Prolegomeni a una futura e personale ipotesi di un welfare migliore

di Davide Pizzi *

Foto Davide Pizzi_Pistoia_VIa Abbi PazienzaQuesto articolo è il primo di una serie che ho in mente di scrivere, con i quali è mio desiderio trattare punti di ipotesi di intervento per migliorare il nostro welfare.
Dar voce ai deboli, alle fasce della popolazione inascoltata; perseguo questa mia vocazione, mediante la scrittura: se non si inizia a trattare seriamente questi temi, le coscienze assopite, o non informate, da chi potranno ricevere stimoli per riflettere? Sento forte in me questo mandato perché giornalmente mi confronto con la sofferenza e posso in tutta coscienza dire che una parte di essa è composta dal sentimento/certezza dei cittadini, di non essere ascoltati, compresi e creduti. Recepisco con i miei occhi e le mie orecchie le testimonianze delle loro vite, dopodiché le sviscero con la riflessione, uno sforzo non affatto semplice, e che non sempre mi riesce bene. Evito il rischio di interpretare le loro storie soltanto con i modelli teorici, affascinanti sotto il piano intellettivo, ma inutili se poco aderenti alla realtà.

Molti docenti scrivono, ma mi chiedo: hanno mai ricevuto pubblico? Hanno mai ascoltato le loro storie di vita? Hanno mai visto piangere una persona durante un colloquio? Hanno mai fatto una visita domiciliare in un’abitazione fatiscente?
Utilizzo il metodo induttivo, che nelle scienze umane trovo più pertinente al deduttivo. Penso che dalla solerte e coraggiosa collaborazione tra scrittore ed editore, possano nascere grandi cose, grandi movimenti di idee che smuovano il terreno, rendendolo fertile di ossigeno. Purtroppo però molto spesso bisogna essere scomodi e dire cose che possono minare gli equilibri costituiti che non funzionano. I cambiamenti possono prevedere stravolgimenti dello status quo, che per alcuni può andare bene, e per altri no.
Non ho la pretesa di avere l’infallibile verità assoluta, ma semplicemente sollevo quesiti, dubbi, rivolti a me per primo, perché ritengo che questi siano utili per andare avanti. Il dubbio mi porta a non abbassare la guardia, a non sentirmi mai “arrivato”, a comprendere che tutto è perfettibile nel tempo. Il dubbio mi stimola a pensare ad altri percorsi, forse migliori, e a sperimentarli.

Per questa ragione ho deciso di scrivere questo primo articolo, per stimolare un dialogo, una circolazione di idee, verso temi poco trattati: sarà il fattore novità di forte coinvolgimento? Chi lavora in Comune, e più precisamente con l’assistenza economica, non sa più cosa fare operativamente di fronte alla crescente richiesta di interventi di gente disoccupata e terrorizzata perché percepisce meno soldi con l’indennità di disoccupazione, ma anche perché è arrivata alla scadenza del beneficio, e non sa che fine farà, come si procurerà da mangiare dal mese successivo.
Chi vive queste cose ogni giorno ci riflette su, senza la pretesa di avere l’idea geniale. Tante volte si resta a bocca asciutta quando i cittadini rivolgono domande concrete, su come soddisfare i loro bisogni primari! Noi tutti che lavoriamo nel sociale, abbiamo l’onere morale di fungere da valvola di sfogo della sofferenza, di raccontarla, affinché altri la conoscano così come realmente è. La sofferenza, il disagio, non saranno mai vissuti invano, finché ci sarà qualcuno a esprimerli al posto di chi non può farlo personalmente. Sento il sincero bisogno di dialogare, di “presentarle il mio spirito”, e spiegare perché mi sono affacciato su questi temi che desidero tramutare in articoli.

L’indirizzo degli italiani

C’è una via in Pistoia che pare sussurrare come i giorni e i secoli alla fine si assomigliano tutti, e che il tempo in fondo, col suo trascorrere, tutto invecchia e imbianca, non come i mali di questo mondo, che giovani e sempre verdi si rinnovano nelle epoche. Questa via nella splendida e quiete Pistoia, quasi imbarazzata e timida, ancor oggi con saggezza invita a coltivare una virtù nell’animo, essa è: Via Abbia Pazienza. Nell’attuale periodo di crisi e recessione economica, chi più e chi meno, siamo costretti a pazientare. Quella via in Pistoia potrebbe trovarsi in ogni località d’Italia: è la via degli italiani! Penso, ai disoccupati, alle loro storie di ieri nella serenità quando avevano un lavoro, alle ansie e alle angosce odierne quando immaginano al futuro, perché in certi momenti, è difficile e forse impossibile non riuscire a pensare. Proprio questa fragile categoria che meriterebbe oggi ancor più attenzione e più tutela, mai come in altri periodi, patisce invece di pochi interventi. L’indennità di disoccupazione è corrisposta per otto mesi se il beneficiario ha meno di cinquant’anni, e per dodici se supera i cinquanta. E dopo cosa succede? Se finisse l’indennità e la persona non ha trovato lavoro? Interessa a qualcuno? Che fine fa il disoccupato singolo o con eventuale famiglia a carico? Otto o dodici mesi trascorrono in fretta! Evidentemente chi legifera proprio non ce la fa a comprendere cosa significa il disagio sociale, e le sue  conseguenze sul piano psicologico, sanitario, economico, sociale e familiare. Alcune volte ho l’impressione che basterebbe poco per migliorare il nostro welfare: basterebbe un po’ bi buona volontà! Piccole cose, perché come si sa per esperienza, le grandi cose si costruiscono poco per volta, partendo dalle fondamenta, solide, che in questo momento credo manchino al nostro paese. Il pilastro deve essere il senso dell’umano; adoro il titolo di un celebre lavoro del filosofo Nietzsche: umano troppo umano. Sarebbe bello se il senso civico, la sensibilità, il rispetto reciproco, il senso del dovere altruistico e l’abbattimento degli egotismi, degli egoismi, degli egocentrismi, e del familismo amorale, si riducesse in tutti gli ambiti, i settori e gli strati della società. Sarebbe bello incamminarsi partendo dall’umano per giungere alla meta elevata e suprema del troppo umano, dove troppo non riveste un’accezione negativa, bensì di eccelso. Ho riflettuto su molte cose che non hanno senso, che appesantiscono lo stato di disagio di chi ha perso un lavoro, e ho trovate alcune incongruenze e ingiustizie nel nostro welfare, che io in alcuni casi chiamo: “malfare”.

  • Punto primo: accelerare i tempi di liquidazione del trattamento di fine rapporto di lavoro (TFR). La pratica di un disoccupato che ha perso il lavoro o per scadenza del contratto, o per licenziamento per giusta causa, dovrebbe avere la precedenza assoluta sulle altre pratiche. Il TFR dovrebbe essere liquidato entro il periodo massimo di due mesi dalla perdita del lavoro, invece che nei normali sei o nove mesi, quando tutto va bene. Credo che chi è andato in pensione, per fortuna sua visti i tempi, lo concederebbe un atto di cortesia a un cittadino più sfortunato di lui, lasciandogli il diritto di passare avanti, anche se ciò potrebbe ritardagli la liquidazione del suo TFR;
  • Punto secondo: accelerare i tempi del pagamento dei rinnovi del contratto di chi fino a oggi ha percepito l’indennità di vacanza contrattuale, liquidando tutto immediatamente entro due mesi. Mi riferisco ai lavoratori precari del pubblico impiego, rimasti disoccupati, anziché farli attendere fino al 2018 come gli altri colleghi, che invece hanno un contratto a tempo indeterminato. Servirebbe solo un po’ di buon senso per comprendere che un’eccezione alla regola si può fare verso chi non sa quando ritornerà a lavorare. Chi lavora, non penso griderebbe allo scandalo se un collega oggi disoccupato percepisse prima di lui i soldi.
  • Punto terzo: abolire l’imposta IRPEF. Chi percepisce l’indennità di disoccupazione, in media perde rispetto a quando percepiva il salario, tra i 250 e 400 euro al mese. Allora quindi, perché penalizzarlo ulteriormente? Serve piuttosto dare una mano, come umanamente si dovrebbe fare con una persona che è in difficoltà. Sono certo anche per questo caso, che il sentimento di solidarietà condiviso, non lascerebbe nessuno scontento.Per comprendere chi ha bisogno d’aiuto, bisogna fare il passaggio dall’umano al troppo umano, e fino a quando questo non accadrà, “quella via” ripeterà come un menestrello, il suo ritornello per le strade d’Italia!

* Assistente Sociale, Ordine Assistenti Sociali della Regione Puglia

4 pensieri su “Prolegomeni a una futura e personale ipotesi di un welfare migliore

  1. Lucrezia

    Colleghine brava gente! Ancora una volta una giovane a.s (suppongo giovane per la bellezza e freschezza del suo argomentare) ci regala una buona riflessione sul mondo reale che manca tanto agli accademici, per non parlare del ceto politico!

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  3. G. Ghezzi

    Penso che il nocciolo della questione sia la mancanza di politiche sociali contro la povertà e di un reddito minimo di inserimento. Non esistendo nient’altro, i cittadini non possono che rivolgersi al Comune, il quale non ha neanche lontanamente risorse economiche e umane per far fronte alle masse. Gli assistenti sociali comunali fanno sempre più fatica a stare in prima linea ma è un problema sistemico, non individuale. Come si può rispondere individualmente all’impoverimento di una collettività? (vedi anche http://saperesociale.com/2014/05/16/disagio-economico-e-ruolo-dello-stato/)
    Ma poi mi chiedo anche: che senso ha mettere in campo gli strumenti della nostra professione di aiuto con situazioni di disagio economico “puro”? Ci sono famiglie perfettamente “funzionanti” e socialmente integrate dove l’unico problema è davvero la mancanza di lavoro… più che un lavoro per gli assistenti sociali dovrebbe essere un lavoro da centro per l’impiego. Ma oltre alle politiche contro la povertà mancano anche politiche attive per il lavoro.

    Possiamo alzare la testa dal lavoro sul caso e provare a chiedere come Ordine un welfare decente dentro cui lavorare?

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