Progetto Citt-Abitiamo, storia di un incontro

di Marco Mancini*

È nell’incontro che si dipanano le storie. Una narrazione che si fa svelamento dell’altro ma ancor prima di noi stessi poiché nello sguardo di chi si sofferma dinnanzi a noi troviamo la conferma della nostra identità. Quando ciò accade nello sfaccettato mondo delle fragilità appare ancora più prezioso poiché qui le relazioni sono delicate come cristalli di brina. “Il malessere spinge verso il pozzo dell’isolamento, quel pozzo che guarda con angoscia all’enigma del cielo”, come scriveva Pessoa.

La nostra storia prende il via a Milano lo scorso anno, quando quattro realtà associative-cooperative (Ass. FareAssieme, Ass. ZuccheRibelli, Ass. Contatto, Coop. Fraternità e Amicizia) decidono di sedersi attorno a un tavolo per tessere un filo rosso capace di stringersi attorno a un progetto condiviso nell’area abitare del patto sociale della salute mentale. Due di quelli che diventeranno futuri partner e amici operano nella psichiatria, gli altri due partner e amici lavorano a stretto contatto con il deficit intellettivo. Inizialmente c’è qualcosa che rende difficile il confronto, ostacoli da superare, steccati di incomprensione poiché un pensiero tossico si espande: “Non si possono mettere assieme pazienti psichiatrici e persone con disabilità intellettiva poiché quest’ultimi non sono in grado di seguire, comprendere. Sono due mondi distinti.”

Forse è nell’animo umano cercare di ordinare, catalogare, differenziare, è un modo disperato per contrastare il caos della vita e quello estremo della morte, vetta indiscussa del dis-ordine. La contaminazione è la legge inevitabile che ci governa. Così, anche due mondi entrambi vittime dello stigma, scossi da pregiudizi e congelati dall’indifferenza faticano ad allearsi e stringersi nella solidarietà. Ma il desiderio di creare qualcosa di nuovo, di offrire delle opportunità concrete di crescita e di benessere abbatte le diffidenze, dissolve i dubbi. In fondo, a complicare inizialmente le cose è stata una speranza sullo sfondo: la malattia psichiatrica porta con sé una promessa di guarigione, quella speranza che spesso si fa vuoto e rassegnazione nella disabilità intellettiva.

Trovate armonia e intesa tra i quattro partner, nasce il progetto Citt-Abitiamo: momenti formativi, esperienziali, di socializzazione, ludici, di integrazione, di autentico scambio senza filtri, come solo le persone fragili sono capaci, in un susseguirsi di eventi e di occasioni e senza alcuna distinzione tra pazienti psichiatrici e utenti disabili, spinti dalla semplice voglia di stare assieme. I mostri abitano soltanto territori immaginari nel fango di paure e pregiudizi poiché quando le persone si guardano negli occhi, le cui radici affondano nel cuore, tutto si semplifica e si armonizza. E l’esperienza di Citt-abitiamo ne è una solida dimostrazione.

L’allestimento del padiglione mobile del Politecnico, itinerante in diverse zone di Milano, ha rappresentato una tappa significativa per far conoscere alla cittadinanza le attività dei partner del progetto ma soprattutto un momento di aggregazione e un punto di partenza per scoprire nuovi locali dove degustare cibi sfiziosi. Dopo il primo appuntamento i ragazzi stessi delle associazioni, cooperative e cps si sono organizzati individuando i locali più curiosi ritrovandosi in una relazione nuova e arricchente. Tra sguardi, parole e sorrisi sono nate amicizie rinnovando la voglia di stare assieme. Di fatto si è creata semplicemente una opportunità, una occasione per dissolvere la grigia patina di apatia che spesso avvolge le fragilità. Poi, tutto ha seguito un proprio corso naturale e vitale.

“Ciò che ho più apprezzato” spiega Fulvio Vella, uno degli utenti di Fraternità e Amicizia, che ha partecipato alle diverse attività del progetto, “è stato poter contare su nuove occasioni di incontro e di conoscenza. D’altra parte, anche durante il corso per Utenti Esperti è emersa in modo evidente l’importanza di occasioni per vivere serenamente il tempo libero. Mi è piaciuto molto poter allargare il giro delle conoscenze, confrontarmi con altre persone, forse fragili come me, ma sempre capaci di dare qualcosa, magari attorno ad un tavolo allietato da buone pietanze; mi è piaciuto anche scoprire nuovi locali che non conoscevo, in zone di Milano sempre diverse”. “Una cosa che ho molto apprezzato”, precisa Fulvio, “è stata l’organizzazione stessa dei nostri incontri-aperitivi. Non è mai stata una associazione o una cooperativa ad organizzare, bensì un gruppo di persone, che tra loro magari non si conoscevano neppure; curiose, motivate e con la voglia di stare insieme. Quindi non iniziative calate un po’ dall’alto, come talvolta accade, ma nate proprio dalla voglia di conoscersi”.

Senza voler entrare in aspetti tecnico-diagnostici ma solo facendo tesoro del vissuto, ci sembra giusto chiederci quanto il deficit intellettivo, con i suoi limiti e rigidità, possa sconfinare nella psicosi, e quanto la malattia mentale con il suo carico di sofferenza possa compromettere le capacità cognitive. Non è un caso che si parli di doppia diagnosi o di disabilità complesse e per queste persone le distinzioni diventano un atto crudele subito, abbandonate nella terra di nessuno, lungo un confine invisibile di competenze dei servizi che può creare isolamento e sofferenza. La distinzione ancora oggi viene utilizzata in modo aprioristico nella decisione della presa in carico nei diversi sistemi di assistenza, di fatto un uso difensivo della questione diagnostica da parte degli operatori che di volta in volta evidenziano la competenza dell’altro servizio.

Un uso espulsivo quindi attraverso la distinzione diagnostica. Persone con fragilità si trovano così arenate tra servizi per il deficit intellettivo e quelli della salute mentale. In questo momento di perdurante emergenza nella doppia diagnosi diventa vitale poter offrire dei servizi specifici ma ancora più urgente è abbattere barriere ideologiche affinché si possa oltrepassare la comunità di cura per giungere, come scrive Eugenio Borgna, a una comunità di destino.

*Fraternità e Amicizia Cooperativa Sociale Onlus, Milano

Un pensiero su “Progetto Citt-Abitiamo, storia di un incontro

  1. G. Ghezzi

    Sono d’accordissimo: “La distinzione ancora oggi viene utilizzata in modo aprioristico nella decisione della presa in carico nei diversi sistemi di assistenza, di fatto un uso difensivo della questione diagnostica da parte degli operatori che di volta in volta evidenziano la competenza dell’altro servizio.”
    Grazie della bella testimonianza di un’alternativa possibile!

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