di Giselda Rusmini*
Roma, domenica pomeriggio di sole cocente. Mentre in città i turisti passeggiano per le strade insolitamente chiuse al traffico, e i bikers si radunano in San Pietro per la benedizione papale, nella piccola sala riunioni di una parrocchia si discute di lavoro domestico e di cura. È la “Giornata internazionale delle lavoratrici e dei lavoratori domestici” che celebra l’anniversario dell’adozione, il 16 giugno 2011, della Convenzione 189 da parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
In molte parti del mondo la Convenzione, che se ratificata obbliga gli Stati ad adottare misure importanti a tutela dei lavoratori domestici, contrastando forme di violenza ed abusi, rappresenta davvero l’opportunità di un cambiamento per milioni di persone che non vedono riconosciuti diritti basilari come il giorno di riposo settimanale, il limite alle ore di lavoro, un salario minimo, la previdenza sociale. L’Italia è uno dei primi Paesi ad aver ratificato la Convenzione, e uno dei pochi ad avere un Contratto collettivo nazionale per i lavoratori domestici, ora in fase di rinnovo.
La scelta del luogo – la sala riunioni della Chiesa S.Maria della Luce, in via della Lungaretta a Trastevere – non è casuale: gli spazi della parrocchia sono infatti un luogo di ritrovo per i lavoratori provenienti dai paesi latinoamericani, “ma aperti a tutti”, ricorda Padre Luis. All’ingresso tanti sorrisi, persone sedute a mangiare e chiacchierare, bambini. Sopra, in una sala dalle pareti azzurro-cielo, l’incontro organizzato da Acli Colf, Associazione No.Di e Caritas Internationalis. Alla discussione partecipano rappresentanti dell’associazionismo, dei sindacati, studiosi, artisti, lavoratrici e lavoratori domestici provenienti da Romania, Ucraina, Filippine e altri Paesi, uniti da un obiettivo comune: il riconoscimento del valore sociale del lavoro domestico e dei diritti di coloro che quotidianamente lo svolgono.
Numeri, parole e immagini per dire che tanto c’è ancora da fare. Anche qui, in Italia, dove il contratto di lavoro è spesso ignorato o aggirato. I racconti tendono a rappresentare una realtà dicotomica, di contrapposizioni, di separazioni, di interessi divergenti. Lavoratrici che alloggiano a casa dell’anziano accudito, costrette a dormire nello sgabuzzino dei detersivi, donne che tornano al Paese d’origine per fare visita ai propri cari e al ritorno in Italia scoprono di essere state sostituite e di non avere più il lavoro. Storie drammatiche. Il nuovo contratto collettivo colf, che entrerà in vigore a breve, introduce maggiori tutele in fatto di sicurezza sul lavoro, maternità e tempi di riposo, ma il problema rimane la sua reale applicazione. L’altra faccia di questi rapporti di lavoro è rappresentata dalle famiglie italiane, che soprattutto nel caso dell’assistenza agli anziani, faticano sempre più a sostenere il costo di un lavoro completamente in regola.
Qualcuno, alla fine, ricorda che nel lavoro di cura c’è qualcosa che va oltre il diritto e il dovere: la relazione umana. Riconoscersi e costruire alleanze , allora, è il punto di partenza per difendere insieme, con forza, un welfare troppo duramente colpito dai tagli ai fondi sociali nazionali e che, proprio in questo momento di crisi, può e deve essere innovato.
* Giselda Rusmini, sociologa, collabora con Irs dal 2005. In tema di lavoro privato di cura coordina la redazione di Qualificare.info ed è co-curatrice del volume “Badare non basta”
Grazie per l’informazione, può essere di stimolo per replicarlo su altri territori. Come Assessore alle Politiche Sociali di un comune nella cintura milanese, condivido molto il tema della costruzione di alleanze, tema abusato? no perché le nostre comunità vedono ancora steccati, campanili, realtà autoreferenziali, gruppi informali che non riescono a farsi ascoltare, singoli cittadini con buone idee. Io credo che uno dei ruoli oggi della politica sia proprio di facilitare, supportare la costruzione di alleanze positive.