Eredità dei saperi e trasmissione delle competenze professionali tra le generazioni nei servizi socio-educativi

di Francesco Cappa*

staffettaQuale miglior momento nella vita sociale e politica italiana per parlare di “eredità dei saperi”? Nel bel mezzo dell’epoca della rottamazione, slogan tanto usato dal premier Renzi, diventato col tempo più che uno slogan un percorso di avvicendamenti per tappe successive, assistiamo  continuamente a passaggi di consegne. Anche molto rapidi e convulsi, spesso non pienamente compresi, altrettanto spesso “obbligati”. Ma sono prevalentemente i “giovani” a prendere il posto degli anziani, questo il senso della rottamazione renziana.

Il rovescio della medaglia

Tuttavia gli adulti di oggi spesso accusano le giovani generazioni di non avere ideali e valori, di non essere interessati al mondo, al coinvolgimento culturale e politico nei loro contesti di vita e di lavoro. D’altra parte i giovani di oggi accusano di trovarsi in un mondo che gli adulti non hanno preparato per loro, che non lascia spazio alla loro produttività, alla loro creatività, al loro modo di pensare e guardare al mondo. Sono in molti ormai a pensare che il patto generazionale abbia ceduto il passo ad una sostanziale mancanza di fiducia reciproca che una generazione prova nei confronti dell’altra: chi deve cedere il testimone lo fa senza convinzione considerando chi lo riceve non all’altezza delle sfide di questi tempi così difficili e caotici; chi deve riceverlo assume il compito con diffidenza e non crede che l’esperienza di chi lo ha preceduto possa rappresentare un buon punto di sostegno e di riferimento per trovare la propria strada e immaginare nuove soluzioni.

Un dialogo interrotto

Che cosa ha interrotto questo dialogo? Cosa ha deteriorato questo rapporto atavico? Cosa ha determinato questa sfiducia nei testimoni del passato e nei rappresentanti del futuro?

Negli ultimi anni sono molte le ipotesi sociologiche, psicologiche, filosofiche, tecnologiche, psicoanalitiche ecc. che hanno cercato di interpretare questa interruzione. Tutte queste prospettive cercano di interpretare perché, per esempio, le istituzioni educative – tra le quali anche la scuola – sono orientate all’acquisizione di tecniche di apprendimento standardizzate, che non prevedono lo sviluppo di capacità critiche e riflessive; o perché i servizi sociosanitari si appiattiscono su parametri di efficienza e di efficacia, che garantiscono solo risposte alle emergenze, che assecondano il controllo sociale.

Si è diffusa così una modalità trasversale di gestione dei bisogni e di controllo delle soggettività, delle loro posizioni professionali – e spesso anche politiche e culturali – che mira, attraverso i dispositivi sociali e massmediatici, a frustrare le potenzialità vitali e l’autonomia dei singoli, dei gruppi e delle organizzazioni convogliando quasi tutte le energie, i pensieri e le azioni, individuali e collettive, su un’adeguata manutenzione dei propri bisogni materiali.

Per rispondere alle conseguenze prodotte, in tutti i campi da un tale scenario è necessario riprendere il filo antico dell’eredità dei saperi, della trasmissione delle conoscenze e della condivisione intergenerazionale del valore delle pratiche.

Riprendere questo filo significa ridare consistenza all’apprendimento dall’esperienza, alla possibilità di ridiscutere le proprie mappe di comprensione e di interpretazione della realtà, personale e professionale, per poter generare risposte innovative praticabili, capaci di non rispondere solo all’urgenza del bisogno emergente, ma di risalire la catena delle cause materiali e simboliche che generano quel bisogno, quella paura, quell’insicurezza, quella fragilità che si incarna nell’altro che ci chiede aiuto, che chiede di essere educato, formato, che si chiude alla possibilità del cambiamento.

Un’iniziativa per parlarne

Il 7 maggio la Provincia di Milano avvia, con un importante convegno, un percorso formativo che mette a tema, in un percorso di eventi culturali, la condivisione dell’esperienza e l’apprendimento generato dall’esperienza tra chi insegna e chi apprende, tra chi forma, perché possiede la tecnica, e chi cerca di formarsi e non solo di imparare un mestiere, tra chi conosce e sa tradurre per altri la “cultura materiale” che sostiene la sua pratica, fa diventare l’apprendistato la metafora di quello che il lavoro oggi dovrebbe essere. Slegandolo dalla frammentarietà e dall’urgenza dello stato di crisi in cui versa e mostrando nuovamente la potenzialità che ha di essere un’esperienza che ci attraversa e ci cambia.

All’iniziativa parteciperanno tra gli altri come relatori Carlo Sini, Massimo Recalcati, Anna Rezzara, che proporanno ipotesi e questioni all’ordine del giorno nella riflessione sulle eredità dei saperi.

Nel pomeriggio i workshop:

  1. Terre di mezzo e di passaggio: Regole nella transizione della vita
  2. Rapporto intergenerazionale tra crisi ed esperienza
  3. Tutorship nel settore sociosanitario – conduzione

Per informazioni e iscrizioni scaricare la scheda dal sito della provincia di Milano.

*Ricercatore in Pedagogia generale presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca, formatore presso Centro Studi Riccardo Massa.

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