di Sandro Busso e Antonella Meo*
A circa un anno dalla conclusione dell’esperienza della Carta Acquisti Sperimentale (CAS), e dopo mesi di attesa tra gli operatori del settore, il percorso verso l’istituzione di una misura nazionale di sostegno al reddito ha vissuto nel luglio scorso un momento di improvvisa rivitalizzazione, ritrovando visibilità anche nel dibattito pubblico. Nell’arco di soli cinque giorni, infatti, tre episodi hanno richiamato l’attenzione sul tema della povertà e sulle relative politiche di contrasto.
Il primo evento è rappresentato dalla pubblicazione, il 14 luglio, del rapporto Istat sulla Povertà in Italia, che registra nel 2015 un aumento della povertà assoluta e di quella, e un quadro di generale peggioramento che certifica ancora una volta la drammaticità della situazione (Istat 2016). Nello stesso giorno, con mirabile esercizio di tempismo politico, la camera approva in prima lettura il testo del cosiddetto Ddl Povertà presentato dal ministro Poletti nel febbraio 2016, legge delega al governo che ha come primo obiettivo “l’introduzione di una misura nazionale per il contrasto della povertà, da considerare livello essenziale delle prestazioni”, ridefinita (non senza polemiche da parte delle opposizioni) reddito di inclusione dopo l’approvazione di un emendamento di maggioranza. Infine, il 18 Luglio esce in Gazzetta Ufficiale il Decreto Interministeriale del 26 maggio 2016, che dopo lunga attesa rende operativo il SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva), individuando nel 2 settembre 2016 la data di avvio per la presentazione delle domande. La misura, con cui avranno a che fare le amministrazioni regionali e comunali nei prossimi mesi, nasce segnata da un carattere esplicitamente transitorio.
Dunque il percorso politico verso una misura di sostegno al reddito prosegue, pur in un quadro di luci e ombre. Di reddito minimo si continua a parlare e questo è di per sé un dato rilevante. Non solo, sul sostegno al reddito si continua anche a spendere, e i circa 750 milioni di euro stanziati nel decreto SIA sono senza dubbio una notizia senza precedenti in Italia.
Tanto il SIA, quanto il nascituro reddito di inclusione, sono esplicitamente definiti come eredi della Carta Acquisti Sperimentale, già ribattezzata dal governo come SIA in corso d’opera e richiamata nel testo di accompagnamento al Ddl povertà come modello di riferimento. Le nuove misure prendono forma nel solco dell’esperimento della CAS, introducendo correttivi ma non modificandone sostanzialmente l’impianto.
Tornare sui punti di forza e di debolezza emersi nel corso della sperimentazione diventa dunque particolarmente rilevante, dal momento che la CAS rappresenta un terreno di apprendimento importante per comprendere le nuove misure. Stride a questo proposito la mancata restituzione degli esiti del percorso di valutazione contro-fattuale che ha considerevolmente impegnato i Comuni coinvolti nella sperimentazione, definito in avvio come un elemento imprescindibile per una sua eventuale estensione.
In attesa, non senza un certo scetticismo su quanto potranno dire, dei risultati della valutazione nazionale di efficacia della CAS, esperienze di monitoraggio e ricerca svolte nei contesti locali, quale quella condotta a Torino da chi scrive, rappresentano ad oggi un’occasione per riflettere su alcuni nodi problematici di quella sperimentazione, e per osservare se e come questi siano stati affrontati nell’impianto del SIA.
Un primo punto di interesse riguarda la platea dei potenziali beneficiari e la loro selezione. L’esperienza della CAS, infatti, è stata caratterizzata dalla ristrettezza dei criteri di accesso, che ha determinato l’esclusione di un numero particolarmente elevato di domande, al punto che una quota piuttosto consistente dei 50 milioni di euro stanziati per la sperimentazione nelle dodici maggiori città italiane non è stata impegnata. Particolarmente stringenti si sono rilevati i criteri relativi alla condizione lavorativa, responsabili della maggior parte delle esclusioni. Un’analisi sulle domande presentate a Torino, ha rivelato come le esclusioni si dovessero a due cause di segno opposto. Da un lato, alcuni richiedenti sono stati esclusi per via di un “eccesso di lavoro” (e per i redditi da questo derivanti). Dall’altro una quota ancora maggiore è risultata non idonea per aver perso il lavoro prima dei tre anni precedenti la scadenza del bando, o, se precari, per la mancanza di un numero sufficiente di giornate contributive nello stesso lasso di tempo. Quest’ultimo criterio appare particolarmente rilevante non solo per l’impatto sul numero di beneficiari potenziali, ma anche nel determinare le caratteristiche qualitative del target. Inserito nel decreto istitutivo con l’obiettivo esplicito di selezionare quei nuclei, che, pur essendo marginali rispetto al mercato del lavoro, mantengono un “dimostrabile ‘attaccamento’ allo stesso” (Guerra e Tangorra 2014), ha di fatto determinato l’esclusione di quanti sperimentano da lungo tempo marginalità ed esclusione, o forme spesso definite, con espressione poco felice, “cronicizzate” di disagio.
Questo limite viene superato dal decreto istitutivo del SIA, che sembra attenuare considerevolmente la ristrettezza dei criteri, stemperando almeno in parte il carattere categoriale e superando alcuni dei limiti della CAS. In particolare, oltre ai nuclei con minori, l’accesso alla misura viene esteso anche alle famiglie in condizione di povertà economica in cui sono presenti disabili o donne in stato di gravidanza. La condizione lavorativa, poi, viene inserita all’interno di una valutazione multidimensionale in cui la disoccupazione di tutti i membri (senza limiti di tempo) viene considerata un titolo preferenziale. Cade, infine, il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo per gli stranieri.
Nonostante una maggiore inclusività, il SIA mantiene comunque il carattere categoriale che aveva contraddistinto l’istituzione della Carta Acquisti Sperimentale: pertanto non rappresenta una misura rivolta al totale della popolazione in condizione di povertà economica. Continuano infatti a rimanere escluse le coppie senza figli e le famiglie unipersonali, che rappresentano una quota consistente della popolazione e che, pur presentando tassi di povertà inferiori a quelli delle famiglie numerose, non sembrano affatto estranei ai fenomeni di impoverimento. Altro criterio di potenziale esclusione è rappresentato dal requisito minimo di residenza sul territorio italiano da almeno due anni. Tale condizione, che applicata su base nazionale pone limiti molto meno stringenti rispetto alla residenza nel territorio comunale (da almeno un anno) richiesta dalla CAS, impatta in modo particolare sulla popolazione straniera, composta per poco meno del 10% da iscritti in anagrafe dall’estero negli ultimi due anni.
Se il SIA introduce elementi di discontinuità rispetto alla sperimentazione della CAS per quanto riguarda la platea dei beneficiari potenziali, poco sembra cambiare dal punto di vista delle prestazioni erogate e degli strumenti individuati. Nella prospettiva di trarre indicazioni dall’esperienza della CAS, in primo luogo la natura assunta dal dispositivo di sostegno al reddito merita una riflessione specifica.
Un articolo di approfondimento sul tema, firmato dagli stessi autori di questo post, è disponibile sul numero di Prospettive Sociali e Sanitarie 3.3, settembre 2016
*Dipartimento di Culture, Politica e Società, Università di Torino
Il Dm in questione prevede, fra l’altro, progetti personalizzati basati sulla valutazione multidimensionale, affidata – ai senti dell’art. 3 comma 2 lettera b ii – al professionista assistente sociale, senza però il contestuale rafforzamento delle “risorse umane e professionalità” presenti negli enti gestori dei servizi sociali. Al di là di questo nodo scorsoio, appare necessario un investimento in termini di ricerca-intervento- su diversi aspetti di natura metodologica e deontologica – da condurre in un percorso integrato fra studiosi di politica sociale e di servizio soicale, giovandosi tutti di uno sguardo interdisciplinare che sposi una prospettiva inclusiva anche nel campo dell’indagine -studio-.riflessione sulle pratiche.
Sarà che sono abituata alle misure senza né capo né coda della mia regione, ma quella del Sia mi sembra una partita decisamente interessante da giocare.
Come assistente sociale comunale, sono rimasta favorevolmente colpita tre elementi:
1) il fatto che finalmente si connettono gli interventi sociali e quelli di politica attiva del lavoro. Ovviamente occorre capire chi e come, ma se ben sfruttata questa mi sembra davvero una buona possibilità per cominciare a lavorare in modo integrato.
2) il fatto che l’unità territoriale non è più il comune ma l’ambito: evviva. L’Italia degli 8000 comuni e della disomogeneità territoriale viene finalmente chiamata a fare ragionamenti che superino l’ombra del proprio campanile.
3) il fatto che si faccia riferimento al lavoro di un’equipe multidisciplinare. Finalmente si postula la necessità di lavorare insieme tra professionisti con diverse competenze, superando il lavoro solitario che purtroppo tocca a tanti as che lavorano nei piccoli comuni.
Ora, vedremo come andrà e se sapremo davvero cogliere queste occasioni di cambiamento… ma la mia prima impressione è positiva.
Lo scritto proposto da Busso e Meo e ancor più l’articolo più vasto sulla rivista PSS è molto tempestivo e utile. Analizzando l’esperienza della prima attuazione del SIA di Torino offre importanti suggerimenti per la miglior conduzione della seconda esperienza. Quanto al SIA i tre “meriti” che qui sopra Ghezzi indica sono centratissimi. La sfida è ora di passare dal dichiarato all’effettivo, alla pratica concreta. Tenendo presente, riprendo Della Valle, che ora un po’ di risorse aggiuntive tratte dai fondi europei per gli ambiti ci sono. Basta che entro il 31.12.2016 facciano e inviino i loro progetti
Emanuele Ranci Ortigosa
Continuo a credere che con le briciole non si è mai sfamato nessuno. Considerando che se non entrano almeno 1500,00 euro al mese, una famiglia non ce la fa a sopravvivere, ecco i punti deboli della SIA:
1) nel nucleo familiare deve esserci almeno un figlio minorenne oppure almeno un figlio disabile oppure una donna in gravidanza. Domanda: Per chi e’ single o ha famiglia senza figli minori, ecc. cosa si fa? Non lo si aiuta?
2) in famiglia non ci deve essere nessun veicolo immatricolato 12 mesi prima della presentazione della domanda nè autoveicoli con cilindrata superiore ai 1.300cc o motoveicoli con una cilindrata superiore ai 250cc immatricolati da meno di tre anni. Domanda: Se una persona ha acquistato tale veicolo 2 anni prima, o lo ha ricevuto in donazione, cosa fa, vende l’auto? Magari, dopo trova un lavoro, e non ha i soldi per comprare l’auto!
3) il limite massimo del Reddito ISEE di hi fa la domanda è 3000€. Domanda: nessuna! Con un ISEE così basso, significa escludere la fascia intermedia che è la più larga; ottima strategia per risparmiare sulle casse dello Stato.
4) se usufruiscono di altri aiuti economici, questi non devono superare i 600€ al mese. Riflessione: Sei costretto a restare nell’indigenza…e così SIA!
Inoltre:In presenza di altri sostegni alle famiglie come ad esempio il bonus bebè per neogenitori, la social card ordinaria, l’assegno familiare… viene ridotto, mentre se il totale degli aiuti supera i 600€ non si può avere il SIA. Fonte: http://casa.ilportafoglio.info/2016/07/sostegno-inclusione-attiva-requisiti-domanda-aiuto-alle-famiglie.html
Intanto, nel resto dell’Europa si aiutano (veramente) i disoccupati (anche single) con altri criteri: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/24/reddito-garantito-1-300-euro-al-mese-in-danimarca-460-in-francia-ecco-mappa/673894/
esatto i single senza reddito si possono pure impiccare