Marzo 2020. Il privilegio e la responsabilità del “prendersi cura” nelle RSA

di Laura Sorge*

Ogni persona adulta o anziana è, per l’età, oggettiva testimonianza del grande “dono” della vita. Sovente capita di dimenticare che gli anziani di oggi sono stati i giovani di un tempo e i giovani di oggi saranno (forse) gli anziani di domani.

Uno dei più grandi misteri che non possiamo scegliere e prevedere è il “come” e se, invecchieremo. Ma di certo tutti noi, abbiamo nel profondo la speranza di poter essere “accompagnati” e sostenuti qualsiasi sia la nostra condizione. Perchè arriva un momento specifico nella vita in cui si assiste al “capovolgimento dei ruoli” e da genitori che sostengono, diventiamo “figli” da prendere per mano; e da figli diventiamo pilastri e sostegno per i nostri genitori e/o persone care.

E da qui parte il nostro viaggio

Le Residenze Sanitarie Assistite, anche comunemente chiamate case di riposo sono realtà estremamente complesse. Accolgono adulti, anziani e grandi anziani ed ogni persona ospite ha un peculiare percorso che l’ha portata ad accedere a tali realtà.

Residenza, struttura, casa. Con il termine “casa” si intende normalmente uno spazio, privilegiato luogo e patrimonio di affetti. Immaginiamo una “casa speciale”; una grande casa a Conegliano, nella provincia di Treviso, che accoglie 232 persone autosufficienti e non autosufficienti, ricoveri temporanei, SVP, dai 50 ai 99 anni.

Ospiti e residenti (così vengono denominati) vivono qui e spesso si dimentica o si trascura che questa realtà diventa ed è la “loro casa”. Comun denominatore di ciascuna persona ospite: la fragilità. Fragilità fisica, cognitiva, emotiva. Comun denominatore di ciascun individuo (compresi noi stessi): avere profondi e significativi legami.

Ogni persona residente è padre, madre, moglie, marito, compagno/a, sorella, fratello, nipote o amico. Ogni singola persona con comorbilità e pluripatologie viene gestita in questa casa “speciale” non in fase di acuzia, ma per mesi e/o anni in un approccio sempre più rivolto a quel concetto ampio di “care”; del prendersi cura, dell’aver cura di quella che riteniamo essere la parte più delicata della vita.

Era il 23/02/2020 quando è stata pubblicata l’ordinanza del Ministero della Salute che invitava a limitare l’accesso dei visitatori agli ospiti nelle RSA ad una persona al giorno per tempi limitati. Ogni Residenza della Regione Veneto ha messo in atto e sviluppato individuali modalità di applicazione: limitazioni nel numero di accessi, limitazioni temporali, specifiche autorizzazioni, etc. fino alla data del 9/03/2020: divieto di uscita per gli ospiti e divieto di entrata per famigliari, amici e volontari. L’imperativo categorico che ha travolto queste realtà e man mano tutte le nostre città e paesi: restate a casa. Covid-19, sintomatologia, effetti, drammatica e spaventosa diffusione. Precauzioni, distanze di prossimità, raccomandazioni e via-via divieti.

Tutta l’Italia ha incominciato a prendere coscienza dell’immensa catastrofe umana che stava e sta dilagando irrefrenabilmente, dei numeri dei contagiati, del numero dei decessi. Del dramma umano che ogni singola salma è portatrice. Le immagini agghiaccianti dei camion dell’Esercito in Lombardia ne sono una spaventosa evidenza. Paura, preoccupazione, sgomento, allarmismo e ansia hanno invaso anche questa casa e tutte le persone che la vivono: ospiti, personale, famigliari sia dei primi che dei secondi. Tamponi? DIP? Situazioni comuni a tante case di riposo.

Ospiti in ingresso da dimissioni ospedaliere (fino al 17/03 senza tampone), l’impossibilità del ricovero ospedaliero per gli ospiti, i tamponi che inizieranno ad essere fatti dal 29 marzo. Difficile descrivere l’onda d’urto emotiva che ha avvolto, travolto e stravolto questa realtà dal 9 marzo.

È diventato subito palesemente chiaro che tutto il personale di queste case (operatori sociosanitari, medici, infermieri, coordinatori di nucleo, educatori professionali, fisioterapisti, psicologi, logopedista, etc) sarebbero stati chiamati e avrebbero dovuto riuscire a promuovere oltre che le proprie prassi professionali e tecniche, un’importante e fondamentale “competenza affettiva”.

Deteniamo tutti senza distinzione, ogni singolo giorno il privilegio di poter essere accanto a queste persone. Mogli, mariti, padri, madri e sentiamo di essere veramente detentori di un vero privilegio perché lo stesso privilegio è negato ai loro famigliari. La responsabilità ha assunto connotazioni talmente vaste; è diventata una umanamente pesante e doppia responsabilità sia verso gli ospiti, verso i quali siamo chiamati ad essere un sostegno emotivo oggi più che mai, che verso i famigliari ed amici che, privati del contatto si affidano totalmente e ciecamente alle nostre competenze professionali e umane promosse, in attesa di una nostra comunicazione, un messaggio, una videochiamata.  Viene loro negata la possibilità di poter esserci, di poter stare accanto ai loro “pezzi di cuore” in un momento di vita in cui, magari, non sarà più possibile posticiparne la presenza. Non poter “esserci stati” rimarrà una profonda e dilaniante ferita che non potrà essere rimarginata facilmente.

E noi ,“i privilegiati” ,desideriamo promuovere e condividervi tale riflessione perché le ferite impresse, potrebbero travolgere anche noi. Domani noi stessi potremo vivere la condizione di essere “famigliari” ai quali niente e nessuno potrà rendere meno doloroso questo ricordo di vita e di congedo. Abbiamo assistito a più riti di commiato privati in cui sono stati dati abbracci “illegali” a mogli e figli. Abbiamo assistito alla sofferenza di figli seduti a due metri dalla propria madre che salutava un marito e un padre. Assistiamo alle lacrime di ospiti, alle richieste di mogli e figli/e di poter semplicemente vedere il proprio caro.

Non possiamo che coltivare e provare a coltivare in tutti noi quell’empatia, per poterci mettere “nei loro panni”, sperando fermamente che questo drammatico momento che stiamo vivendo possa passare, per poter restituire ai giusti detentori la possibilità della sacra presenza. Auspicando per tutti loro e per tutti noi la forza di poter continuare ad essere sempre presenti, puntuali ed emotivamente forti in questo gravoso compito che ci “è stato affidato” dal nostro lavoro e dalle nostre professionalità.

Conegliano, 29 marzo 2020

*Educatrice Professionale presso Casa “F. Fenzi”, Conegliano, (TV).

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