Nei mesi scorsi avevamo pubblicato un post di Elena Giudice dal titolo “Alla ricerca del treno delle opportunità: restare o andare?”. Abbiamo contattato colleghi e amici che si sono trasferiti, o meglio sono emigrati, per motivi di lavoro, di studio o anche solo per provare. Ecco un primo contributo da Amsterdam.
di Alfonso Gambino*
Lo spettacolo che la città offre ogni giorno all’altezza di un bambino, lontano dai turisti: altalene, fiori, biciclette. Ma anche l’odore del centro al consumo: dei coffeshop e delle Luisone in vetrina, sia le semi consumabili che le semi commestibili, dei Krulen (urinatoi pubblici abusati durante la notte) e dell’alcol che tiene i piedi dei savi, quelli che non c’hanno capito nulla, appiccicati a terra. In sottofondo tante lingue che si incrociano, tanti suoni limpidi, ma incomprensibili anche per i nati qui.
No, scusa. Troppi trucchi. Fammi cominciare da capo.
Tutto si muove e la città cambia continuamente, come le persone che la abitano. Il ritmo e’ sostenibile, equilibrato dalla capacità di pesare le necessità contrastanti, dal lusso di liberarsi dai vincoli unici. Tutto è mischiato, i pilastri paralleli sono finiti nella centrifuga: il palazzo popolare si gode la vista di una facciata prestigiosa, il tossico può abitare in sociale huurwoning in centro città, il cattolico va in una scuola protestante. Il bianco e il nero estistono ancora, ma vengono ufficialmente riconosciuti (le scuole nere ricevono maggiori finanziamenti, i bimbi immigrati hanno diritto gratuito alla prescuola) e discussi (abolire l’aiutante nero di Sinterklaas? Magari iniziamo togliendogli l’orecchino al naso).
Il bianco, il nero, il movimento. Roba stantia. Ci sono cascato di nuovo. Ricomincio.
Amsterdam, la città dove il 40% è effettivamente autochtoon (di genitori entrambi olandesi) e non si mostrano ragazzetti – poveri illusi – con la maglietta qui nessuno è straniero, dove se sei residente voti alle comunali, e qui non c’è il partito di Wilders, dove: provate a trovare qualcuno che non abbia un parente o un amico che non viva in sociale huurwoning? Dove, dicono che, per sentirti davvero integrato devi beneficiare di almeno una forma di supporto.
Troppo ironico. Suvvia un po’ di serietà, c’è la crisi.
Anche in Olanda è di moda il refrain: spendiamo piú di quanto creiamo: austerità! Aumentiamo le tasse. Tagliamo la spesa. Come? Aumentando l’etá di pensionamento da 65 a 66 anni (e in seguito fino a 67 anni); cercando di attivare le persone che sono attualmente a carico del sistema di welfare attraverso migliori servizi di accompagnamento al lavoro, responsabilizzando e incentivando, aumentando i controlli per evitare le frodi, eliminando alcuni vantaggi fiscali disincentivanti; riducendo gli incentivi fiscali per far accedere agli asili i redditi medi e chi non lavora; riducendo il persoonsgebonden budget, il voucher socio-sanitario per chi vuole organizzarsi le cure da solo invece di usufruire dei servizi offerti dalla amministrazione pubblica; riducendo i trasferimenti agli enti locali.
Allora ha ragione il Re! Lo stato sociale non esiste più, il futuro prossimo è partecipatie samen-leving, ovvero dobbiamo fare ed arrangiarci.
Ma adesso com’è?
Stiamo parlando dei Paesi Bassi dove il 75% degli affitti è gestito dalle social housing corporations, ovvero più della metà degli appartamenti in alcune grandi città. Nel 2011 il governo ha fatto la voce grossa: “che il 90% di queste vengano destinate ai redditi inferiori ai 34 mila euro!” Eh già, perché qua anche la classe media aveva accesso al social housing che, date le dimensioni del settore, era e resta un fenomeno destigmatizzato.
Gli olandesi erano abituati ai principi di universalismo e uguglianza, mentre adesso stanno più attenti all’equità.
Tuttavia le motivazioni del recente cambiamento delle regole di accesso al sociale huurwoning sono interessanti: la Commissione Europea ha giudicato l’intervento pubblico a favore delle social housing corporations distorsivo delle regole di mercato e negoziato con l’Olanda regole per il ridimensionamento del finanziamento e per limitare aiuti a persone che non hanno necessità economica.
E il lavoro?
Il tasso di occupazione è del 72%. Sono in tanti a lavorare, e se sei straniero, e reclutato all’estero, il tuo reddito imponibile viene ridotto del 30% per 10 anni. E’ uno dei modi, sicuramente non il principale, in cui l’Olanda tenta di aumentare la propria competitività internazionale. Nonostante l’alto tasso di occupazione, l’utilizzo della forza lavora è relativamente bassa perchè in media si lavorano meno ore: il governo non impedisce alla metà dei lavoratori di lavorare meno di 35 ore settimanali in nome della competitività internazionale, anzi il part time è un diritto anche se non sposa l’efficienza aziendale.
E chi perde il lavoro? WW uitkering, sussidio di disoccupazione, da 3 a 38 mesi a 70/75% del salario. E finito il WW uitkering o se il reddito non è sufficiente? Bijstand uitkering, il reddito minimo a 663 euro per il singolo, 1324 per la coppia.
E i servizi per i più piccoli? Nel 2005 sono stati introdotti incentivi fiscali che hanno ridotto significativamente i costi per le famiglie e fatto aumentare notevolemente la domanda. Nel 2009 il 50% dei bambini fino a 4 anni andavano ai nidi o dalle gastouders.
E le famiglie con bambini ricevono un aiuto economico? E i bambini che si trovano in situazioni di instabilità familiare possono essere affidati a coppie gay, anche a costo di un braccio di ferro con un importante partner straniero come il governo Turco? E gli alloggi protetti per le prime generazioni di cinesi anziani che non hanno ancora imparato l’olandese?
No. Così è troppo pedante! Chi arriverà mai in fondo al post? Ecco, ci sono.
L’Olanda, ancora un altro mondo. Ma qualcuno emigra in Norvegia.
*Alfonso Gambino, si è trasferito con sua moglie ad Amsterdam, dove attualmente vivono (insieme ai loro 2 bimbi) e lavorano. Lui presso una multinazionale delle ricerche di mercato, lei presso l’Università di Amsterdam.