di Stefano Ricci*
Di integrazione tra servizi sociali e servizi sanitari se ne parla da molti anni… e non si parla solo… da quando è stato approvato DPCM 8 agosto 1985 che ha separato la responsabilità istituzionale delle prestazioni, dei costi, delle competenze tra “sanità” e “sociale”, tra Aziende Sanitarie e Comuni… si è cominciato a cercare di ricomporre ciò che è stato inaspettatamente “spacchettato”… l’incontestabile unitarietà della persona e, quindi, dei suoi bisogni di salute (estensivamente intesa).
Norme nazionali (dal D.lgs 229/99 alla L. 328/00, ai DPCM 14 febbraio e 22 novembre 2001) hanno provato a tratteggiare una cornice unitaria, travolta dalle normative regionali successive alle modifiche costituzionali del 2001, che hanno sviluppato diversi “modelli”, o comunque modalità anche molto diverse di integrazione tra sanità e sociale.
Il percorso umano e professionale di chi scrive ha attraversato la “terra di mezzo” dell’integrazione tra sociale e sanitario: dalle esperienze di volontariato e di lavoro nel “terzo settore” a ruoli istituzionali, “centrali”, di coordinamento delle politiche sociali, dalle collaborazioni professionali con Regioni sull’organizzazione dei servizi a responsabilità importanti nella Direzione Generale di una grande Azienda Sanitaria Locale, fino alla “etichetta” che campeggia sulla porta dell’attuale ufficio, anche se ad essa non corrisponde un’adeguata declinazione delle attribuzioni.
La “terra di mezzo” dell’integrazione tra sociale e sanitario, in quanto tale, o non è di nessuno, quindi abbandonata, inospitale… o è terra di scontro, di battaglia, tra interessi e tornaconti di varia natura. Più si mette al centro delle agende politiche come delle priorità di interventi il tema dell’integrazione sociale e sanitaria e meno si ha chiarezza di quali siano le idee ed i principi cui si fa riferimento, il percorso logico necessario, i contenuti propri, le modalità specifiche…
La preoccupazione maggiore è per i cittadini fragili (anziani non autosufficienti, persone con sofferenza psichiatrica, disabili fisici e psichici, bambini e ragazzi…) che, da una parte rappresentano i destinatari privilegiati dell’integrazione tra sociale e sanitario e, dall’altra, sono quelli che subiscono di più i tagli e l’instabilità dei servizi, il palleggiarsi le responsabilità e le competenze, il sovraccarico di lavoro e la precarietà dei professionisti… in sostanza la frequente non esigibilità dei diritti.
In questo contesto è realistico ipotizzare un futuro senza integrazione sociale e sanitaria perché non ci sarà più molto da integrare, soprattutto sul versante sociale. La questione non è tanto quella di rimanere nostalgicamente legati al sistema di welfare che conosciamo (peraltro mai compiuto e sempre inadeguato) quanto quella di tentare di opporsi alla sua disintegrazione.
Per mantenere alta l’attenzione sul principio costituzionale della solidarietà e sulla conseguente necessità della promozione e della tutela della salute di ogni cittadino con un’attenzione particolare per aiutare i servizi sanitari e sociali a ricomporre l’unità della persona fragile, è stata prodotta la Raccomandazione SIQuAS 2012 “La qualità nell’integrazione tra sociale e sanitario”; una batteria di raccomandazioni e indicazioni operative rivolte ai diversi livelli amministrativo/istituzionale, organizzativo/gestionale, professionale di responsabilità in questo ambito.
Vale la pena leggerle e approfondirle, insieme, con i colleghi nel proprio Servizio o Unità Operativa, con i cittadini e gli aderenti alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale, con gli amministratori ed i politici a livello territoriale e locale…
Tra frammentarietà ed unitarietà le Raccomandazioni hanno provato ad identificare le dimensioni dell’integrazione sociale e sanitaria, i pezzi di un Tangram da “comporre” per le diverse forme della integrazione sociale e sanitaria, “possibile” e “necessaria”, valorizzando soprattutto il ruolo dei “livelli” regionali e locali.
Su PSS in uscita a Marzo, l’autore firma l’articolo: “L’integrazione tra sociale e sanitario. Raccomandazioni per l’uso”. Segui le novità sul nostro sito e sulla nostra pagina facebook
* Dirigente integrazione sociosanitaria, Regione Marche – ARS
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Mi pare sia in ogni caso necessario ricordare che la normativa sui LEA sociosanitari (DPCM 22 novembre 2001 cui poi è stato assegnato rango di legge) è operativa. E’ vero che molte Regioni l’hanno di fatto snaturata, sopratutto eliminando titolarità e compiti di spesa a carico delle Aziende Sanitarie nell’assistenza domiciliare ai non autosufficienti. Ma da lì bisogna invece ripartire perché:
1) Piaccia o meno alle Regioni quelle norme sono già, per fortuna, LEA
2) Liberare le Aziende Sanitarie da titolarietà e responsabilità di spesa sull’assistenza domiciliare ai non autosufficienti, anche quando consiste non in operatori sanitari o sociosanitari (es. OSS) ma in altro (es. badanti, voucher, etc) è un non senso, sia storico che giuridico