Anziani e RSA in tempi di pandemia: i nodi vengono al pettine

di Lidia Goldoni*

Perché le RSA (Residenze sanitarie assistenziali, la corretta traduzione dell’acronimo) e le strutture residenziali sono state focolai di Covid-19?

Solo perché lì vivono vecchi con polipatologie e quindi più esposti e vulnerabili?

Quanto invece hanno contribuito altre carenze presenti in certe strutture residenziali (oltre agli scellerati provvedimenti di trasferimento presi da alcuni decisori politici e tecnici) dal momento che vi sono state residenze che hanno attraversato indenni l’esordio e il protrarsi della pandemia?
I contagi e i decessi nei servizi residenziali sono indicati come avvenuti nelle RSA ma probabilmente le tipologie sono state anche altre (CRA, Case protette, Case di cura, Case di riposo etc.) come definite dalle normative regionali vigenti in materia.

Esistono poi le migliaia di strutture “clandestine” che sfuggono al controllo pubblico.

Quanti sono stati i decessi in questa ultima tipologia si saprà solo quando l’Istat rileverà le difformità numerica con i decessi dello scorso anno.

La ripresa dei contagi – Pio Albergo Trivulzio compreso – all’interno delle RSA ci indica che forse i numeri drammatici dei primi mesi non hanno indotto i soggetti coinvolti ai diversi livelli istituzionali a un’analisi approfondita sull’idoneità dell’assistenza fornita: gestione organizzativa, competenze professionali, entità delle risorse – umane, strumentali, logistiche f- messe in campo, appropriatezza delle prestazioni erogate (anche farmacologiche), spazi fruibili individuali e comuni.

Una breve storia
Dopo l’entrata in vigore del DPCM del 22/12/1989 che definiva le caratteristiche strutturali, organizzative e gestionali delle RSA, e della Legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, venne approvata la modifica del Titolo V della Costituzione, che investiva le Regioni, tra altre competenze, di potestà legislativa in materia.

L’emergenza Covid è esplosa quando la frammentazione dei servizi e delle competenze rivolte agli anziani in generale, e in questo caso ai più fragili, aveva già mostrato tutte l’inadeguatezza concettuale e pratica.

Le RSA fruirono, infatti, sin dall’inizio degli ingenti finanziamenti, previsti all’interno della legge di bilancio nazionale (n. 67/ 1988, art. 20) destinati alla costruzione/ristrutturazione di edifici in tutto il territorio nazionale, intrecciando funzioni socio assistenziali e funzioni sanitarie.

Furono definite “servizio extraospedaliero”. Il DPCM definì la struttura edilizia e la suddivisione degli spazi, la ricettività ordinaria (60 posti suddivisi in tre nuclei), che solo nelle grandi aree urbane poteva raggiungere un numero massimo di 120 posti.

Purtroppo nei fatti quei criteri sono stati spesso dimenticati e oggi si coglie l’inadeguatezza di una risposta residenziale in cui sono adottati procedure e protocolli idonei per un ospedale, ben lungi da obiettivi di personalizzazione, domesticità degli spazi, interventi mirati sui bisogni della persona, formazione e aggiornamento del personale a questi indirizzi.

Misure urgenti e programmi futuri
Leggendo gli avvenimenti e le testimonianze delle persone coinvolte (anziani, famigliari, operatori) emergono i punti critici del funzionamento di queste strutture non solo inadeguate, ma addirittura pericolose come luoghi di cura.

  • Identità, diritti, dignità,

Con il protrarsi delle misure di isolamento una protesta si è levata dai famigliari per l’impossibilità non solo di stare vicino ai propri cari, ma anche di conoscerne la reale condizione di salute. Evitare il diffondersi del contagio è stato obiettivo sostenuto da tutti, ma con la consapevolezza che un vecchio, isolato dai suoi affetti e dalle sue relazioni, forse si salva dal virus, ma muore di tristezza e solitudine.

Tra i residenti molte sono (erano) le persone con demenza, per le quali quelle minime relazioni con i famigliari, anche se spesso sembrano inesistenti, sono in realtà un legame con il mondo esterno che tiene acceso una qualche luce. Questi vecchi sono all’interno di una bolla rarefatta in cui cercano qualche appiglio.
Gli stessi operatori con i loro DPI e le loro turnazioni/sostituzioni alla fine sono solo una voce tra tante.

Alcuni interventi funzionali e organizzativi appaiono, anche per il riprendere dei contagi, indispensabili:

  1. La predisposizione e allestimento di spazi protetti, in cui il contatto e il colloquio tra l’anziano e il famigliare sia il più ravvicinato possibile, in termini fisici e di possibilità di comunicazione e relazione, adottando tutte le misure anticontagio.
    Del resto, la creatività e le abilità artigianali presenti nel nostro paese e le opportunità delle tecnologie multimediali hanno già trovato soluzioni ingegnose in molte strutture.
  2. Il riconoscimento del ruolo del famigliare e la sua partecipazione al Piano di cura del suo anziano. Sembra utile ricordare che il governo inglese, allo scoppiare dell’epidemia, ha approvato un Programma specifico per i servizi residenziali, in cui i famigliari sono qualificati come “operatori essenziali” a cui assicurare controlli sanitari, formazione e dispositivi di protezione individuale necessari per poter visitare il loro congiunto.
  • Organizzazione e gestione

La ricettività delle RSA è la più varia: dai 30 posti delle piccole strutture sino alle grandi strutture di vecchia o recente costruzione.

Le grandi strutture, con il consenso se non anche l’appoggio delle autorità locali, hanno troppo spesso abbandonato i criteri previsti nel DPCM del 1989 e hanno organizzato, per ragioni prevalentemente economiche, la struttura per piani o comunque per posti letto in cui le responsabilità assegnate corrispondono alle operazioni da eseguire e non alla creazione di uno spazio di vita per personalizzare piani assistenziali, relazioni, prestazioni.
Senza voler entrare nella qualità delle prestazioni stesse, la ripetitività degli interventi assistenziali negli stessi orari e la scarsa disponibilità di spazi fruibili dagli anziani, ha accompagnato il diffondersi del virus.

Recuperare il più possibile spazi personali e/o di piccoli gruppi diventa essenziale oggi nell’emergenza e domani nella normalità.

Nell’organizzazione e gestione delle RSA due sono i buchi neri che, tralasciando le prestazioni sanitarie in questo frangente, appaiono determinanti:

  • La filiera delle responsabilità
  • Il personale assistenziale e la sua formazione

 

  • La filiera delle responsabilità
    Tutti i servizi residenziali, pubblici e privati, anche i più piccoli, ricorrono in parte o in toto a soggetti esterni per lo svolgimento delle funzioni proprie della struttura, attraverso varie tipologie contrattuali: appalti, concessioni, bandi o contratti privati. Se “l‘intestatario” del servizio ha la responsabilità primaria, quella della gestione quotidiana ricade sui diversi soggetti operanti in loco, che rispondono alle proprie direzioni, con tutte le difficoltà a integrare e far coincidere indirizzi e obiettivi e, se presenti, correggere eventuali errori.

Una delle cause frequenti di contagi, anche in questa seconda ondata di Covid-19, deriva dall’utilizzo di personale della stessa impresa, ma proveniente da altri servizi, veicoli inconsapevoli di trasmissione del virus.

A tal proposito sempre il provvedimento del Governo inglese sopracitato ha vietato la circolazione di operatori da un servizio all’altro.

  • Il personale assistenziale e la sua formazione
    Sono gli Operatori Socio Assistenziali il gruppo più ampio di presenze nelle RSA, cui si aggiungono infermieri professionali, fisioterapisti, animatori/educatori, operatori dei servizi alberghieri, oltre ai medici e agli specialisti.

La formazione di base degli OSS rientra tra i profili professionali di competenza delle Regioni. Purtroppo la frammentazione a livello regionale ha provocato una notevole differenza tra le conoscenze e le informazioni acquisite nei corsi e nelle esperienze lavorative.
Ora più che mai, quindi, la costruzione di una piattaforma comune di partenza è indispensabile, anche per la mobilità lavorativa in crescita.

Non di meno- una considerazione a latere- anche tra le professioni storiche della sanità fatica a imporsi una diversa concezione del rapporto con i vecchi, “i nonni”.

Condizione comune che il gestore impone a tutti, con l’acquiescenza se non anche la complicità del titolare del servizio sono i bassi salari, la precarietà del lavoro, l’organizzazione di pesanti turni di presenza, le scarse dotazioni individuali di protezione. Non sempre è così, ma è certo che gli operatori, tutti indistintamente, quando hanno la possibilità, concorrono ai Bandi per posti pubblici.

Conclusioni

Si accantonano momentaneamente le osservazioni critiche sulle tipologie edilizie, le localizzazioni e l’organizzazione degli spazi, collegate anche alla collocazione delle RSA nel sistema dei servizi (presidio territoriale o extraospedaliero?)

In attesa che maturi la possibilità di un confronto tra i diversi protagonisti per delineare un welfare futuro, con il protrarsi e l’aggravarsi della pandemia è urgente un diverso approccio, oggi per preparare il domani, per garantire un’assistenza adeguata agli anziani non autosufficienti residenti nelle RSA.

Sembra urgente e necessario che, pur nella frammentarietà delle competenze, siano emanate, controllandone l’adozione, come per tante altre attività (bar, cinema, mobilità) alcune norme cogenti su che cosa? va specificato coinvolgendo gli uffici regionali preposti al rilascio delle autorizzazioni al funzionamento o degli accordi di convenzionamento e accreditamento.

Riassumendo, nell’immediato, con strumenti idonei necessita siano definite:

  1. Responsabilità, modalità e tempi per l’accesso, l’informazione, il coinvolgimento e la tutela dei famigliari (e degli anziani);
  2. L’individuazione degli spazi e degli strumenti che facilitano e permettono questi incontri;
  3. I protocolli di gestione e reperimento degli operatori, in caso di sostituzioni o ingressi temporanei.

Poi, e sarà sempre tardi, a distanza di oltre vent’anni, si dovrà ridisegnare il welfare socio-assistenziale in generale e riformulare la L. 328/2000 alle esigenze dell’oggi.

 

*Laurea in Giurisprudenza, giornalista pubblicista, dirigente amministrativo nell’area Servizi sociali /settore anziani al Comune di Modena.

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