Percorsi di fuori-uscita e ricostruzione di sé: le soluzioni contro la violenza di genere

di Eleonora Maglia*

In occasione della Design Week, in piazza Duomo a Milano è stata esposta l’installazione Maestà sofferente, un nudo di donna molto stilizzato trafitto da frecce con cui l’autore Gaetano Pesce ha inteso testimoniare il dramma della violenza di genere. L’opera ha dato origine a diverse reazioni divergenti: per il Sindaco Giuseppe Sala è un messaggio molto contemporaneo, ma è stato anche contestato come reificazione. Tutto ciò offre lo spunto per analizzare a che punto siamo sul tema e quali prossimi passi sono in attuazione.

Questo articolo è incentrato sull’importanza di dare un volto e riconoscere l’umanità delle vittime e si focalizza sul vissuto di sofferenza delle vittime e sulle problematicità dei percorsi di fuoriuscita, ma vuole anche puntare l’attenzione sulle soluzioni che progressivamente, a diversi livelli, sono in attuazione, mostrando pure (per promuovere un sentimento di ripresa fiducia nel genere) il ruolo positivo che gli uomini stessi posso efficacemente svolgere.

Cerchiamo anzitutto di capire la reale portata del fenomeno. Secondo le rilevazioni Istat, 2 milioni 435 mila sono le donne che hanno subito almeno una forma di violenza fisica o sessuale negli ultimi cinque anni. La vessazione può anche assumere connotazioni psicologiche o economiche, con sistematici comportamenti di umiliazione, svalorizzazione, controllo oppure privazione e limitazione dell’accesso alle disponibilità finanziare familiari o proprie esperiti dal partner (25,4% dei casi) o da un ex (46,1%).

In Italia, azioni essenziali, come cercare aiuto in caso di violenza subita, sono tuttora poco diffuse (rispettivamente pari a 12,2% dei casi). Oltre un quarto delle vittime (28,1% in caso di violenze subite dal partner) addirittura non ne riesce a parlare. Tra i sentimenti bloccanti sono rilevanti la paura (10,1% dei casi), ma anche il timore di non essere credute, la vergogna e l’imbarazzo giocano un ruolo negativo (5,9%). Invece trovare in sé la forza di verbalizzare è un primo passo centrale nei percorsi di uscita dalla violenza. Infatti (e purtroppo) l’esperienza di un trauma profondo -se manca un adeguato sostegno- può evolvere in ulteriori vissuti negativi (apatia, difficoltà nella concentrazione, instabilità emotiva e difficoltà nelle relazioni sociali) e anche in disturbi definiti (attacchi di panico, somatizzazioni e dipendenze da sostanze).

Non meno allarmante è anche l’auto-percezione del fenomeno: solo il 35,4% delle donne che hanno subito violenza fisica o sessuale dal partner ritiene di essere stata vittima di un reato. Paradossalmente la violenza viene considerata normalità. Questa è una delle conseguenze delle condotte negative, esperite in modo graduale e continuativo dall’aggressore, che vengono tecnicamente definite in termini di ciclo della violenza (microconflittualità quotidiana, scuse, promesse di cambiamento) e di strategie di controllo (minimizzazione, intimidazione, giustificazione e spostamento del problema). Tutto ciò attesta quanto sia necessario uno sforzo comune profuso ad incrementare la consapevolezza femminile, nonché ad informare sui percorsi di fuori-uscita, posto che nemmeno sull’esistenza di centri anti-violenza o altri servizi di supporto v’è ancora piena conoscenza (il 12,8% delle vittime dichiara di non esserne al corrente).

All’interno del contesto descritto i tassi di denuncia non possono che essere pochi (solo il 12,2% dei casi) e, in più, oltre un terzo delle denuncianti (37,3%) solleva la necessità di rendere i servizi delle forze dell’ordine più rispondenti in termini di ascolto. In questa direzione, sono già attive alcune iniziative. In tutte le Questure ad esempio con la Campagna “…questo NON È AMORE” sono state avviate riflessioni sul ruolo della Polizia in caso di violenze di genere, anche per promuovere all’interno delle forze dell’ordine dei comportamenti di maggiore accoglienza verso le vittime. Inoltre, è stato adottato il protocollo EVA (Esame delle Violenze Agite) che permette di inserire nella banca dati delle forza di polizia informazioni utili a ricostruire gli episodi di violenza, indipendentemente dalla presenza di denuncia o querela da parte della vittima. I risultati sono promettenti: 159 arresti in flagranza e 81 in allontanamenti dalla casa familiare, in 10 mesi.

Per corroborare il numero di denunce effettive, anche il Parlamento si è recentemente attivato per inserire strumenti di tipo giuridico. Con il Codice Rosso, si sta perseguendo anche l’obiettivo di comprimere i tempi delle indagini preliminari (nel 35% dei casi, un uomo su dieci viola anche i provvedimenti cautelari, esperendo ulteriori violenze o reiterazioni di reato).  La proposta di legge, approvata alla Camera il 3 aprile e in attesa di discussione al Senato, introdurrebbe importanti modifiche nel codice di procedura penale, a vantaggio delle ancora troppe vittime di violenza.

Nell’incipit si è accennato a Maestà sofferente, un’opera in un certo modo rappresentativa della soggettiva visiva propria degli uomini violenti. Questi, però, non sono la totalità dell’universo maschile, come mostra la recente iniziativa #facciamogliuomini dell’Associazione Italiana Calciatori. Il progetto, patrocinato dal Dipartimento per le pari opportunità, si propone di utilizzare la visibilità dei calciatori per sensibilizzare la rete sociale sul tema della violenza di genere. Operativamente, nei prossimi 18 mesi, verranno realizzati eventi per creare consapevolezza sul tema e promuovere comportamenti rispettosi. La notorietà del calcio in Italia può essere un vettore davvero efficace per una campagna di promozione di atteggiamenti improntati al dialogo, piuttosto che sopraffattori.

Complessivamente tutte le organizzazioni possono attivarsi concretamente, includendo nelle proprie iniziative di responsabilità sociale il tema della violenza di genere, realizzando workshop di sensibilizzazione tra dirigenti e dipendenti o elaborando progetti di volontariato d’impresa per favorire l’inserimento lavorativo delle donne ospiti di centri anti-violenza che tentano di ricostruirsi un’autonomia anche economica. In questa direzione sono già attive molte esperienze, come le partnership costruite dalla Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate.

Dagli elementi raccolti qui si comprende quanto il fenomeno della violenza di genere sia complesso e coinvolga tanti aspetti, sia di tipo psicologico che giuridico, e come quindi siano necessari interventi a diversi livelli che, quanto più integrati tra loro, tanto più possono produrre risultati efficaci. Singolarmente, anche il semplice fatto di documentarsi sul tema è molto difficile a causa dello stato di dissonanza cognitiva in cui ci si trova nel cercare di elaborare situazioni tanto distanti dal normale vivere civile che lasciano attoniti. Tuttavia, è molto importante sentirsi responsabilizzati di fronte al sospetto o all’evidenza di situazioni di sopraffazione fisica, morale o economica e fissare in sé la ferma convinzione che le forme di violenza possono essere svelate e combattute e che sono molti gli aiuti esterni efficaci allo scopo. Anche semplicemente come parenti o amici è possibile attivarsi, ad esempio comunicando la disponibilità ad un ascolto non giudicante e la vicinanza nella ricerca di soluzioni per spezzare situazioni di isolamento e difficoltà. L’auspicio è che in futuro sempre più percorsi di uscita da situazioni di violenza siano possibili e che le molte donne tuttora coinvolte possano sperimentare la sensazione di una vita che torna, che si può di nuovo vivere.

Fonti

  • CADMI, Pubblicazioni, Milano
  • Istat, 2014, Report Violenza sulle Donne, Roma
  • Polizia di Stato, 2017, …questo NON E’ AMORE

 

*Dottore di ricerca in Economia della produzione e dello sviluppo

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