di Diletta Cicoletti*
I bookmakers danno il welfare perdente. Quello italiano spacchettato, svuotato, frazionato, lo danno addirittura fuori da ogni quotazione.
Povertà. Dopo qualche minuto di euforia, pensando che l’emendamento con quei 120.000.000 € significasse l’avvio di una politica sperimentale di reddito minimo nazionale (SIA, REIS, RMI, qualunque cosa basta che ci sia), siamo tornati alla social card, la soluzione “all’italiana”. Qualcuno dice: meglio di niente. E’ vero. Ma quanto allenta la morsa della povertà? Può di fatto e nei fatti intervenire in alcune specifiche situazioni, di emergenza appunto.
Rappresentanza. Va bene anche la social card. Adesso va bene tutto, la società civile dichiara di non avere più rappresentanti degni. Lo slogan di Grillo uno-vale-uno assume significati inquietanti, lontanissimo dai tre moschiettieri (tutti per uno, uno per tutti), ma anche lontanissimo dalla realtà della rappresentanza parlamentare ed extra-parlamentare. I “forconi” dicono di essere loro, i cittadini che non ne possono più, non di rappresentare i cittadini. Le manifestazioni si confondono, si sommano, si mischiano. La domanda principale è “chi sono i forconi?”
Futuro welfare. Scrivendo del futuro possibile per il nostro welfare, senza entrare nei particolari, abbiamo a portata di mano alcune opzioni, una delle quali ad oggi viene valutata tra quelle più innovative. Trattasi del Secondo Welfare. Di recente è stato presentato il Primo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia, che raccoglie le esperienze di Welfare non pubblico in Italia. Il Secondo Welfare non è sostitutivo del Primo Welfare (quello pubblico e garantito dalla Costituzione), ma può integrarlo, dare stimoli, fare da tramite (come ha detto il Ministro Giovannini) tra il Primo (lo Stato) e il Terzo (le famiglie). Entrambi allo stremo.
Costruiamo il welfare di domani. Resta il fatto che il welfare di domani è tutto da immaginare e da costruire.
Sì ma come?
– Ricompattando le frammentazioni e le settorializzazioni. Non tenendo più da una parte i servizi sociali, dall’altra (abbastanza lontana) la sanità, e poi il lavoro, la formazione, l’educazione e l’istruzione. Ricomposizione.
– Smettendo di punire, iniziando a premiare, non tanto né solo in senso meritocratico, ma incentivando forme di investimento nel sociale. Investimento sociale.
– Progettando dal basso, sì. Ma poi formalizzare e validare a livello istituzionale i successi, le buone pratiche. Non restando con il ricordo (per altro sempre più lontano) della bella esperienza. Troppa nostalgia nel nostro welfare. Incentivare forme di progettazione sociale innovative.
Dal rapporto Censis
“Anche il Censis richiama l’importanza non solo del welfare a carattere non pubblico, dimostratosi in grado di rispondere efficacemente a tante problematiche di carattere sociale che lo Stato non è più in grado di fronteggiare, ma anche delle reti tra soggetti che a diverso titolo sono impegnati nello sviluppo del bene comune. E’ infatti attraverso la connettività tra i vari sottoinsiemi che compongono la società civile – in questo senso appaiono significative le esperienze della Alleanza contro la povertà e del Manifesto per il non profit – che, forse, il Paese potrà trovare nuova linfa per tornare a crescere” (vedere anche l’articolo su SecondoWelfare.it).
Intanto qualcuno in Europa ci prova, anzi va oltre
Il governo Cameron presenta un progetto di legge che mira a rendere appetibili gli investimenti nelle imprese sociali, permettendo il recupero fino al 30% del capitale investito. E anche se mancano i dettagli, il terzo settore saluta con soddisfazione un passo concreto e coraggioso. Ci arriveremo anche noi?
*Ricercatrice e formatrice, collabora con IRS, PSS. Redattrice del Blog Scambi di Prospettive
Il 2° Welfare non è sostitutivo del primo: vero. Ma forse è obsoleto questo ragionar di numeri ordinali di welfare che si rincorrono e sovrappongono (primo, secondo, terzo… e poi?). Forse è ora di pensare ad un welfare organico e multiforme insieme, in cui ciò che conta è la qualità dei risultati, degli “outcomes” che derivano dalle diverse azioni poste in essere. Nella governance di questo welfare a più teste e ancor più braccia sta il ruolo importantissimo e cruciale del potere pubblico. Mettere a sistema i diversi status giuridici in cui si articolano gli interventi ascrivibili al welfare, pubblici e privati, profit e non profit. Del resto ci sono segni che sia così già da ora: pur nel giusto sforzo di immaginare il welfare del futuro, io penso che esso debba e sia visibile in nuce sin da ora: si costruisce dapprima da quello e con quello che c’è. Guardiamo alla sperimentazione intensa e per più versi audace in corso in Gran Bretagna: lì la finanza sociale emerge vieppiù ad un tempo come materia di approfondimento teorico e di prassi concreta (i Social Impact Bond son nati lì e ora si dice che interessino alla nostra Cancellieri in materia di inserimento degli ex detenuti). Sperimentare su questa linea anche in Italia? Certo che sì.