Il concorso pubblico: “Quo vado”?

di Davide Pizzi*

farfalleLa visione del film satirico Quo vado mi ha invogliato a riprendere in considerazione vecchie riflessioni che conservavo da lungo tempo. La crisi occupazionale, sia pure con i recenti segnali positivi di ripresa, è ancora presente ed evidente e non ha risparmiato neppure gli assistenti sociali. I concorsi nella pubblica amministrazione sono diminuiti a causa della minor sostituzione del personale in quiescenza (turn over), della precedenza sui concorsi della mobilità di personale assunto presso altri pubblici uffici, e per l’esternalizzazione dei servizi sociali. In attesa che la nuova riforma del lavoro, jobs act, produca più dati statistici nel medio periodo, si possono e si devono, produrre delle riflessioni. È dall’incontro con i giovani colleghi nell’affannosa ricerca di un impiego che nasce la mia riflessione.

Il concorso pubblico: uno strumento obsoleto?

Mi auguro che a breve possa avvenire una riforma copernicana anche per il concorso pubblico, perché, così com’è regolamentato oggi (tralascio la questione di quanto sia difficile e utopistico parlare di oggettività nel valutare un candidato) presenta aspetti da rivedere, almeno per quanto riguarda quello per gli assistenti sociali. Prendo in esame il diritto di preferenza: su venti titoli ben 16 privilegiano chi ha una situazione personale o familiare nelle forze armate. Ancora un altro criterio trovo sia discutibile: la preferenza del candidato più giovane penalizzante per il più anziano che per ragioni d’età, di maggior attesa e di minor prospettive e speranze future nel mercato del lavoro, dovrebbe avere invece la precedenza.

Quali regole generali?

Le amministrazioni non seguono sempre una medesima linea nel bandire i concorsi, e alcune negli ultimi anni hanno indetto concorsi per assistenti sociali secondo una logica che privilegia chi ha lavorato nelle forze armate (militaristica?):

  1. Il Comune di Guspini indice un concorso riservato prioritariamente ai volontari delle FF.AA. congedati senza demerito;
  2. Stessa cosa fa anche la ASST di Melegnano e Martesana;
  3. Idem il Consorzio Intercomunale Servizi Socio Assistenziali Comuni dell’Alessandrino;
  4. Idem ancora il Comune di Vicenza nel 2014;
  5. e il Comune di Crema.

Mi chiedo: che differenza esiste tra un assistente sociale che in passato è stato nelle forze armate e uno che non lo è stato? Qual è lo scarto? Il valore aggiunto? La competenza in più dell’ex militare? Perché uno è ritenuto a priori preferibile all’altro? All’interno di un concorso in polizia o nei carabinieri il senso riesco a trovarlo, ma, non per lavorare nei servizi sociali. Dalle forze armate si potrebbe prendere spunto per introdurre una valutazione psichiatrica dei candidati considerata l’elevata esposizione allo stress emotivo a cui si sottoporrà ogni operatore sociale. In altri casi, i concorsi sono per soli esami e senza titoli, elemento che danneggia chi ha accumulato un’esperienza professionale e lavorativa all’interno dei servizi sociali, come se questo non contasse nulla.

Contraddizione in termini?

A questo punto, c’è un altro aspetto da analizzare, per esempio, il costo che paga la pubblica amministrazione per indire un concorso. La creazione di graduatorie regionali permanenti per soli titoli, con la possibilità dell’aggiornamento annuale del punteggio consentirebbe di perseguire la logica del contenimento dei costi e del risparmio, perché si eliminerebbero tutti i concorsi per la categoria, nonché, di impedire una contraddizione in termini che mi ha sempre fatto riflettere: se l’esame di Stato abilita all’esercizio della professione e ne stabilisce l’idoneità, a cosa serve il concorso per assistenti sociali? Non superare un concorso cosa significa? Significa, forse, che per quella commissione non si è abili e capaci di svolgere il ruolo? Chi tra le due commissioni ha più competenza e spessore nella conoscenza delle materie per screditare il giudizio dell’altra? Se, invece, si abolissero i concorsi? Se l’assistente sociale, dopo aver superato l’esame di Stato, potesse scegliere una graduatoria regionale, non sarebbe meglio?

Quale intelligenza?

Cosa misurano veramente i concorsi per assistenti sociali? Molti di essi che prevedono prove di preselezione, hanno domande a quiz prodotte da aziende specializzate in cui si privilegiano test di logica a scapito delle aree prettamente professionali, le cui domande non sempre sono poste bene, e si intuisce che chi le ha formulate, con buona probabilità, non è un assistente sociale. Questi quiz privilegiano l’intelligenza convergente a scapito della divergente, paradosso in una professione che lavora costantemente con la necessità di problem solving, il cui punto di forza è la creatività, perché le procedure standardizzate dalla burocrazia non riescono a rispondere alla complessità sociale.

Ius primae rei publicae  

Il contratto di lavoro nel jobs act prevede tutele crescenti; ciò amplia la forbice tra i contratti del pubblico impiego e quelli del privato a scapito del principio di ugualità dei lavoratori, e sancisce una sorta di elitarismo. Affianco alle tutele crescenti si dovrebbero pensare le tutele “decrescenti”? Alcune tutele del pubblico impiego, giustissime come principio, nel contesto italiano come effetto latente e perverso si sono trasformate in privilegi. Di seguito riporto alcuni esempi ricorrenti di come esse possano essere mal impiegate, ovvero, utilizzate a scapito dell’organizzazione e di chi è in cerca di un impiego.

  • Aspettativa: non potendo ottenere nell’immediato il trasferimento c’è chi ricorre all’aspettativa per accettare un incarico a tempo determinato nel luogo vicino desiderato conservando il primo lavoro. Cosa iniqua nei riguardi dei lavoratori precari, perché, chi ha il pane si prende pure le briciole di chi non ce l’ha!
  • Comando: altra strada per lo stesso motivo del punto precedente, seppur più ripida, con l’onere della spesa che resta a carico dell’Amministrazione di appartenenza.
  • Incarichi da libero professionista, solitamente per ruoli dirigenziali, affidati a professionisti già in pensione che sbarrano la possibilità di crescita ai giovani. Siamo uno dei paesi con l’età media più anziana d’Europa, e forse, con un tasso altrettanto elevato di gerontocrazia.

Conclusioni

Su questi incerti sentieri si muovono i nostri giovani colleghi e penso ad alcuni di loro che sono anche miei amici. Penso al caso di un collega assunto dapprima a tempo determinato, quindi con maggior tutele, in seguito, per questioni burocratiche legate al bilancio, licenziato a termine contratto e riassunto nella stessa amministrazione comunale dopo pochi giorni con un’agenzia interinale, ovviamente con minor tutele e stipendio più basso (1). Penso a chi come lui, ancora precario, che per partecipare a un concorso non può fruire del permesso retribuito, perché non ne ha diritto come chi, invece, è di ruolo, e perciò deve usare in alternativa o un giorno di ferie o un permesso non retribuito. Penso a chi si sobbarca i costi di viaggio, di vitto e di alloggio, per recarsi in un luogo distante dal suo dove si svolgerà la prova del concorso nella speranza di entrare in graduatoria; a chi spera che un giorno, prima che la graduatoria scada (solitamente dopo tre anni), dallo scorrimento arrivi il suo turno per il posto di ruolo. Penso a chi, di converso, pur avendocelo di già, fruendo del permesso retribuito decide di concorrere in mezzo a tanti colleghi che vorrebbero la sua stabilità lavorativa perché ancora non l’hanno raggiunta. A voi, cari giovani colleghi, dedico questo articolo e i miei migliori auguri!

(1) Davide Pizzi, in Quando precario è l’operatore, in Animazione Sociale, mensile per gli operatori sociali, n° 256 ottobre 2011, Edizioni Gruppo Abele, Torino.

*Assistente Sociale Ordine della regione Puglia, blogger

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