di Eleonora Maglia*
Per Simon (Simon H. A., 1972, Theories of Bounded Rationality), posti di fronte ad un ideale pagliaio, non si cerca l’ago più aguzzo in assoluto, ma semplicemente un ago sufficientemente appuntito per poter cucire. L’autore citato esprimeva con questo concetto l’intuizione -allora rivoluzionaria in economia- che, nel momento di una scelta, il processo di ricerca e comparazione delle opzioni possibili non è mai infinito e perfetto, ma piuttosto mediato e minato da una serie di fattori (tra cui il tempo e l’esperienza pregressa).
Grazie agli studi pionieristici di Simon e alle integrazioni successive dei suoi successori nella branca poi chiamata Economia Comportamentale (ne abbiamo parlato in precedenti post: qui e qui), gli assiomi economici classici sono stati integrati da conoscenze ascrivibili ad altri settori scientifici (come la biologia e la psicologia) e hanno dato luogo a modelli predittivi del comportamento umano più realistici, che tuttora hanno larga parte anche in campo sociale. Da allora, nel tentativo di interpretare o anticipare le decisioni e le azioni delle persone, gli economisti comportamentali hanno isolato una serie di approssimazioni cui gli individui si affidano per formulare giudizi (tecnicamente euristiche). Le euristiche, riprendendo la metafora iniziale, consentono di “cucire” nonostante non siano “l’ago più aguzzo in assoluto”: sono infatti funzionali (perché riducono il tempo e lo sforzo necessari per risolvere i problemi decisionali quotidiani) però possono produrre errori anche sistematici. Concretamente, si può dire che favoriscono la rapidità di azione ma non assicurano che l’azione sia ineccepibile nei modi o nei risultati.
Perché un richiamo a Simon e alle euristiche? Perché nel corso della pandemia in corso si è stati chiamati a prendere una serie di decisioni (già problematiche nell’ordinario per quanto si è detto sopra) in stato di emergenza (ed è noto quanto un eccesso di emozioni impedisca l’esattezza del ragionamento e anche freni una corretta e ampia capacità di prospettiva). In una situazione di questo tipo, il tentativo di fronteggiare la diffusione di un virus di cui non erano noti né chiari molti aspetti ha comportato l’emergere di alcune reazioni che poggiano sulle euristiche e, più in generale, su concetti riconducibili appunto all’economia comportamentale. Tali aspetti -al momento in parte ancora molto attuali- vengono illustrati in questo articolo, stimandoli utili per affrontare -non solo da decisori politici o sanitari ma anche da cittadini- la perdurante situazione di crisi sanitaria con maggiore consapevolezza e quindi con migliore accortezza.
Quali elementi di economia comportamentale sono emersi nel corso di questa pandemia?
Vedendo l’evoluzione delle reazioni alle prime notizie dei contagi Covid-19 in Cina prima e poi anche negli altri Paesi e prendendo coscienza delle conseguenze dei ritardi nelle strategie di affrontamento del problema si può notare una certa tendenza all’eccesso di fiducia (tecnicamente overconfidence del tipo Domanda:“In Italia siamo pronti a far fronte all’emergenza?” / Risposta:”Prontissimi”); al legare le decisioni alle sole informazioni circolate per prime anche se frammentarie o incomplete (tecnicamente ancoraggio); a sottostimare gli eventi incerti e a prendere decisioni basate piuttosto sugli svantaggi (economici in questo caso) rispetto al vantaggio (qui sanitario) di istituire ad esempio le zone rosse (tecnicamente avversione alle perdite).
Ora, sembra ci si sia attivati secondo un’analisi costi-benefici (ovvero uno strumento che consente di decidere se è il caso o meno di realizzare un progetto) purtroppo discutibile e che complessivamente, si sia configurata una situazione in cui il sistema di riferimento (in termini di informazioni disponibili) ha condizionato il comportamento poi attivato (tecnicamente una situazione da Prospect Theory). Gli interventi governativi si sono avuti infatti in modo più concreto e cogente man mano che il rischio di perdita in termini di vite umane è stato evidente e sconvolgente. Ma non solo i decisori politici hanno reagito alle informazioni e alle evidenze via via disponibili, è stato così anche per i cittadini. La “corsa” ai supermercati e all’incetta di scorte è ad esempio riconducibile all’effetto scarsità che si auto-alimenta (nel caso specifico vedendo nel punto vendita fenomeni come i prezzi aumentati, gli scaffali vuoti e i carrelli altrui stra-colmi).
In più, nel mentre si è lavorato ad individuare farmaci per le prime cure e ad isolare vaccini per soluzioni definitive, i decisori politici in accordo con le indicazioni delle istituzioni sanitarie hanno attivato anche una serie di misure che di fatto fanno leva sul comportamento umano, modificandolo grazie all’attivazione di una serie di pungoli (tecnicamente nudge). Si pensi al distanziamento sociale, all’isolamento e al lockdown, e anche ad una serie crescente per importanza di direttive riguardanti, ad esempio, le auto-certificazioni e i controlli sull’effettiva necessità degli spostamenti, oltre all’obbligo di indossare i dispositivi di protezione individuali. Tutti questi strumenti, orientando le scelte verso le opzioni preferibili (in questo caso le più salutari), sono stati tesi a concorrere al miglioramento del benessere individuale e collettivo.
Essere pseudo-macchine ha dei vantaggi?
Valutando gli atteggiamenti e i comportamenti visibili nel corso della pandemia fin qui è chiaro quanto la razionalità umana sia limitata (tecnicamente Simon parla di bounded rationality) e quanto sia vasta la serie di elementi strutturali ascrivibili alla condizione umana che ci rendono molto lontani dall’essere quella sorta di macchina perfettamente efficiente che l’economia classica ha postulato a lungo. In una crisi si indulge piuttosto e purtroppo in involuzioni che rendono ad esempio accaparratori (perché i bisogni primari si fanno impellenti) e rendersi conto di essere tanto animaleschi può essere anche sconfortante.
Da un lato, dunque dobbiamo mettere da parte definitivamente il presupposto che esista l’ideale homo oeconomicus (postulato dalla teoria economica classica e dotato di capacità computazionali e di razionalità perfette, di informazioni complete e di tempo infinito per prendere la decisione ottima) e, piuttosto, fare i conti con il fatto che quotidianamente si ricorre all’abitudine e all’impulso, i quali creano delle scorciatoie di pensiero per far fronte alle alternative cui volenti o nolenti si è posti di fronte. D’altro lato, tuttavia, si può vedere che l’emergenza sanitaria ha fatto affiorare anche aspetti positivi presenti nelle persone, come la tendenza a collaborare e la fiducia nel bene pubblico (si pensi al numero di volontari che si è mobilitato a prestare attività ad alto rischio per la propria salute che in alcuni casi hanno anche compromesso la possibilità di convivenza con i propri familiari oppure al complessivo adeguamento a delle restrizioni anche molto onerose in termini monetari o psicologici).
Questi aspetti -che non fanno rimpiangere quel homo oeconomicus avido e calcolatore- sono compiutamente identificati e analizzati dagli studi che analizzano il modo di agire delle persone impegnate in un’interazione strategica (tecnicamente teoria dei giochi). Qui, gli esperimenti in laboratorio che mirano a comprendere le preferenze sociali e le azioni messe in atto dagli agenti economici interagenti mostrano proprio questo: l’emersione di orientamenti basati sull’altruismo.
Tutto ciò ricorda bene quanto il comportamento di un singolo può avere effetti soprattutto su altri (si sa che in ambito sanitario la mancanza di precauzioni di un solo individuo può causare il contagio di molti) e quanto dunque, nel perseguire l’obiettivo di massimizzare anche la propria utilità, la scelta migliore è scegliere in base al benessere collettivo. Anche se ai tempi Covid-19 ciò significa rinunciare ad una serie di libertà e di diritti, per superare la pandemia occorre sicuramente agire insieme.
Cosa suggerisce tutto ciò?
In conclusione, l’economia è la scienza che studia l’allocazione migliore per risorse comunque scarse e ciò significa che si sa a priori di non poter effettuare una scelta che consenta di raggiungere una soluzione ottima. È possibile tuttavia avvicinarcisi perché, se il ricorso alle euristiche è inevitabile, gli errori cui possono portare sono anche in un certo modo sistematici e quindi prevedibili. Complessivamente, conoscendone l’esistenza e il funzionamento è possibile intervenirvi.
Alla fase 1 di emergenza dolorosa, seguiranno altre fasi e, alla luce dell’esperienza,è possibile farsi trovare stavolta un po’ più pronti, magari iniziando a scorgere le euristiche nel comportamento proprio o altrui richiamate in questo articolo e tentare di arginarle, ad esempio basandosi su dati oggettivi, fonti affidabili e programmi preparati preventivamente. Secondo Kahneman (Kahneman D., 2011, Thinking, Fast and Slow) in ciascuno albergano due modalità di pensiero: una opera in fretta e automaticamente, l’altra indirizza l’attenzione verso le attività mentali impegnative che richiedono focalizzazione e calcoli complessi e può essere attivata solo volontariamente, come una scelta precisa. L’autore citato definisce queste due modalità con i termini Sistema 1 e Sistema 2, così se nella Fase 1 della pandemia prevalso sembra essere prevalso il Sistema 1, nella Fase 2 si potrebbe provare a far prevalere il Sistema 2?
*PhD in Economics