Volontariato: capacità politica ed elaborazione di pensiero cercasi

di Andrea Pancaldi*

A un anno dalla rilevazione ISTAT “Censimento delle istituzioni non proft” (che prendeva in considerazione il periodo 2011-2015) esce, a cura di ISTAT stesso, un aggiornamento dei dati a tutto il 2016 centrato quasi totalmente sul tema del personale dipendente operante nelle istituzioni.

Per la disamina su questo specifico aspetto rimandiamo alla lettura del report; intendiamo qui invece soffermarci su alcuni dati attinenti il tema dei diritti e del ruolo che il non profit svolge o dovrebbe svolgere e, in particolare, quel pezzo del non profit che è il volontariato. Tra i molti dati rilasciati dal’Istat, si sceglie in questo articolo di concentrarsi su un aspetto specifico, quello dell’impegno del terzo settore nell’advocacy / tutela dei diritti.

Innanzitutto la solita precisazione che è raro trovare nei media e ancora più raro negli organi di informazione del non profit stesso, ovvero cosa intenda per istituzione non proft l’ISTAT. L’istituto di statistica ricomprende anche gli enti religiosi, che magari gestiscono un ospedale, le organizzazioni sindacali e professionali, le persone impegnate nel servizio civile, le ONG e i partiti politici e ciò, si sia d’accordo o meno, per una uniformità dei criteri di ricerca a livello internazionale derivando questo tipo di classificazione dal modello americano (Johns Hopkins University).

Questo modello, adottato anche dall’Onu, ricomprende, e qui volutamente calco la mano, ad esempio…zoo, acquari, società sportive…ospedali, case di cura…..come spiega bene anche Giovanni Moro a pp.16-32 nel suo provocatorio volume del 2014 “Contro il non proft” (Laterza).

Comunque la definizione di ISTAT è questa: “costituiscono esempi di istituzioni non profit le associazioni, riconosciute e non riconosciute; le fondazioni, le cooperative sociali, i comitati. Rientrano tra le istituzioni non profit anche le ong, le organizzazioni di volontariato, le onlus, i partiti politici, i sindacati, le associazioni di categoria, gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”), quindi tutta una serie di soggetti che nell’immaginario comune italiano (non ovviamente per la statistica) non rientrano prettamente nella categoria del non profit, che spesso viene usato quasi come sinonimo di terzo settore se non di volontariato, a cui abitualmente si associa altro.

Detto questo sottolineiamo che continuano a calare gli indicatori di un terzo settore come soggetto che si occupa esplicitamente della difesa dei diritti e sa assumersi anche l’onere del conflitto che a volte questo richiede (“Una società armoniosa? Il posto del conflitto nelle pratiche e nel discorso sul Terzo Settore“, S.Busso, E.Gargiulo, Cartografie sociali, n.3, maggio 2017). Le istituzioni che hanno come scopo esplicito e prioritario la difesa dei diritti (calate nella precedente rilevazione 2011/15 del 22,9%) e che nella indagine sono conteggiate paradossalmente, rispetto al tempo che viviamo, assieme ai partiti, registrano un magro + 0,4 (l’indice più basso tra tutti quelli positivi). Le istituzioni che si occupano di promozione del volontariato (conteggiate con quelle impegnate nella filantropia), calate già nel periodo 2011/15 del 22%, calano di un ulteriore 4,7.

Insomma tempi duri, almeno nei dati, per chi spera in un ritorno di capacità politica e di elaborazione di pensiero dei mondi del sociale, e qui le considerazioni si potrebbero estendere in un qualche modo anche agli operatori dei servizi territoriali. Ma non disperiamo, spesso ciò che è carsico si rivela inaspettatamente e improvvisamente. Certo le migrazioni dei dirigenti associativi verso la politica dei decenni scorsi (…PD quasi esclusivamente) pare aver prodotto, salvo rari esempi, luci ed ombre ed è difficile valutare il saldo tra ciò che si è perso (nel volontariato) e ciò che si è acquisito (nella politica), non tanto e non solo in termini di capacità personali, ma di assetto, senso del (tormentato) rapporto tra politica e c.d. corpi intermedi.

A questa si deve aggiungere in una certa misura anche la parallela migrazione di molti quadri delle associazioni di volontariato verso una dimensione lavorativa presso i Centri Servizio Volontariato e relativi costi/benefici di cui abbiamo scritto più sopra.

Certamente l’attuale fase politica non aiuta sospesi come si è dal cercare di riordinare le idee e darsi almeno una visione di medio periodo da una parte, e la continua, vera e apparente al tempo stesso, emergenza determinata dai continui annunci e/o provvedimenti che paiono picchiare duro su molte delle realtà del sociale e dell’emarginazione. Immigrazione, rom e sicurezza in primis….tanto per giocare in casa tutte le partite. Ma anche diritto di famiglie sulle separazioni, chiusura delle misure alternative alla pena in carcere nonostante i dati sulle recidive, abbassamento dell’età imputabile dei minori, nostalgie dei manicomi, il nulla del Ministero disabili, i rischi delle nuove misure contro la povertà sospese tra politiche per la povertà e politiche per il lavoro senza capire se questa sospensione sia punto di equilibrio o di confusione.

Un tempo in cui servono assieme “ora et labora” e non a caso i segnali che si colgono qua e la, al nord come al sud, propongono, parafrasando un motto del ventennio fascista “libro e moschetto”, dove il moschetto è quello delle idee e della capacità di reggere il conflitto.

* Giornalista specializzato sui temi dei servizi e politiche sociali e terzo settore

Note

Bibliografia

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