (pensioni e assegni sociali, integrazioni al minimo, social card, ecc.), adottando un unico strumento di ricostruzione e valutazione della condizione economica delle famiglie, l’ISEE di cui si è detto. Tale approccio distingue e riconosce nella loro specificità le politiche sociali di contrasto alla povertà, rispetto a quelle di sostegno alla famiglia con figli, di sostegno degli oneri di assistenza ai non autosufficienti, di sostegno ai disabili.
Quali rilanci possibili?
È un tema su cui, come i lettori di PSS sanno, come Istituto per la Ricerca Sociale stiamo lavorando dal settembre del 2011 con una proposta articolata nei suoi contenuti e agibile anche sul piano finanziario, senza pretendere grandi risorse aggiuntive in questi anni ben difficili da ottenere. Tale propopsta avrà nel nuovo convegno del settembre 2013 un rilancio articolato e approfondito, da offrire a una legislatura che speriamo allora finalmente avviata e più sensibile di quella da poco chiusa alle difficoltà e fragilità sociali che stiamo attraversando, e che per molti sono fonte di gravissima sofferenza.
Occorre riprendere la formula dell’RMI e abbandonare le secche e le “mediazioni” politiche del ’98. Ricordate? Non diritti ma mere aspettative, non leggi ma provvedimenti di sperimentazioni a tempo.
Condivido: è il tempo di una nuova stagioni di diritti