Scrittura, immagine ed emozioni

La vita e il vissuto dell’assistente sociale attraverso un libro

di Paolo Pajer*

Al momento della conclusione della stesura del libro (Per altre vite, Il Ciliegio Ed., Como) mi sono chiesto se questa storia, che ha un co-protagonista Assistente Sociale, avrebbe potuto avere una qualche utilità per il miglioramento della nostra immagine.

Ho scritto pertanto al nostro organo istituzionale più alto, il Consiglio Nazionale, inviando il manoscritto e chiedendo il loro parere.

La risposta, sulla quale il CNOAS ha riflettuto adeguatamente, è stata per certi versi sorprendente, e si riassume in quella che è diventata poi la quarta di copertina (che a sua volta è una sintesi della prefazione del romanzo): “Raccontare il lavoro sociale tratteggiandone alcuni aspetti importanti con la forma del romanzo consente alla professione di presentarsi in maniera diversa al mondo, permette di far vedere al lettore gli occhi candidi e spauriti di Alice ed Helga, i passi incerti di Ennio e quelli tumultuosi di Vittorio. Consente di donare a tutti la sensazione di tante persone che portano un bisogno, e la fatica ed il piacere di cercare assieme soluzioni.”

Il perché di questo racconto?

Nel corso degli anni di lavoro ho incontrato tante persone che portano con sé un fardello. Ho voluto raccontare la vita, nelle sue sfumature, di quelle persone e situazioni che altrimenti sarebbero restate in sottofondo.

Ho cercato di raccontare le emozioni di donne maltrattate, di bambini abbandonati, ma anche le emozioni dell’assistente sociale nel suo lavoro quotidiano. Ho provato a scavare nel passato dei miei personaggi, trovando ancora una volta la rivelazione che il nostro quotidiano è fortemente connesso con la nostra storia.

Ho voluto descrivere parte della nostra vita professionale, che ha il raro privilegio di entrare in profondità nelle vite altrui, nelle vite sofferenti.

Ho pensato che, forse, mostrando anche le emozioni e uno spaccato della vita dell’assistente sociale, la nostra figura ne potesse uscire più umanizzata. Il mio sforzo è stato quello di cercare di costruire una storia credibile dove i personaggi fossero veri, reali e realistici, dove l’assistente sociale emergesse per la sua umanità piuttosto che per caratteristiche troppo positive o negative (eroico o cattivo).

Alla base del racconto

La solitudine. Il motore che muove i miei personaggi è la ricerca di un antidoto alla solitudine. Quella professionale e quella personale, che nel nostro mestiere a volte si incontrano e si fondono assieme. Una solitudine fatta anche di punti di vista differenti, di percezioni diverse del dolore e del disagio, della necessità dell’essere umano di amare e odiare.

A mio avviso c’è poco di eroico nell’essere deprivati, nel soffrire e nel rassegnarsi, nel vivere un disagio. Forse è eroico cercare di convivere, sopravvivere a ciò che ci fa soffrire.

Ma il male esiste, fa parte della nostra vita e viene agito da qualcuno, che forse soffre a sua volta. Le disuguaglianze ci sono e sono funzionali al nostro sistema sociale. Il nostro lavoro è, anche, lenire queste disuguaglianze. Una lotta impari e spesso condannata alla sconfitta, ma è nella relazione che l’assistente sociale ha la possibilità di spendere le proprie competenze migliori.

A volte ne ricaviamo elementi che evocano assonanze con i nostri vissuti, altre no. In ogni caso, forse l’unica strategia efficace per sfuggire alla solitudine, e dare un senso alla propria esistenza (sia personale che professionale) è passare attraverso (per) altre vite.

L’assistente sociale racconta la sua esperienza professionale

Uno degli elementi su cui ho cercato di lavorare, dalla fase di ideazione a quella di stesura del romanzo, è stato il livello di credibilità della storia. Un requisito che sento di dovere, ai miei lettori, è quello della possibilità di immedesimazione nelle storie e nei personaggi che presento. Credo che uno dei lacci emozionali più importanti, che un libro in generale deve avere con il proprio lettore, sia quello di farlo sentire parte di una storia credibile, possibile, veritiera.

Il mio, però, non è prettamente un romanzo autobiografico, nel senso che non ho voluto raccontare di me stesso; ma non può nemmeno essere slegato dal mio essere assistente sociale, perché in quelle pagine c’è quello che viviamo quotidianamente. È un libro autobiografico, se si pensa che ogni cosa che scriviamo derivi da un’esperienza, diretta o indiretta, che abbiamo in qualche modo vissuto (luoghi, sapori, emozioni). Non lo è, se cerchiamo, nei casi raccontati, la precisa narrazione di eventi già vissuti.

Per altre vite è un libro che diventa pertanto un esercizio di immedesimazione, esplorando e condividendo i vissuti che accompagnano gli assistenti sociali nella straordinaria peculiarità del loro percorso, innanzi tutto umano e quindi professionale. È un libro che ho scoperto, man mano che lo scrivevo, essere pieno anche di tenerezza ed ironia, che stanno insieme per lo stesso motivo che lega indissolubilmente vita e morte, felicità e nostalgia, amore e separazione.

Un romanzo e l’Università: un esperimento riuscito

Ho insegnato “Organizzazione dei servizi sociali” al Corso di Laurea in Scienze del Servizio Sociale dell’Università di Siena, dove ho proposto la lettura del mio romanzo agli studenti del corso. Inaspettatamente, al momento dell’esame, ho riscontrato poi delle sorprese: il grado di comprensione delle dinamiche emotive degli operatori, che possono avere gli studenti in servizio sociale, è molto più alto se questi elementi sono veicolati da strumenti innovativi e più intimi di una lezione universitaria, di una testimonianza diretta o di un testo metodologico (che in genere non tratta di elementi introspettivi, ma bensì tecnici).

La parte del vissuto emozionale e personale dell’assistente sociale, nel percorso accademico, è un elemento che non viene considerato nella sua delicatezza, non viene esplorato come contesto di forza, di debolezza e di crisi, sempre possibile, dell’uomo o della donna assistenti sociali. Un romanzo non risolve certo il problema, ma permette di far entrare in una dinamica introspettiva persone che stanno preparandosi per agire, pensare ed essere come futuro assistente sociale. Permette di anticipare la conoscenza di sé, la sperimentazione di evoluzioni psicologiche, un po’ come dovrebbe avvenire durante il tirocinio (sempre che uno abbia la fortuna di farlo, adeguatamente).

*Assistente sociale

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