I senza dimora: alcune riflessioni da una ricerca

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Mentre i Grandi Comuni presentano le proprie esperienze nel corso del seminario di Welforum Grandi Comuni a Bologna, le notizie di cronaca si rincorrono. In particolare una mi ha colpito: Un giovane giornalista free lance inglese si finge homeless per capire meglio il fenomeno e muore di freddo. Qui potete trovare il suo video di presentazione.

Un’amica su facebook commenta: “È impossibile essere homeless se non lo si diventa davvero”. È la stessa autrice di un breve docufilm Old wreck city, Federica Verona, per altro animatrice, progettista, responsabile del progetto di abitare sociale ZOIA a Milano. Nel 2009 le auto abbandonate erano state la fonte di ispirazione per il suo video.

Nel 2007 un gruppo di lavoro IRS aveva pensato ad un’iniziativa di studio chiamata W-MEC: si proponeva un cambio di prospettiva, ovvero un’analisi delle politiche pubbliche partendo dall’angolo di visuale del margine, estremo, confine (MEC appunto). Parlare di senza dimora oggi mi fa tornare in mente quel cambio di prospettiva, quel tentativo di dirsi come si può progettare assumendo uno sguardo “marginale”. In un momento in cui il welfare sociale sembra occuparsi quasi solo di margini e marginalità, trasformandosi in una camera di decompressione “estrema”. In un momento in cui non sono certo i numeri dei senza dimora stimati a spaventare i servizi (tra i 47000 e i 50000), ma sono i carichi che una persona senza dimora comporta per il sistema di servizi e i nodi che queste situazioni svelano e rivelano (collaborazioni tra servizi, l’importanza delle reti pubblico-privato sociale).

Politiche e interventi per i senza dimora: una ricerca promossa da Welforum Grandi Comuni Bologna, 11 e 12 aprile 2013

L’11 aprile si è tenuto a Bologna il seminario di studio su politiche e interventi per i senza dimora, organizzato da PSS con IRS, in collaborazione con 10 grandi comuni italiani. La ricerca di confronto tra questi comuni ha messo in luce che i loro interventi si concentrano sull’accoglienza, spesso in emergenza, dei senza dimora.
I percorsi personali sono i più vari dunque è difficile generalizzare e anche costruire un percorso tipico. Certo è che ci sono persone che restano nei servizi di accoglienza per molto tempo (a volte permanentemente). I servizi oggi impegnati sperimentano quando possibile percorsi di accompagnamento alla casa, alla formazione professionale e al lavoro. Proprio sulla casa che si concentrano le maggiori preoccupazioni di Torino e Genova: i due assessori con delega alla casa e alle politiche abitative si sono confrontate con Milano, Venezia e Bologna in occasione del convegno Piazze Grandi il 12 aprile.
Elide Tisi e Renata Paola Dameri sottolineano con forza la necessità di pensare seriamente al tema della casa connesso ai problemi sociali, anche perché i dati sugli sfratti crescono e la zona grigia delle persone che rischiano di restare “senza dimora” è davvero preoccupante.

Quindi, cosa si fa?

Il professor Tosi sostiene ormai da anni che per parlare di senza dimora occorre cambiare anche la rappresentazione che abbiamo dei senza dimora: chi sono? Che cosa vediamo di loro? e che cosa non vogliamo vedere? E forse la definizione classica è davvero stretta e non restituisce la complessità delle vite delle persone.

Emanuele Ranci ci ricorda che non esistono interventi per i senza dimora se non ci sono politiche nazionali consistenti su vecchie e nuove povertà.

C’è molto da fare insomma, aspettiamo un governo con ansia.

Un pensiero su “I senza dimora: alcune riflessioni da una ricerca

  1. Benedetta Angiari

    Leggendo il post e riflettendo sull’approccio MEC alle politiche, mi sono trovata a pensare a come cambia la percezione di un fenomeno anche solo a seconda di come lo si definisce. Faccio una prova. Dire senza fissa dimora suona diversamente dal dire clochard o barbone o senza tetto. Ciascuno di questi termini genera sensazioni e pensieri differenti. Ancora più efficace può essere lo sforzo di guardare un fenomeno, un progetto, una politica da un punto diverso da quello a cui si è più inclini. Trovo interessante aver ripreso lo spunto di W-MEC trattando questo tema e all’interno di un contenitore che si propone di ragionare sul welfare attraverso lo scambio di sguardi diversi.

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